Mentre la storia travolge ideologie, religioni, muri, barricate, di vario genere e natura ci sono alcune liturgie, etichette, presunzioni che resistono inossidabili. Una di queste isole di nostalgia disperata è la convinzione di una generazione politica di “essere di sinistra” e con questa convinzione, che ritengono implicito certificato di “superiorità” intellettuale, marcano gli altri ”di “essere di destra”, e quindi patetici minus habentes. A poco sono valsi almeno venti anni di affettato snobismo con il quale si è predicato il superamento delle due categorie e la loro semantica inconsistenza con la storia attuale.
Nemmeno lo splendido apologo cantato da Giorgio Gaber è riuscito a smantellare l’orgoglio di proclamarsi “di sinistra” e quindi di esercitare il diritto, acquisito per “unzione”, di considerare “un po’ scemi” gli altri marcati come “di destra”. La roccaforte dei nostalgici convinti di appartenere a una ideologia superiore morta da almeno venti anni è destinata a resistere e crollerà, forse, con il naturale trapasso generazionale.
Quello che è successo in realtà è un po’ più complicato dello svuotamento semantico della categoria “di sinistra” e della sua speculare categoria “di destra”: la storia con il suo garbo caotico e beffardo ha mescolato le carte, i valori, le convinzioni, gli istituti in modo assolutamente scomposto.
È cambiato tutto nel vasto campo magnetico dell’ideologia: non ci sono più due poli, Nord e Sud. Ce ne sono cinquanta e forse ottantadue. Chi era abituato a muoversi con quella bussola è perso nell’intrico delle nuove, molteplici e controverse polarità. Molti continuano a ritenersi convinti “di sinistra” mentre le loro fiducie e verità sono diventate una letale grettezza reazionaria.
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