... Un modo per accentuare le dimensioni della propria indignazione è annunciare: “Sporgo querela”. L’ultimo a servirsi di questo strumento è stato D’Alema, contro “il Giornale”. A questo annuncio naturalmente non corrisponde sempre la presentazione della querela perché, fra le due cose, c’è l’intervento dell’avvocato. Questi può anche dire al proprio assistito che gli conviene risparmiarsi i soldi della carta bollata: infatti, quando la denuncia è giuridicamente – anche se non moralmente – infondata, si rischia di sentir certificare dalla magistratura che il presunto offensore aveva perfettamente ragione.
La diffamazione a mezzo stampa si ha se si dice “D’Alema è un delinquente”, o se si dice “D’Alema ha rubato 104,65 €”. Cioè se lo si insulta o gli si attribuisce un’azione infamante. Nel caso delle rivelazioni del “Giornale”, i fatti invece sono questi:
1) In nessuna riga il “Giornale” ha coinvolto D’Alema personalmente nei contatti con le prostitute. Non ha neanche detto che fosse a conoscenza di quei fatti. Ha parlato del “clan D’Alema” solo per indicare le persone a lui vicine a Palazzo Chigi, nel momento in cui il leader Ds era a capo del governo.
2 In nessuna riga il “Giornale”, diversamente da quanto ha fatto Repubblica per Berlusconi, ha alluso a suoi comportamenti immorali; non ha mai detto che fosse inadatto per ragioni etiche a fare politica o che dovrebbe ritirarsi a vita privata. Non vi è nessun giudizio diffamatorio a suo carico.
3) Per quanto riguarda Lorenzo Cesa, che ha anche lui annunciato querela, il quotidiano ha solo detto che egli in passato ha costituito una società (la Global Media) con R.F., la maîtresse o magnaccia che dir si voglia delle ragazze. E non ha mai detto che quella società l’abbia costituita per amministrare i proventi della prostituzione. Se poi la gente è distratta e legge soltanto che Cesa è stato socio di una che esercitava un’attività postribolare, la colpa non è del “Giornale”. Cesa avrebbe fatto meglio a stare attento a chi era R.F., non diversamente da come Tarantini avrebbe fatto meglio a stare attento a chi portava in casa Berlusconi.
Le differenze fra il caso di Berlusconi da una parte, e il caso di Cesa e degli amici di D’Alema dall’altro, sono queste:
a) Il luogo degli incontri è per Berlusconi una casa privata, per gli amici di D’Alema Palazzo Chigi. Se fosse avvenuto il contrario, “Repubblica” avrebbe scritto che Berlusconi aveva trasformato la sede del governo in un bordello.
b) Lo scopo degli incontri è per Berlusconi la compagnia di belle ragazze e qualcuno dice sesso (per lui incolpevole anche moralmente, dal momento che non conosceva la professione delle ragazze) mentre per gli amici di D’Alema è l’ottenimento di favori dai politici (corruzione).
c) Berlusconi poteva anche non immaginare che un politico gli portasse in casa delle prostitute, mentre delle ragazze che vanno ad accoppiarsi con sconosciuti sono chiaramente delle puttane. Anche agli occhi di politici particolarmente distratti.
d) Per quanto riguarda Lorenzo Cesa, malgrado qualche sospetto, anche ad essere pronti a credere alla sua assoluta innocenza, ci sono delle note inevitabili. Mentre Berlusconi potrebbe avere avuto l’ingenuità di non immaginare che Tarantini avesse a sua volta l’ingenuità di non capire che quelle erano prostitute (rapporto indiretto), Cesa avrebbe avuto lui personalmente l’ingenuità di non capire che R.F. era una poco di buono (rapporto diretto); cosa che doveva essere piuttosto sfacciata, se la detta R.F. ha patteggiato una pena a un anno per sfruttamento della prostituzione. Comunque “il Giornale” non ha detto una parola in più di ciò che risulta dalle carte.
La conclusione è che non v’è spazio per nessuna querela. V’è spazio solo per il rimpianto di avere messo in moto un meccanismo infernale che rischia di triturare più accuratamente chi se ne credeva immune.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
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