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martedì 10 aprile 2012

Mario Monti tira a campare.

L’avevo scritto appena aveva ricevuto l’incarico: Monti e’ una “pistola scarica”, ne ho ora la conferma e mi dispiace di aver avuto ragione adesso che stavo per credere che fosse l’uomo giusto al posto giusto. Il governo ha annunciato la “capitolazione” sull’art. 18 cedendo alle pressioni del Pd e della Cgil e non e’ da stupirsi se il Pdl e Casini avranno chiesto qualcosa in cambio. Nulla e’ cambiato per “incoraggiare” gli investitori stranieri che continueranno a tenersi alla larga dall’Italia mentre gli industriali italiani, con ancora un po’ di capitale disponibile, investiranno all’estero, nella “trappola“ rimarranno i piccoli industriali a corto di capitali e quelli che stanno per fallire. Chi creerà i posti di lavoro per i giovani? In attesa di capire quali concessioni ha ottenuto il Pdl per cedere sull’articolo 18, il Financial Times ed anche il Wall Street Journal sembra voltare le spalle a Monti, paragonato solo pochi giorni prima niente meno che alla Thatcher. I due quotidiani finanziari, dopo la sbornia “montiana” iniziale “euforici” per il “defenestramento” di Berlusconi, cominciano a giudicare Monti con piu’ obbiettività. Le stangate fiscali che sembrano mai non finire, l’aumento dei prezzi dei carburanti e della bolletta energetica, il pasticcio dell'Imu (Imposta Municipale Unica) da cui scopriamo che sono “incredibilmente esentate” le banche, le sedi dei partiti e dei sindacati ed altri “privilegiati”, mentre “la pagheranno gli anziani” ricoverati nelle case di riposo, e’ l’ennesima prova della non “equità” dell’azione del governo. La “non riforma del lavoro” rischia di decretare la fine della credibilità di Monti che, per ragioni ancora incomprensibili, preferisce “tirare a campare” invece di procedere a vere riforme urgenti e necessarie. L’unica riforma di un certo rilievo resta quella delle pensioni, per il resto solo tasse che hanno depresso l’economia, aggravando una recessione che rischia di compromettere la ripresa economica ed il risanamento del debito pubblico. Con il “flop” sull'articolo 18, Monti butta la maschera ed e’ chiaro che sta “bleffando”. La “non riforma” del lavoro e’ il “preludio” di cosa intendono concretamente il Pd, il Pdl e l’Udc: una “Grande Coalizione” nel 2013 dopo il governo dei tecnici. Ancora “lacrime e sangue” per gli italiani “senza farsi del male a vicenda” e salvando i loro scandalosi privilegi. Se fosse cosi’ Angelino Alfano e neppure nessun altro avranno il mio voto. Un sondaggio indica che soltanto l’1% degli italiani ha fiducia dei partiti. A me sembra una percentuale anche troppo alta.
Sparlavano sempre di Berlusconi per tenere nascoste le magagne altrui.

Gli “antiberlusconiani”, sempre fanaticamente esagerati contro Silvio, non vedevano l’ora che sparisse sperando, magari, gettato in galera e buttata via la chiave. In Italia si era creata la “psicosi” che il “nanerottolo” (come lo sbeffeggiavano, ma molti sono alti come lui) fosse stato un gigante che teneva sotto i suoi piedi l’Italia. Perché mai tutto doveva ruotare intorno a Silvio Berlusconi? Perché dovesse costituire notizia e motivo di “feroce critica”, ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo sospiro, per quanto insignificanti? Berlusconi ha capito che non lo facevano governare, che non poteva salvare l’Italia, e che tutti gli avrebbero dato il torto della crisi e di tutti i “malanni” dell’Italia. A questo punto, con grande intelligenza e senza perdere il sorriso, si e’ fatto da parte. L’Italia si e’ sentita “sgomentata” ed improvvisamente “orfana”. Con chi prendersela ora? E su chi scherzeranno i comici? E di che cosa si discuterà? Berlusconi si è fatto da parte e ci siamo ritrovati tra i piedi dei veri “nanerottoli”. Siamo passati da uno spettacolo “smagliante” a uno in “bianco e nero” interpretato dalla voce “monotona” e “lagnosa” di Mario Monti. Berlusconi si sta togliendo lo “sfizio” di guardare l’Italia senza di lui. La “perdita di interesse” dei talk show, la “disperazione” dei comici, la “preoccupazione” dei professionisti dell’antiberlusconismo che ora faranno la fame. Sta vedendo che l’intero Paese e’ uscito dalla “suggestione collettiva” che era quella di dirgli “incessantemente” male sempre e comunque, “a prescindere”. Tutti vedevano la “pagliuzza” nell’occhio di Berlusconi, ma non la “trave” nei loro occhi. Ora che volontariamente si e’ “eclissato”, sta venendo a galla “magagne” di ogni sorta di molti personaggi e di partiti da anni “insabbiate”. Grazie Silvio per esserti fatto da parte!
Avete problemi? Affidatevi agli organi rappresentativi, ai comitati di assistenza, alle associazioni regionali, ai “Cavalieri” e ai “Commendatori” dell’ordine “della Stella della solidarietà italiana”.

Dalla mia esperienza di volontario per assistere le persone anziane, sia a domicilio che nelle case di riposo (inizialmente per conto di un comitato di assistenza italiano e successivamente “privatamente”), con grande “sconcerto”, mi si e’ rivelato un mondo, in alcuni casi “cinico” e “crudele”, che credevo impossibile che esistesse. Non voglio generalizzare perche’, per fortuna, la stragrande maggioranza delle case di riposo, oltre ad essere socialmente utili, svolgono il loro compito con la massima efficienza, professionalità, compassione e scrupolosità. Mettiamo pero’ il caso che una casa di riposo, per non perdere il profitto (che sembra sia molto alto) che ricava da un suo “assistito”, lo tenga “segregato” e gli “impedisca” di ritornare a vivere una vita normale avendone i requisiti fisici e mentali, soltanto perche’ e’ persona sola e abbandonata, ed anche perche’, purtroppo, ha soltanto la cittadinanza australiana avendo perso quella italiana molti anni fa ed e’ per questo che l’Ambasciata ed il Consolato italiano non possono intervenire a sua protezione. Ma verrebbe subito da pensare che, se una persona si trovasse in queste condizioni, “immediatamente” in suo aiuto entrerebbero in “azione” gli “organi rappresentativi” degli italiani all’estero, ossia i COMITES (comitati degli italiani all’estero), il CGIE (Comitato generale italiani all’estero), i parlamentari eletti all’estero (in Australia Nino Randazzo e Marco Fedi), le associazioni regionali, il CO.AS.IT. (Comitato assistenza italiani), la Filef (Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e le Loro Famiglie), ed anche gli “insigniti” dell’onorificenza di “Cavalieri” e “Commendatori” dell’ordine della “stella al merito della solidarietà italiana”. Tutti, infatti, si “dichiarano” a disposizione degli italiani all’estero specialmente di chi e’ in difficoltà. Circa un anno fa’, durante le mie visite settimanali alle case di riposo per conto di un comitato di assistenza italiano, incontrai Oreste (per la legge sulla “privacy” non uso il suo vero nome). Subito mi resi conto che era una persona “autosufficiente” anche se aveva alcune disabilità, ma non cosi’ gravi da essere costretto a vivere “segregato” in una casa di riposo esclusivamente destinata alla cura di persone “totalmente inabili”. Oreste e’ di un anno piu’ giovane di me. Fui “atterrito” nell’immaginare il triste e terrificante destino che lo attendeva. Mi diedi subito da fare per poterlo trasferire in una casa di riposo dove potesse avere, nel limite del possibile, una vita migliore di relazione con altre persone di origine italiana considerato dove si trovava era completamente “isolato”. Questo mio tentativo fu osteggiato “accanitamente” dai dirigenti della casa di riposo e lo considerarono “inopportuno”. Protestarono con la direzione del comitato di assistenza del quale facevo parte. Fui convocato e venni messo di fronte a due opzioni: seguire le regole formali, oppure continuare ad aiutare Oreste ma, in quel caso, avrei dovuto dimettermi. Ovviamente scelsi la seconda opzione. Nelle mie visite successive venni a sapere che Oreste aveva dei fratelli in Italia. Mi misi immediatamente in contatto con loro e fui molto felice nell’apprendere che lo avrebbero molto ben volentieri ospitato a casa loro se fosse ritornato permanentemente in Italia. A quel punto pensavo che, per motivi “compassionevoli” ed “umanitari”, avrei avuto la collaborazione dei dirigenti della casa di riposo: fu pia “illusione”. Anzi, misero in atto un incredibile “stratagemma” per non perdere il loro “cliente”. Evidentemente molto “prezioso”. Sino a quel momento Oreste era una persona “libera” di decidere “autonomamente” la sua residenza, per “annullare” questa sua’ facoltà e per “incastralo”, lo costrinsero a sottoporsi ad un test psicologico (gli addebitarono persino il costo) perche’ fosse dichiarato incapace di intendere e di volere. A quel punto il Tribunale gli assegnò un “Public Guardian” con il potere di decidere il luogo della sua residenza e cosi’ gli ha “intimato” di continuare a risiedere nella casa di riposo dove lo tengono “segregato”. C’e’ qualche cosa che non quadra in questa storia che va “contro ogni principio umano”. Un parente di Oreste, settimane fa, e’ arrivato in Australia per convincere il Public Guardian di permettere il suo ritorno nel suo paese nativo, purtroppo il tentativo e’ risultato vano. Gli “organi rappresentativi” degli italiani nel mondo, le associazioni regionali, i comitati di assistenza, i “Cavalieri” ed i “Commendatori” dell’ordine della “stella al merito per la solidarietà italiana” hanno un’ottima occasione per dimostrare la loro “solidarietà” e per aiutare chi e’ veramente nel bisogno.

martedì 3 aprile 2012


Perche’ i giovani fanno i “lavapiatti” all’estero? Con l’abolizione del titolo di studio in Italia potrebbe esserci la piena occupazione.

L’Istat (Istituto di statistica) informa che in Italia un giovane su tre e’ senza lavoro, infatti il tasso di disoccupazione e’ del 31,9%. I tassi più alti di disoccupazione giovanile si registrano in Spagna (48,7%), Grecia (47,2%) e Slovacchia (35,6%). I tassi più bassi sono quelli di Germania (7,8%), Austria (8,2%) e Olanda (8,6%). Il totale generale dei disoccupati in Italia e’ di 2,623 milioni. Sempre l’Istat informa che sono 4,2 milioni gli stranieri residenti in Italia, che però diventano 4,9 milioni, se si considerano anche tutti i regolari non ancora registrati nelle anagrafi. Un milione sono i minori (di cui circa la metà nati in Italia) e circa 600 mila le donne e gli anziani che non lavorano, quindi gli immigrati occupati sono oltre 3 milioni. L’Italia non potrebbe andare avanti senza lavoratori stranieri. Agricoltura, edilizia, industria, artigianato, assistenza familiare e tanti altri settori idraulici, elettricisti, falegnami, gommisti, riparatori ecc. non sono piu’ “appetibili” per gli italiani. Il dato su cui profondamente riflettere e’ che mentre “aumenta la disoccupazione” degli italiani “aumenta l’occupazione” degli stranieri. Il che significa che, se gli italiani non “rifiutassero” i lavori che gli immigrati “accettano”, in Italia ci sarebbe la “piena occupazione” e spazio ancora per una contenuta immigrazione. Sei anni fa vennero in Australia due nostri nipoti Matteo ed Andrea, entrambi venticinquenni e cugini tra loro. Debbo dire che mi fece molto piacere che tenevano a mantenere il loro originale nome di battesimo e non erano mai “caduti in tentazione” di “tradurlo” in inglese, “vezzo” che hanno invece molti giovani italiani, evidentemente non “orgogliosi” della loro origine. I nipoti ci informarono che entrambi erano laureati in “Scienza della comunicazione”. Senza peli sulla lingua dissi che si trattava di una laurea “fasulla“. Infatti, ammisero che hanno frequentato l’Università’ tanto per accontentare i genitori, ma erano consapevoli che quella laurea sarebbe servita a ben poco. Quel “pezzo di carta”, pero’, avrebbe fatto la sua “bella figura” in una “preziosa cornice” appesa ad una parete del salotto buono per la gioia di mamma e papà. Matteo ed Andrea capivano e parlavano pochissimo l’inglese. Pur consapevole d’infrangere il loro sogno, come e’ mia abitudine, fui con loro piuttosto franco. Senza conoscere “fluentemente” l’inglese, magari anche privo di “accento” italiano, gli sarebbero state precluse in Australia tutte le opportunita’ (se ce ne fossero state) che quella loro laurea avrebbe potuto offrire. Mi assicurarono che erano molto “determinati” ed avrebbero affrontato “qualsiasi” sacrificio pur di poter realizzare il loro sogno di restare in Australia visto che in Italia non si trovava lavoro neppure cercandolo con il “lanternino”. Ovviamente li ospitammo a casa nostra per tutto il tempo della loro permanenza per “attutire” il primo “impatto” con la non “facile” realtà australiana. Ci sembrò alquanto “strano”, pero’, che prima di iniziare a “lavorare”, decisero di dedicare alcune settimane al turismo intorno Sydney ed anche per visitare altre località dell’Australia. Certamente questo era un lusso che non hanno potuto concedersi i molti emigranti italiani degli anni passati. Sapete com’e’, durate gli studi universitari, avevano avuto l’opportunità’ (con i soldi di papà e mamma’) di visitare molti Paesi, dall’Inghilterra agli Usa, dall’India a Charm el-Sheikh in Egitto ecc. e l’abitudine era rimasta. Finite le “vacanze australiane” (ed i soldi) le uniche opportunita’ di lavoro che trovarono (anche con una certa difficoltà) furono quelle di “lavapiatti” nei ristoranti: esclusivamente italiani. Dopo un paio di settimane di mattutine “levataccie”, ritorni a “notte fonda” e di viaggi andata/ritorno con bus/treno, si resero conto che la strada intrapresa non li portava da nessuna parte. Per quello che guadagnavano non potevano diventare “autosufficienti” e per il poco tempo che gli restava a disposizione il loro inglese non sarebbe diventato neppure “discreto”. Invitai i due a sederci per fare il punto. Cari Matteo ed Andrea, se venite in Australia per realizzare il vostro sogno, e se “lodevolmente” siete disposti a fare anche i “lavapiatti”, dovete pero’ rendervi conto che tutto questo non basta. Dovrete attendere almeno dieci anni perche’ il vostro inglese diventi “sufficientemente” buono, difficilmente diventerà “fluente” perche’ non e’ la vostra madre lingua. Mettete poi in conto che sarà molto “difficoltoso” adeguarsi allo “stile di vita” australiano del tutto diverso da quello a cui siete stati sinora abituati. Infine, rendetevi conto che la “mentalità” anglosassone e’ “all’opposto” della nostra. Ricordatevi che e’ la comunità “dominante” ed occupano le migliori posizioni e cariche nelle maggiori aziende private e nell’amministrazione pubblica. Spesse volte ci troviamo in forte conflitto con loro, anche se noi italiani, per natura, abbiamo una mentalità “flessibile”, eppure, spesse volte, questo non e’ sufficiente. Secondo la mia esperienza vissuta per 43 anni in Italia e 24 anni in Australia, vi consiglio di ritornare in Italia. Se la non troverete quello che “volete”, iniziate a fare quello che “potete”, anche i “lavapiatti”, ma almeno li parlerete la vostra lingua, conoscete la mentalità e non subirete “discriminazioni” che, anche se non sembra, sono molte ancora diffuse in Australia. Tornatevene in Italia e cercate d’imitare gli “immigrati” e vedrete che, prima o poi, anche voi troverete la vostra strada, anche se non sarà “consona” alla vostra laurea. Sarà che si resero conto della “durezza” della vita iniziale in Australia e dei lunghi anni di duri sacrifici che li attendevano, o perche’ vollero seguire il mio consiglio, o l’uno e l’altro, Andrea e Matteo ritornarono a Civitanova Marche. Non rifiutarono il primo lavoro che gli fu offerto (pulire la sera gli uffici. Albanese era il titolare dell’impresa). E come si sa da cosa nasce cosa. Non avendo l’ostacolo della lingua, conoscendo bene l’ambiente e la mentalità dove si e’ nati e cresciuti, dopo alcune esperienze, negative e positive, oggi sono molto ben considerati, ed anche ben remunerati, dalle ditte in cui lavorano. Matteo e’ “emigrato” a Grosseto (Toscana) e lavora in una grande ditta di distribuzione di abbigliamento. Andrea e’ rimasto nelle Marche, ma si e’ trasferito a Fabriano ed e’ impiegato in una ditta che produce “cappe aspiranti” e spesse volte, per lavoro, visita la Cina particolarmente Shangai. Morale della favola. Per i giovani italiani l’America o l’Australia potrebbe essere ancora l’Italia, “considerato che lo e’ per circa 5 milioni di stranieri”. I giovani italiani che sono disposti a fare i “lavapiatti” in qualsiasi Paese del mondo, non dovrebbero avere “remore” di fare questo lavoro anche in Italia in attesa che gli si presenti un’adeguata occupazione, anche se non del tutto “consona” alla laurea conseguita. Ecco perche’ da tempo sono tra i sostenitori che sia opportuno che “il valore del titolo di studio” debba essere “abolito”. L’Italia ha piu’ bisogno di persone disposte a lavorare che di laureati per lo piu’ con “lauree fasulle”. Le madri ed i padri italiani preferiscono sacrificarsi per far studiare all’Università’ i loro figli piuttosto che indirizzarli ad imparare un mestiere. Abolire il valore legale del titolo di studio e’, allora, anche il miglior rimedio per combattere la “disoccupazione” ed abolire il “provincialismo” italiano: quello che venderebbe l’anima al diavolo pur di leggere sul biglietto da visita del figlio la parola “Dottore”. E’ un “ridicolo malcostume” italiano dove, se non sei “dottore” non sei nessuno, mentre nel mondo anglosassone, anche i piu’ valenti “dottori”, sono semplicemente Mr., Miss. o Mrs. “Abolire il valore legale dei titoli di studio” porterebbe piu’ efficienza e qualità alla formazione scolastica e al mondo del lavoro in Italia che e’, ormai, sempre più il fanalino di coda nelle classifiche. La laurea “fasulla” e’ il motivo principale dell’arretratezza della Pubblica amministrazione italiana. Per essere assunti si sa che occorre possedere “il pezzo di carta” (e la giusta “raccomandazione”), poco importa se poi si e’ del tutto impreparati. Questo non accade certo per le aziende private. Da sempre reclutano personale sempre in base “all’efficienza” e a criteri di “meritocrazia”. Se poi un’azienda privata assume un “incapace”, c’è la garanzia “garantita” che il responsabile di tale assunzione e lo stesso assunto vengano, prima o poi, “sbattuti fuori”, e non c’e’ art.18 che tenga. Se il “pezzo di carta” non darebbe piu’ nessun diritto e non fosse piu’ un “marchio snob”, tutti gli studenti “immotivati a studiare” (e sono la maggior parte come riferisce il rapporto statistico fra laureati e iscritti), e che sono un peso per la collettività, “fuggirebbero a gambe levate” ed imparerebbero un “mestiere” ed in Italia ci sarebbe la “piena occupazione” e molto meno immigrati.

lunedì 26 marzo 2012

Sarà guerra furibonda in Parlamento per l’art।18.

Il mancato decreto legge per la modifica dell’art.18 blocca le aspettative di flessibilità ed e’ contro gli interessi dei giovani che aspettano che si apra il mercato del lavoro. Servirebbero, invece, tempi brevi per uscire dalla crisi, servono decisioni rapide. Ci sono seri dubbi che il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro uscirà dal Parlamento. E, se lo sarà, ci sono seri dubbi che la legge sarà migliorata, rispetto alla necessaria rigidità attuale. In Parlamento accadrà di tutto: imboscate, ricatti, veti, trasformazioni, guerriglia ... mentre, con la regia dei sindacati sovversivi e dei gruppi di odio sociale, il Paese sarà messo a soqquadro. Prima c’era la scusa di Berlusconi al governo. E’ duro a morire lo spirito “sessantottino”. Con l’inevitabile scontro parlamentare, l'Italia perderà ancor più competitività, gli investitori esteri si terranno alla larga mentre quelli italiani accelerano a “delocare” fuori dall’Italia. Il Pil si abbasserà ulteriormente e aumenterà ancor di piu’ la disoccupazione. Tutto questo porterà acqua ai mulini degli “arruffapopoli” Vendola e Di Pietro. Ancora una volta il PD dimostra di non esistere. Bersani e’ già fuori gioco, non conta niente, non ha coraggio. Il governo Monti e’ gia’ al tramonto? Se dovesse cadere e’ dimostrato che il Pd non mantiene gli impegni per l’interesse del Paese. E’ “demenziale” arrivare a elezioni politiche in un clima da guerra civile per l’art. 18.
Fine del “posto fisso” a vita?

L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, uno dei tanti tabù che tengono ingessata l’Italia e non la fa progredire, forse e’ stato superato, seppure persistono resistenze che si spera risulteranno vane. Ma subito qualcuno ha voluto precisare che la riforma del mercato del lavoro non riguarderà il settore del pubblico impiego, se cosi’ fosse la riforma sarebbe “incoerente”. Come molti sanno, diciannove anni fa, con il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, fu attuata una riforma generale del pubblico impiego, ispirata al principio della privatizzazione del rapporto di lavoro di impiegati e dipendenti pubblici. Il decreto legislativo n. 29/1993 non esiste più perché e’ stato abrogato, ma la normativa che l’ha sostituito (decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) ha la medesima logica. Per la stragrande maggioranza dei lavoratori del pubblico impiego vale la regola che il rapporto di lavoro e’ disciplinato dal Codice Civile e dalle disposizioni vigenti sui “rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”. L’applicazione di questa disposizione, contenuta nel Codice Civile, vale per i dipendenti dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Soltanto per i dirigenti statali sono previsti contratti particolari legati al conseguimento di obiettivi. A questo punto la domanda sorge spontanea: una volta che la disciplina del lavoro viene applicata ai lavoratori privati, cambiano anche i rapporti di lavoro nel pubblico impiego? Come può essere che non ci siano conseguenze per gli impiegati pubblici? E’ solo questione di tempo. Ma come e’ possibile che le pubbliche amministrazioni, le quali hanno ciascuna una propria pianta organica, possano licenziare i dipendenti per motivi economici? Nella grave crisi economica in corso molte cose cambieranno anche perche’ sarà “costituzionalizzato” il pareggio di bilancio. Saranno “obbligatori” gli impegni assunti in sede di Unione Europea con la firma del nuovo “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria”. Se davvero non potranno più esserci “bilanci in passivo” e se davvero l’Italia “dovrà ridurre il debito pubblico” fino al parametro previsto del 60% rispetto al PIL, con un ammortamento ventennale, allora bisognerà mettere in conto che le pubbliche amministrazioni, a tutti i livelli, “dovranno costare meno”. La conseguenza sarà che lo Stato sarà costretto a “snellire” il “mastodontico” apparato burocratico privandosi di tutti quei settori non più essenziali, né strategici. Del resto, non e’ forse vero che negli Stati Uniti d’America, in Australia e in molti altri paesi e’ normale che i dipendenti pubblici “possano essere licenziati”, soprattutto i dipendenti dei singoli Stati? Non e’ forse vero che alla Grecia e’ stato imposto un piano di licenziamenti nel settore pubblico? La verità e’ che la possibilità di licenziamenti più facili da parte delle imprese, e la possibilità di licenziare pure lavoratori del settore pubblico, sono due aspetti di una medesima strategia. L’applicazione avverrà in tempi diversi e non vuole ammetterlo chi fa finta di non sapere. Ma i cittadini sono meno “cretini” di quanto molti politici suppongano. Molto presto si accenderà un’infuocata discussione su un altro tabù: il “posto fisso” nel pubblico impiego. Così, sperando di superare un tabù dopo l'altro, l’Italia diventerà sempre più flessibile, moderna e competitiva.
Se si spende più di quanto si guadagna fatalmente ci si caccia in guai seri.

In tutti i secoli, nei periodi di crisi finanziaria, i cittadini sono stati sempre sicuri che “in un modo o nell’altro ce la si sarebbe cavata”, che una soluzione si sarebbe trovata. Che comunque “Roma e il suo Impero erano destinati all’eternità”. Cosi’ ognuno si “arrabattava” a vivere la propria vita e non percepiva la lenta “decadenza” che minava il mondo. Finché i romani si sono creduti “invincibili” ed hanno sentito il dovere di difendere la patria, Roma si e’ ingrandita. Quando hanno cominciato a credersi “invulnerabili” ed hanno affidato ad altri la propria difesa, Roma e’ sparita dalla storia. Non hanno tenuto conto di un paio di “regolette” semplici: “se non sai difenderti, morirai” e se affidi la cura dei tuoi interessi a qualcun altro, un giorno scoprirai che quello “fa i suoi interessi e non i tuoi”. Nell’epoca in cui viviamo si e’ voluto dimenticare un fondamentale principio: “Se si spende più di quanto si guadagna fatalmente si va a sbattere”. Per anni ed anni, l’Italia ha speso molto più di quanto guadagnava “e tutti erano contenti”. Perché “non succedeva niente”. L’Italia prosperava invece di fallire. E allora perché non regalare qualcosa a tutti, perché non fare altre spese, perché non dare di piu’ a chi chiedeva magari minacciando? In una parola: perché non comprare il consenso? Non bisogna pensare che i politici degli anni 70/90 fossero tutti “stupidi”. Il principio per cui “non si può spendere più di quanto si guadagna” lo conoscevano benissimo, ma perche’ preoccuparsene? Se la crescita economica continuerà, nel futuro con le imposte si copriranno tutte le spese che facciamo oggi. E perché non doveva continuare quella crescita? Comunque, se nel caso i debiti dello Stato divenissero troppo onerosi, una bella “svalutazione” rimetterebbe le cose a posto. E questo e’ stato fatto più volte. I governanti di quel tempo non volevano perdere le elezioni, ed e’ cosi’ che la Democrazia Cristiana era costantemente al potere (consociata sotto banco con i comunisti) e nessuno poteva scalzarla. Tutti erano convinti del fatto che l’Italia non poteva mai crollare e cominciavano a pensare che quella regola (“non puoi spendere più di quanto guadagni”), dopo tutto, poteva essere non valida. Erano anni che non l’applicavano e tutto continuava ad andare benissimo. Se fa caldo da vent’anni, perché non dovremmo parlare di “cambiamento del clima”? Ma venti anni di seguito, per l’uomo e’ un tempo sufficiente per trarre delle conclusioni, mentre per la Terra quel tempo e’ del tutto insignificante e cos’ lo e’ anche in economia. Siccome tutto va bene “madama la marchesa”, si e’ divenuti così fiduciosi del fatto che l’Italia non potesse fallire, e Prodi ha accettato un cambio lira-euro del tutto sbagliato (1936,27 lire per ogni euro quando la valutazione giusta era attorno alle 1200 lire) e ci si e’ impegnati a non procedere mai più a svalutazioni. Il risultato l’abbiamo visto. Con l’euro i prezzi sono pressoché raddoppiati, non si e’ più potuto “svalutare” la moneta, il debito pubblico e’ rimasto “altissimo”, e infine i mercati finanziari si sono molto allarmati che l’Italia potesse fallire. Fra l’altro, non e’ detto che questo pericolo sia del tutto scongiurato. Oggi nessuno, neppure il governo Monti, sa esattamente come ridivenire competitivi in campo internazionale e come sopravvivere. E nessuno sa come toglierci di dosso un debito pubblico mostruosamente grande. Chi va contro i principi del buon senso, chi arriva a negare l’evidenza, chi pensa che possa avere tutto quello che desidera, prima o poi sbatte la faccia contro la “dura roccia” della realtà.