Marco F. Cavallotti
Lunedì, 07 Ottobre 2013
Contrariamente a quello che si sta proclamando da più parti, il berlusconismo
non è morto, se per berlusconismo non vogliamo riferirci semplicemente all'uomo
Berlusconi, vittima di una strategia di attacco che di "politico" in senso
stretto ormai ha ben poco. Il berlusconismo, anzi, ha fatto prevalere a livello
nazionale uno stile ed una concezione della politica - ad esempio, l'idea della
necessità di un leader, una certa propensione ad evitare le eccessive
"mediazioni della politica" con una corrispondente spinta verso "le piazze" e
verso "la gente", tutte cose che in fondo appaiono ragionevoli reazioni al
partitismo imperante del periodo precedente -; e ha dato forma in Italia ad una
tendenza generale delle democrazie a cavallo fra XX e XXI secolo, quella alla
personalizzazione della politica, che è arrivata fino alla creazione di vere e
proprie "dinastie repubblicane" - come negli USA per citare l'esempio più
evidente e clamoroso. Sono tratti caratteristici che ormai in buona parte
appaiono propri anche dello stesso principale contendente da "sinistra" di
Berlusconi, il giovane Renzi: non voler tenere conto di questa realtà è un
tratto tipico di buona parte della cultura politica nazionale, formatasi
sostanzialmente nella stessa temperie di quella che commise un analogo errore
nell'immediato dopoguerra: non ha mai saputo e voluto fare i conti con un
passato che pure ha improntato di sé molti tratti del presente.
Il carattere vincente e insieme il limite del berlusconismo "berlusconiano" –
certi tratti del berlusconismo sono diventati generali, come si è visto, e
corrispondono a una tendenza internazionale – sta nella sua stessa ragione
fondativa: la chiamata alle urne e l'unione di tutti coloro che non avrebbero
mai voluto al potere un partito postcomunista e le sue frange. Così fu
inaspettatamente sconfitta la "gioiosa macchina da guerra" di Occhetto.
Su questo schema in pochi mesi si formò un analogo opposto schieramento. Due
schieramenti che avevano in comune poco più che il contrasto con l'avversario, e
che svilupparono ben presto un odio manicheo e tremendamente superficiale, visto
che ogni polo, in casa sua, manteneva senza risolverle una serie infinita di
posizioni contrastanti e di contraddizioni.
Così in nome dell'anticomunismo hanno polemizzato e si sono battuti insieme
(almeno in parte e con varia convinzione) postfascisti, liberali,
postdemocristiani, cattolici in libertà, ex-radicali e socialdemocratici; e in
nome di una sinistra variopinta e vaga come poche altre volte – eredi del Pci,
figliocci della sinistra Dc, radicali di sinistra, verdi e verdi-rossi –, il
centrodestra con Berlusconi in più, visto che esso era cresciuto intorno a un
capo carismatico. Ma si tratta di schieramenti che spesso agitano bandiere le
quali, oltre ad essere scarsamente compatibili, sono anche vecchie e superate
dalla storia, offrendo per i problemi d'oggi soluzioni e prospettive ormai
davvero improponibili.
Insomma, abbiamo due formazioni composite, potenzialmente pronte allo scontro
al loro interno, che vivono un bipolarismo tutto basato su una contrapposizione
paradossalmente immobilizzante proprio per la logica con cui si sono
formate.
Con questo non voglio dire che non esista più il “comunismo” – come un po'
pittorescamente, ma con sicuro effetto evocativo, lo chiama Berlusconi. Anche
ammettendo che una svolta ci sia stata con la caduta di Bersani e con la
liquidazione di buona parte della sua generazione, formatasi nel Pci, non esiste
più solo se non si vogliono trovare le sue tracce nello statalismo esasperato
che si nasconde in molte prese di posizioni sindacali, in una concezione della
Giustizia del tutto particolare e settaria, nell'odio pregiudiziale per il
“privato” e nella predilezione per il pubblico anche quando si rivela rovinoso e
a volte perfino banditesco, come si è visto nella “battaglia per l'acqua
pubblica”; nell'avversione ideologica verso le “partite iva”, verso la libera
imprenditoria, verso il merito non egualitario... Ma propensioni ed
atteggiamenti analoghi hanno potuto riscontrarsi anche nelle file del
centrodestra, ed hanno spesso prevalso sulle componenti vagamente liberali o
liberiste presenti nel Pdl.
Berlusconi non ha potuto né saputo risolvere queste contraddizioni, come non
c'è riuscito alcun altro, sull'un fronte o sull'opposto. La mancanza nel loro
seno di un confronto serio e di un dibattito aperto ha portato al rischio di
esplosione in entrambi i fronti.
Ci sarebbe da augurarsi che la situazione si chiarisca in una discussione
generale... mentre Letta continuerà ancora per qualche mese a tessere piccoli
compromessi ed a lanciare grandi annunci sotto gli occhi benevoli di chi
confonde la stabilità con l'immobilismo e la putrefazione. È una discussione che
aspettiamo da oltre mezzo secolo, e forse questo potrebbe essere il momento
buono. Ma proprio i molti e complessi legami che soprattutto la sinistra ha
stretto nella sua corsa al potere con organi dello Stato, con molti media e con
buona parte della grande imprenditoria superstite in Italia, renderanno il
processo difficile, lento e impacciato. Tanto da far temere che ancora una
volta, da quella parte, non si possa cominciare davvero a cavare gli scheletri
dagli armadi.
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