Aristotele, il filosofo greco
vissuto tra il 383 a.C. ed il 322 a.C., ha scritto un libro “La politica”
che contiene la frase famosa: “l'uomo e’ per natura un animale politico”.
Per natura l’uomo sente il bisogno di avere una vita sociale: la “polis”,
termine dal quale deriva la parola “politica”. Vi
e’ una spontanea voglia di stare insieme. L’uomo tende quindi ad “aggregarsi”
in modo naturale: ogni uomo e’ un “atomo” nella società. Aristotele vede
nella “polis” (politica) l’ultimo gradino del processo di “aggregazione”,
prima c’e’la famiglia, poi il villaggio e, quindi, la “polis”. La
famiglia e’ la società naturale nata prima di ogni altra “aggregazione”.
La famiglia e’ il “nucleo primario” non solo sul piano degli affetti, ma
anche sul piano “economico”. Anche nella famiglia ci sono diversi
rapporti di autorità. Il padre (il “pater familias” in latino) ha
autorità sulla moglie, sui figli e sugli schiavi (come c’erano ai tempi di
Aristotele). Il rapporto nei confronti dei figli e’ temporaneo e dura finché
essi non crescono. Il rapporto nei confronti degli schiavi (oggigiorno
impersonati dai cittadini) e’ permanente. Aristotele dice che la schiavitù e’ un
qualcosa di naturale e necessario perche’ esistono individui per “natura
liberi” ed altri per “natura schiavi”. C’e’ una parte dell’umanità
capace a mettere in pratica le sue “capacità mentali” e una parte che
non e’ capace: non sa fare scelte razionali. Se e’ così, dice Aristotele, e’
meglio non solo per i padroni, ma anche per gli schiavi stessi essere “schiavi”.
Una persona incapace di governarsi autonomamente trae solo benefici dall'essere
governata da qualcun’altro “capace” e molto “competente”. Aristotele
e’ stato anche il fondatore della “scienza economica”. Uno dei concetti
fondamentali da lui elaborati e’ la “concezione del denaro” e delle sue
funzioni. Per lui esistono due modi per usare il denaro, una “legittima”
l'altra “illegittima”. L'economia e’ il “governo della casa”, il
processo con cui si procurano i beni per far funzionare bene la casa (intesa
anche come Nazione). Le idee di Aristotele sul denaro verranno addirittura
riprese da Marx. Per Aristotele l’uso del denaro e’ “legittimo” se viene
usato per fare acquisti (bei necessari per la collettività), ma diventa “illegittimo”
se lo si usa non “come mezzo” ma “come fine”, quando cioè non lo
uso più per fare acquisti ma per “accumularlo” a fini personali.
Aristotele condanna l’accumulo del denaro come un uso “contro natura”.
La natura del denaro e’ quella di essere “mezzo di scambio”. Passando
poi all’analisi di come fare “politica” distingue forme di governo “negative”
e “positive”. E’ “positiva” se chi governa governi per “l'interesse
pubblico”, se tende a governare per “interesse personale” e’ “negativa”.
La “monarchia” e’ la forma di governo dove il singolo governa per il
bene di tutti (ma non sempre). La “tirannide” quella dove il singolo
governa per il proprio interesse. “L’oligarchia” (com’e’ quella dei
partiti italiani) e’ simile alla tirannide. La “democrazia” e’ il
governo della maggioranza. La “politeia” e’ la forma di governo per
eccellenza perche’ non e’ solo il governo dei più (della maggioranza), ma di
tutto il “demos” (popolo). Aristotele condanna la “democrazia”
perché e’ il governo della maggioranza popolare che tende a governare per il
proprio interesse, varando leggi “a proprio interesse” e non per tutti i
cittadini. Aristotele aggiunge che tutti accetteremmo che fosse uno solo a
governare se egli avesse più virtù di tutti gli altri messi insieme: sarebbe il
miglior governo, ma e’ pura “utopia”. Nella “politeia”, pur se la
maggior parte delle persone ha qualità mediocri, tutto sommato mettendole
insieme riusciranno a far funzionare il governo. Ma i politici devono essere “onesti
e sinceri”, non devono “ingannare” e non “approfittarsi” del suo ruolo per “interessi
personali”, non devono “corrompere” né lasciarsi corrompere. Per
loro l’onestà (dal latino honestus = onore) e’ proprio “una questione
di onore” e di “dignità” personale. Ma “l’onestà” e’ vista in
modi diversi da due noti filosofi della prima metà del Cinquecento. Secondo
Erasmo da Rotterdam, teologo, umanista e filosofo olandese, “l’onesta’
assoluta” e’ una specifica qualità dell’uomo di governo. Nicolo’
Machiavelli, filosofo e politico fiorentino sostiene, invece, che l’onesta’ sia
“incompatibile” in politica. L’uomo di governo, per raggiungere finalità
sociali che si impongono come “necessarie a tutto il popolo” (e non “personali”)
e’ obbligato talvolta a comportamenti contro la morale comune, come l’inganno,
l’astuzia, la slealtà. Infine il filosofo abruzzese/napoletano Benedetto Croce,
più vicino al nostro tempo (1866/1952), minimizza il valore del’onestà,
esaltando invece il valore della “competenza”. Al politico, afferma,
come pure all’ingegnere, al medico, all’elettricista, all’idraulico o ad altri
professionisti in genere, non si chiede che siano “onesti” ma “competenti”,
altrimenti causerebbero gravi danni alla collettività. Purtroppo scopriamo che
gli odierni politici italiani (di ogni partito d’ordine e grado), salvo qualche
lodevole eccezione, non sono ne’“competenti” e neppure “ onesti”.
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