La sera del 22 settembre 1943, alcuni soldati tedeschi di un reparto di SS (abbreviazione di SchutzStaffel: squadroni protettivi) in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, sita nella Torre di Palidoro (Fiumicino – Roma), rovistando in una cassa, provocano lo scoppio di una bomba a mano: uno dei militari rimane ucciso e altri due gravemente feriti. L'incidente è fortuito, ma i tedeschi lo attribuiscono ad un attentato partigiano. La mattina dopo, il comandante del reparto tedesco, recatosi a Torrimpietra (Fiumicino – Roma) per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trova il vice brigadiere Salvo D'Acquisto, al quale ordina di individuare i responsabili dell'accaduto. Salvo tenta inutilmente di convincerlo che si è trattato solo di un incidente. Poco dopo, Torrimpietra è circondata dai tedeschi e 22 cittadini vengono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso la Torre di Palidoro, per essere fucilati. Salvo prova ancora una volta a convincere l'ufficiale tedesco della casualità dell'accaduto, ma senza esito. I tedeschi costringono gli ostaggi a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude. Per salvare i cittadini innocenti, Salvo si autoaccusa come responsabile dell'attentato e chiede che gli ostaggi vengano liberati. Subito dopo la loro liberazione, il vice brigadiere Salvo D'Acquisto viene trucidato da una scarica del plotone d'esecuzione nazista. Salvo era nato il 15 ottobre del 1920 a Napoli, nel quartiere del Vomero, da Salvatore, palermitano, e Ines Marignetti, napoletana. Era il primo di cinque figli. Il 4 novembre 1983, nella sede dell'Ordinariato Militare, è stato insediato il Tribunale ecclesiastico per la sua causa di beatificazione. Sei mesi dopo a Roma, alle ore 15 e 52 del 23 marzo 1944 passavano puntualmente, come ogni giorno, cantando "Hupf meine Model: Salta ragazza mia" i riservisti altoatesini del Battaglione Bozen, aggregato al Polizei Regiment della Wehrmacht (forze di difesa). Trentatre di essi vengono fatti letteralmente a pezzi da un'esplosione dinamitarda. L'orrendo massacro avviene in via Rasella, vicino alla centralissima Piazza del Tritone. La reazione efferata dei tedeschi era, purtroppo, prevedibile in una capitale dichiarata “città aperta”. Il massacro delle SS venne pensato ed organizzato da alcuni comunisti romani. Giorgio Amendola, era il più alto di grado, Mauro Scoccimarro e Antonio Cicalini venivano dalla scuola sovietica, oltre a minori ma preziosi collaboratori. Amendola propose il luogo, l'ora e le modalità dello scoppio di via Rasella. Gli altri uomini d'azione, soprattutto dei Gap, il sistema terroristico facente capo al Pci, cioè i Gruppi d'Azione Patriottica, perfezionarono il resto dell’operazione. Nel libro “Lettere a Milano”, che vinse il premio Viareggio per la saggistica nel 1974, Amendola rivelò che era stata sua l'iniziativa della designazione del luogo e del reparto tedesco da attaccare. Egli ne parla espressamente nelle pagine 290 e 291. L'attentato che provocò quella carneficina fu voluto per un solo scopo. A Roma ormai le formazioni della Resistenza, che non riconoscevano il Cln (Comitato di Liberazione Nazionale), avevano la maggioranza. Ed erano a buon punto le trattative avviate dalla Repubblicana Sociale di Salo’ con Kappler, perché i tedeschi lasciassero Roma senza spargimenti di sangue. Ma nel voler far fallire questo accordo c'era un interesse del Pci, per fini di politica interna. Lo racconta Roberto Guzzo, fondatore dei gruppi Bandiera Rossa: “Via Rasella, cinquant'anni di menzogne”, Maurizio Edizioni, Roma 1996, pag. 69. Il comando tedesco non riuscì ad individuare i responsabili dell’attentato e il 24 marzo, alle Fosse Ardeatine, 335 cittadini italiani innocenti vennero fucilati dai reparti tedeschi agli ordini del colonnello nazista Kappler. Dopo il 24 marzo 1944, i nazisti iniziarono la guerra ai civili. Infatti, i comandi Wehermacht e le SS cominciarono azioni terroristiche contro le popolazioni civili in tutta l’Italia che, in molti casi, furono messe in atto senza “la giustificazione” di attentati dei partigiani. Se gli attentatori di via Rasella si fossero consegnati ai tedeschi, ora sarebbero considerati degli eroi come Salvo D’Acquisto, e 335 persone innocenti non sarebbero state trucidate. La colpa del massacro delle Ardeatine e’ da imputare agli attentatori che non hanno avuto il coraggio di compiere un gesto eroico nel consegnarsi, o alla ferocia dei nazisti? A voi la risposta. Il 25 aprile si deve considerare la festa della Liberazione o della Libertà? E’ un’altra domanda. Dobbiamo festeggiare uniti il 25 aprile, ma perché questo si realizzi dobbiamo avere una “storia condivisa”, e questo non potrà avvenire se ancora si insiste nel raccontare bugie. Sì, perché sino ad oggi la storia e’ stata falsificata. Il 25 aprile, prima di quest’anno, non era la celebrazione della libertà e della democrazia, ma solo una rievocazione di orrori. Una vera democrazia non nasce da eventi così crudeli e barbari come quello dell’esecuzione di Mussolini (e di altri) ed il suo corpo appeso a testa in giù a Piazzale Loreto a Milano e preso a calci e sputi. E’ incredibile che dopo 64 anni possa regnare ancora l’odio nel nostro Paese. Battere il tasto dell’antifascismo che senso ha? Il fascismo non esiste piu’, la storia lo ha condannato inesorabilmente. Anche i partigiani si macchiarono di eccidi e massacri. I morti meritano tutti lo stesso rispetto. Quei ragazzi che andarono a combattere per la Repubblica Sociale di Salo’, lo fecero con lealtà e buona fede. Nessuno mette in dubbio il valore della Resistenza, ma ci furono diverse Resistenze. Noi non ci riconosciamo nel modello dei partigiani stalinisti-comunisti che, dopo il 25 aprile, iniziarono la resa dei conti per tentare la conquista del potere. Commisero eccidi, stragi, torture e linciaggi dei partigiani liberal-democratici, cattolici, liberali e dei senza partito. Sino all’anno scorso il 25 aprile era una festa di parte. Un’appropriazione indebita, dove alcuni partiti decidevano chi poteva partecipare e chi no. Altro che libertà di tutti! Fortunatamente quest’anno si e’ concluso il cammino verso una festa pienamente “condivisa”, anche se il Sindaco di Roma, Alemanno, ha dovuto rinunciare a celebrare la ricorrenza a causa di alcuni “liberatori democratici” che glielo hanno impedito. Ma non doveva essere un’occasione di unita’ nazionale? Berlusconi, accogliendo l’appello di Franceschini (che da ingenuo sprovveduto sperava non accettasse per accusarlo poi di non essere antifascista), ha voluto dimostrare che la riconciliazione nazionale e’ possibile e che da ora in poi il 25 aprile si celebrerà tutti insieme come “festa di libertà”. Ci siamo arrivati dopo tanti anni. Finalmente sta concludendosi il tempo (si spera!) della delegittimazione reciproca. Dobbiamo rallegrarci. Quel che il 25 aprile dovrà ricordarci è la fine della guerra più sanguinosa mai avvenuta. Una guerra in cui è stato sconfitto il nazifascismo grazie al decisivo contributo militare degli alleati, ma che ha visto, nella sua ultima fase, un movimento di Resistenza civile e militare. Quel movimento cominciò l’8 settembre 1943, ma la fiducia degli italiani nel fascismo era venuta meno con le leggi razziali del 1938 e con l’entrata in guerra. Alle celebrazioni del 25 aprile, purtroppo, e’ stata dimenticata la “Resistenza” degli emigranti italiani, e questo e’ stato ingiusto ed ingeneroso. Nel dopoguerra, moltissimi italiani sono stati costretti ad espatriare. Abbandonati dalla propria Patria, spesso oppressi ed umiliati nei Paesi d’accoglienza, si sono dimostrati essere dei veri “Giganti”. Sono stati gli indiscussi ed indispensabili protagonisti della rinascita economica e sociale dell’Italia. Il Presidente della Repubblica ci ha esortato tutti, italiani in Italia e nel mondo, a mantenere vivi interamente i valori che hanno permesso al nostro Paese di diventare uno dei piu’ grandi.