Gianni Pardo
Mercoledì, 30 Ottobre 2013
Chi è Matteo Renzi? Per rispondere non basta sapere che è il sindaco di
Firenze e che nel Pd si candida a tutto. Bisognerebbe sapere che cosa pensa, che
programmi ha, dove condurrebbe il Pd e l’Italia, se gliene affidassero la guida.
Ma è esattamente ciò che non sappiamo. Fino ad oggi di questo politico abbiamo
visto soltanto lo stile: quello di un grande comunicatore. Di uno che sa parlare
con semplicità ed efficacia, lontano dal politichese, e che riesce a snocciolare
migliaia di parole suggestive senza dire in sostanza niente di niente. Questa
l’impressione, sia se uno l’ha ascoltato nel breve flash di un telegiornale, sia
se ha avuto la pazienza di starlo a sentire per ore.
Da questo non si può dedurre che non abbia idee, che è insignificante, che è
fatuo. Sarebbe un errore. Un errore che ha commesso D’Alema quando lo ha
paragonato a Virna Lisi: “Con quella bocca può dire ciò che vuole”. Proprio lui
dovrebbe sapere meglio di altri che la bocca conta eccome. Se è stato lungi dal
fare la carriera che avrebbe potuto fare è perché, pur se gli altri e perfino
gli avversari gli hanno sempre manifestato stima intellettuale, la sua capacità
di essere “antipatico” e di farsi dei nemici ha prevalso su tutto. Tanto che è
rimasto un ottimate pugliese.
Renzi potrebbe essere uno sciocchino e potrebbe essere un genio. Se fosse un
genio potrebbe aver capito che in politica prima si conquista il comando e poi
lo si usa a modo proprio. Anche diversamente da come si era promesso. O
addirittura come non lo si è neppure promesso, cioè facendo una campagna
elettorale del tutto vacua, insignificante, elusiva. Fatta di colori e non di
forme. Abbiamo un esempio preclaro, in materia: Barack H.Obama è un Presidente
che in vita sua ha solo proclamato ovvietà con la sua voce rauca, per il resto
rimettendosi a chi ne sapeva più di lui. Questo quando è andata bene. Infatti è
andata male quando ha voluto agire da sé, seguendo le sue utopie infantili, come
nel caso delle aperture agli arabi e delle minacce alla Siria per le armi
chimiche.
Renzi ha capito che i personaggi del Pd sono supremamente antipatici e che
questo, nell’era della televisione, è un errore imperdonabile. E dire che la
strada giusta tutti l’hanno avuta sotto gli occhi, per anni: il capo del Pdl è
un quasi ottantenne senza un capello bianco e un brillante intrattenitore che ha
costantemente sorriso. Il Pd invece ha avuto il farfugliante e sdentato Prodi,
il calvo e vagamente rurale Bersani, l’accigliato e inconsistente Franceschini,
il velenoso D’Alema e la grigia Bindi. Dunque il giovane sindaco ha capito che
doveva adottare tutt’altra formula. Doveva approfittare del suo bell’aspetto.
Doveva essere cordiale, sorridere sempre, non mostrarsi mai supponente e
presentarsi come una sorta di underdog, un povero ragazzo che, novello
Davide contro Golia, vuole affrontare con il suo ingenuo entusiasmo il Moloch
del partito. Eccellente narrazione, direbbe il caricaturale professor
Vendola.
In tutto questo dov’è il programma? Domanda sbagliata. Innanzi tutto si può
divenire Presidente degli Stati Uniti senza un programma, semplicemente
promettendo che “andrà meglio”. In secondo luogo e soprattutto, quanto più il
programma è rivoluzionario, tanto più bisogna tenerlo nascosto. Renzi potrebbe
essere un fuoco di paglia ma potrebbe essere un Gorbaciov che arriva alla
massima carica per poi svelare che vuole distruggere il mondo che l’ha portato
fin lì. Non lo sappiamo.
Questo modo di conquistare il potere è concettualmente semplice, il difficile
è attuarlo. Renzi fino ad ora c’è riuscito. Intanto, rendendosi simpatico, ha
fatto pensare a tutti che potrebbe vincere. E ciò ha cambiato lo scenario. Un
anno fa i colleghi di partito lo disprezzavano e lo trattavano addirittura da
berlusconiano, ora tengono d’occhio i sondaggi e il loro tono è completamente
cambiato. La prospettiva di un suo successo li ha automaticamente trasformati in
alleati: sperano infatti di condividere una parte del bottino. Quanto agli
ideali, al programma vero e a quello di facciata, sono cose secondarie. Nel Pd
come in qualunque altro partito la cadrega viene prima.
La conclusione è semplice: non sappiamo chi sia Matteo Renzi. Ma i suoi
compagni di cordata – se hanno a cuore l’Italia – farebbero bene a saperlo.
Almeno loro.
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