venerdì 13 febbraio 2009

Abolire il valore legale dei titoli di studio e dare le onoroficenze a chi veramente le merita.

L'abolizione del “valore legale” dei titoli di studio, rappresenterebbe un cambiamento importante per l'Italia. Il “valore legale” del titolo di studio uccide la concorrenza fra le università e, uccidendo la concorrenza uccide la qualità, uccidendo la qualità, alla fine, uccide la “meritocrazia”. Il mito del “pezzo di carta” e’ la vera causa che genera in Italia laureati impreparati e, per questo, hanno poi difficoltà a trovare lavoro. Le madri ed i padri italiani preferiscono sacrificarsi per far rimanere a vita i loro “bamboccioni” all’Università’, piuttosto che indirizzarli ad imparare un mestiere. Abolire il valore legale del titolo di studio e’, allora, anche il miglior rimedio per abolire il “provincialismo” italiano: quello che venderebbe l'anima al diavolo pur di leggere sul biglietto da visita del figlio la parola “Dottore”. E’ un ridicolo malcostume italiano dove, se non sei “dottore” non sei nessuno. Mentre nel mondo anglosassone, anche i piu’ valenti “dottori”, sono semplicemente Mr., Miss. o Mrs. Abolire il valore legale dei titoli di studio porterebbe piu’ efficienza e qualità alla formazione scolastica e al mondo del lavoro in Italia che e’, ormai, sempre più il fanalino di coda nelle classifiche internazionali. La laurea “fasulla” e’ il motivo principale dell’arretratezza della Pubblica amministrazione italiana. Per essere assunti si sa che occorre possedere “il pezzo di carta” (e la giusta “raccomandazione”), poco importa se poi si e’ del tutto impreparati. Questo non accade certo per le aziende private. Da sempre reclutano personale sempre in base all'efficienza e a criteri di meritocrazia. Se poi un'azienda privata assume un incapace, c'è la garanzia “garantita” che il responsabile di tale assunzione e lo stesso assunto vengano, prima o poi, sbattuti fuori. Nell'università la “meritocrazia” non esiste. Per diventare “ordinario” basta il “pezzo di carta” ed essere “imparentati” con il Rettore o il Preside. Per avere l’aumento di stipendio o un avanzamento, e’ sufficiente l'anzianità e non i propri risultati di ricerca e le pubblicazioni edite. Abolire il valore legale del titolo di studio non significa portare il caos all'università. Il disegno di legge proposto dal Governo prevede che “ogni istituto universitario debba essere accreditato dal ministero sulla base di alcuni parametri: esigenze del territorio, capacità di autofinanziamento, adeguatezza dei corsi di laurea rispetto agli obiettivi formativi, composizione del corpo docente”. E si propone inoltre “una ripartizione delle università per fasce di merito anche al fine dell'erogazione dei finanziamenti pubblici, oltre a ipotizzare meccanismi di governance più snelli, agili, più imprenditoriali, e la parità tra università pubbliche e private ipotizzando che i finanziamenti pubblici per l'attività didattica siano ripartiti non in funzione della natura (pubblico o privato) dell'ateneo, ma in funzione di alcuni parametri di qualità del servizio (numero iscritti, tempo di primo impiego dei neolaureati, rilevanza internazionale dell'ateneo, ecc...). Ciascuna università potrà, inoltre, fissare le rette di iscrizione all'interno di un minimo e massimo fissati con decreto dal ministro dell'Università con la possibilità di ridurle per favorire, ad esempio, settori ritenuti particolarmente strategici per lo sviluppo del Paese”. Il Disegno di legge prevede inoltre agevolazioni fiscali per i finanziamenti da parte dei privati. L'introduzione di un sistema di borse di studio e di prestiti d'onore. Un nuovo sistema di reclutamento dei docenti, concedendo a ogni facoltà il diritto di poter liberamente scegliere i propri docenti tra quanti sono abilitati, come avviene in Australia. Con l'abolire del “valore legale del titolo studio”, non si vuole garantire a tutti (pure a coloro che non hanno il titolo) di accedere ai concorsi pubblici, ma istituire una sana e vera competizione fra le università e un meccanismo di selezione “meritocratica” per accedere all’impiego pubblico. Se il “pezzo di carta” non darebbe piu’ nessun diritto e non fosse piu’ un “marchio” di legittimazione, tutti gli studenti immotivati a studiare (e sono la maggior parte come riferisce il rapporto statistico fra laureati e iscritti), e che sono un peso per la collettività, fuggirebbero a gambe levate. Quando finirà l'era in cui una laurea presa alla Bocconi ha ugual valore giuridico di una presa “chisadove”, le Università, per sopravvivere, s’impegneranno ad attirare gli studenti in base alla sola loro qualità degli studi che offriranno. Chiuderebbero così le Università che producono “laureati” di scarsissimo livello e preparazione, così come chiudono i ristoranti che non cucinano bene. In Inghilterra, Australia ed America succede così. Obama è laureato ad Harvard e il suo “pezzo di carta” non gli dà diritto a nulla, se non alle credenziali che derivano dal prestigio che quell'ateneo ha saputo nel tempo guadagnare. Una legge che abolisca il valore legale del titolo di studio sarebbe anche la premessa per abolire gli ordini professionali, se non tutti, la maggior parte. Ad esempio in America un pescivendolo, con capacità giornalistiche, può abbinare l'attività giornalistica con la sua attività di vendita di pesce, senza la necessità di far parte di una corporazione, come in Italia, che il più delle volte serve solo per tenere in piedi una “casta” piena di privilegi. In Italia e’ necessario anche limitare al minimo le onorificenze e concederle soltanto a chi “veramente” ha titoli per meritarsele. Solo dal 25 gennaio 1991 al 6 giugno 2008 sono stati nominati 111.459 “Cavalieri” a cui si aggiungono 26.676 “Ufficiali al merito della Repubblica”. Al Quirinale la Cancelleria dell’ordine sta lavorando per informatizzare e rendere noti sul sito www.quirinale.it i nomi di tutti i “Cavalieri” investiti dall’onorificenza a partire dal 1951, data di istituzione dell’ordine. Per certo si sa che ben 25.772 cittadini italiani sono diventati “Commendatore” dal 1985 al giugno 2008. Salendo con il grado dell’onorificenza scendono i numeri: “solo” 23.566 i decorati come “Grande Ufficiale” dal dicembre 1952 ad oggi. In minor numero i “Cavalieri di Gran Croce” insigniti dal novembre del 1952, “appena” 8.520. Per premiare altissime benemerenze di uomini eminenti, italiani e stranieri, può essere “eccezionalmente” conferita ai “Cavalieri di Gran Croce” la decorazione di “Gran cordone dell’ordine”. L’Italia sembra sia un vero e proprio “medaglificio”: raggruppando tutte le onorificenze sono 246.153 maggiormente ottenute non per “merito” ma per “raccomandazione”. Ma che vantaggi dà nella vita quotidiana avere la medaglia e l’attestato incorniciati e in bella vista nel salotto buono? Nessuno. Quello che si può fare è fregiarsi pubblicamente del titolo ricevuto, non solo con gli amici, ma anche sui biglietti da visita e sull’elenco telefonico. Il massimo per appagare la vanità.

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