Powered By Blogger

martedì 23 giugno 2015

In tre generazioni scomparira' dalla terra centinaia di animali compreso l'uomo

Due secoli fa è iniziata secondo gli scienziati l'era dell'antropocene e con lei la fase più distruttiva per le specie viventi sulla Terra. Da questo sterminio non è escluso l'uomo, che ne è comunque il principale fattore distruttore. Più potente del meteorite che milioni di anni fa ha estinto i dinosauri e il 95% delle specie viventi. Secondo lo studio delle università di Stanford, Berkeley, Princeton e di quella del Messico, siamo entrati nella sesta estinzione di massa che sta cancellando specie viventi a un ritmo di 114 volte più rapido del normale. Pubblicato sulla rivista ScienceAdvances, il lavoro dei ricercatori ha messo a confronto l'azione di distruzione della vita attuale con quello prima dell'inizio della rivoluzione industriale. Tra il 1500 e il 1600 sono sparite 54 specie animali, nel XIX secolo sono passate a 144. Negli ultimi cento anni in tutto sono scomparse 396 specie. Senza l'intervento dell'uomo, dicono gli scienziati, ci sarebbero voluto 10 mila anni per mettere in campo una strage di questo genere.
Le cause - Stando all'analisi degli scienziati americani, le colpe dell'accelerazione delle estinzioni andrebbe cercato nel riscaldamento climatico, deforestazione, distruzione degli habitat, cementificazione, introduzione di specie aliene, acidificazione degli oceani e inquinamento. La popolazione umana poi è cresciuta in modo esponenziale con uno sfruttamento "eccessivo delle risorse naturali ai fini di profitto".

A rischio - I primi animali che potrebbero scomparire saranno api e vespe, quindi tutti quegli animali utili all'impollinazione. Il che vuol dire riduzione di cibo. A rischio anche rane e animali anfibiche determinano il ciclo di purificazione dell'acqua. La stima degli scienziati si spinge a non oltre tre generazioni umane (75 anni) prima che arrivi l'estinzione anche dell'uomo stesso.

venerdì 19 giugno 2015

Gli interessi di Renzi bloccano il Paese

L'Italia lamenta di essere lasciata sola dall'Europa – alla quale chiede invano aiuto - di fronte all'immigrazione di massa ma, poi, il presidente del Consiglio dice che l'«Europa non deve mostrare i muscoli».In realtà, se l'Europa mostrasse i muscoli, aderendo all'invocazione italiana, l'Italia non si sentirebbe, e non sarebbe, più sola. Ma tant'è. La contraddizione fotografa la confusione e la mancanza di idee nelle quali si dibatte la nostra politica dell'immigrazione; che un giorno sostiene una cosa e il giorno dopo l'opposto, secondo come tira il vento. È un difetto non solo del governo – che non ha fatto, e non fa nulla di ciò che ci si aspetta dallo Stato in questi casi e apparentemente non sa che fare – ma anche della congiuntura, cioè del conflitto fra interessi nazionali e interessi del Pd e di Renzi.

L'Italia continua ad essere invasa dagli immigrati – che arrivano a frotte e pretendono di usare il nostro territorio come corridoio verso i Paesi del Nord-Europa, che non li vogliono – e che, invece, se rimangono qui, non essendosi integrati e non avendo un lavoro, si trasformano facilmente in criminalità. Non sappiamo come uscirne, stretti fra gli interessi corporativi a utilizzare gli immigrati come manodopera a basso prezzo, imposti dalle organizzazioni cattoliche e da quelle di una sinistra affarista, e i costi che la loro stessa presenza impone a tutti.
L'immigrazione di massa è un caso paradossale. Giova alle corporazioni che operano ai margini della Chiesa cattolica e della sinistra al governo, ma danneggiano il Paese

Renzi privilegia gli interessi corporativi, di parte; che sono, poi, i suoi e quelli del suo partito, rispetto a quelli nazionali e generali. 
Abbiamo un governo che fa l'opposto di ciò che ci si aspetta da lui secondo la definizione classica di politica e di Stato.
In poche parole, abbiamo un governo che non ha una politica, ma solo interessi personali e di partito. L'ex sindaco di Firenze fa, al governo, i fatti suoi e quelli del suo partito, come quando era a capo dell'amministrazione fiorentina in vista di arrivare alla segreteria del Pd e a Palazzo Chigi. Non fa gli interessi del Paese, un po' perché non li sa fare, molto perché non gli conviene. Ha distrutto il Partito democratico, per diventarne segretario; sta distruggendo il Paese dopo esserne diventato presidente del Consiglio e restarci a lungo. È la conseguenza della crisi culturale, prima che politica, nella quale è piombato il Paese. Quando scrivo che non ne usciamo, non sono pessimista, né pregiudizialmente contrario a Renzi – che è arrivato ad un posto più grande di lui – e alla sinistra. Ahimè, solo realista

martedì 16 giugno 2015

Renzi abbaia alla luna

Si vorrebbe tanto capire cos’aveva in mente il premier Matteo Renzi quando, parlando del dramma dei migranti che sbarcano in massa sulle nostre coste, ha affermato: “Sbaglia chi vive su paure e abbaia alla luna”.
Qual è il senso della frase in circostanze come queste? I dizionari ci dicono che “abbaiare alla luna” equivale a fare cose inutili, senza ragione e senza effetto, come per l’appunto i cani che, nelle notti di plenilunio, latrano alla luna, lanciandole una sfida assurda e priva di contenuto.
Che c’entra, però, tale popolare modo di dire con quanto sta avvenendo? Forse a mo’ di spiegazione Renzi ha aggiunto che occorre affrontare i problemi della globalizzazione poiché “nel mondo d’oggi ci sono tanti che abbaiano alla luna, vivono sulle paure e pensano che l’unica dimensione sia rinchiudersi a chiave in casa. Non è così”.
In linea di massima si può anche concordare sul fatto che rinchiudersi a chiave in casa sia poco opportuno. Ma resta da capire la connessione tra i suddetti sbarchi in massa e la globalizzazione. Quest’ultima è un processo di unificazione dei mercati su scala mondiale, resa possibile dall’innovazione tecnologica, che conduce a una progressiva standardizzazione dei modelli di consumo e – soprattutto – degli stili di vita.
E il dubbio diventa allora ancora più grande. Mi chiedo di nuovo quale sia il nesso di conseguenza logica sussistente tra i barconi che continuano senza posa a riversare migliaia e migliaia di disperati sulle coste italiane (e, in misura minore, greche) e la globalizzazione di cui il nostro primo ministro tesse le lodi.
In realtà a me pare che la mente di Renzi sia assai confusa, e mi sembra pure ovvio il tentativo da parte sua di nascondere con facili slogan a effetto una situazione diventata ormai esplosiva.
Poiché è chiaro che non sappiamo bene dove mettere la stragrande maggioranza dei clandestini, né vi sono ipotesi concrete circa una loro possibile utilizzazione sul territorio nazionale.
L’esodo ha assunto proporzioni bibliche. Vorrei tuttavia notare che non è un caso se i barconi si dirigono quasi tutti verso le nostre coste. Accade proprio perché si è diffusa la convinzione che l’Italia è disposta ad accogliere chiunque, nel senso letterale del termine, senza filtri di sorta. Una sorta di Paese di Bengodi in cui tutto è concesso e nel quale l’accoglienza è senza limiti.
E, a questo punto, penso sia necessario sfatare un tormentone assai diffuso. Pure la nostra, si ripete con insistenza da più parti, è una nazione di migranti. Tra ’800 e ’900 milioni di italiani sono andati a cercare fortuna all’estero, molto spesso trovandola. Anche il sottoscritto ha lontani parenti sparsi in ogni angolo del globo.
Vero, ma si dà il caso che i nostri emigrassero verso Paesi in piena espansione economica e che avevano bisogno di mano d’opera per continuare la loro crescita. Parlo per esempio di Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina (che a quei tempi era per l’appunto in grande espansione)
Se qualcuno sostiene che l’Italia d’oggi è in condizioni simili si può senza remore pensare che non è sano di mente.
Da noi, ora, persino i connazionali stentano a trovare lavoro e, nonostante gli stimoli della BCE, la situazione non sembra destinata a migliorare (almeno nel breve termine). Il governo invita a non creare paure e allarmi, forse scordando che sono già presenti nell’opinione pubblica
La quale è inoltre preoccupata dal rischio del terrorismo che non è per nulla solo ipotetico.
E’ certamente legittimo mettere sul banco degli imputati l’Unione Europea che, una volta ancora, sta dimostrando la sua inefficienza. Ed è altrettanto lecito mettere in luce lo scarso (per non dire inesistente) spirito di cooperazione di molte nazioni europee. Caso emblematico la Francia, che ieri ha chiuso la frontiera di Ventimiglia lasciando la polizia italiana da sola nella gestione dell’emergenza.
Ciò che non si può fare, invece, è prendere in giro gli italiani nascondendosi dietro slogan inutili e insensati, come sta facendo Renzi in questi giorni. Nessuno osa negare che il problema sia di difficile soluzione. Però affrontarlo con un po’ di serietà è il minimo da chiedere. Altrimenti è del tutto inutile lamentarsi della crescita del populismo e di tendenze illiberali.

Era glaciale in arrivo in Europa per 50 anni l'Italia coperta dal ghiaccio

"In arrivo un'era glaciale
​Per 50 anni l'Italia
sarà coperta dal ghiaccio"
di Domenico Zurlo

ROMA - 
Winter is coming. L'inverno sta arrivando, recita il motto della casata Stark nei romanzi e nella serie tv Game of Thrones. E stando a quello che sarebbe stato scoperto da un gruppo di scienziati bielorussi, l'inverno starebbe arrivando sul serio: più che un inverno, anzi, una vera e propria Era Glaciale.


Dal 1° settembre di quest'anno, secondo questa fantomatica scoperta, l'Italia e tutta l'Europa saranno investite da una vera e propria ondata di gelo che dovrebbe durare ben 50 anni. La scoperta sarebbe stata fatta analizzando la potenza ionica del Sole e l'andamento delle fasi lunari.



Ovviamente, la portata della notizia fa subito pensare che si tratti di una bufala, o come minimo di una clamorosa cantonata presa dagli scienziati stessi. 

D'altronde, se fosse vera, aprirebbe scenari disastrosi per tutto il nostro Paese, con temperature sotto i 30 gradi e con le massime a -15 nel Nord Italia.



Per il momento, nessuna conferma ufficiale: chi vivrà vedrà. In compenso, e per fortuna, la ricerca prevede solo un gran freddo, e non un esercito di morti armati di asce e spade, o White Walkers che dir si voglia, come nella fortunata serie televisiva.


Martedì 16 Giugno 2015 - Ultimo aggiornamento: 12:53

sabato 13 giugno 2015

L'inutile ottimismo del Premier

I quotidiani assomigliano sempre più alla televisione della sera prima e la tv al Minculpop di un passato tutto da dimenticare. La carta stampata si rifugia nella cronaca che la tv le commina per evitare di pensare.
Di fronte a un mondo della comunicazione che ci sommerge quotidianamente di «informazioni che non producono conoscenza», compito dei media di carta dovrebbe essere quello di fornire una spiegazione dei fatti che produca conoscenza, cultura politica, coscienza civica. Invece, accade ciò che il filosofo Benedetto Croce aveva già denunciato anni fa: il nostro giornalismo teme di pensare, ha paura di pronunciarsi, evita di compromettersi.

Ma, così facendo, viene meno alla propria funzione, che dovrebbe essere appunto quella di individuare il nesso causale fra i fatti e spiegarne la logica. I fatti, così come sono raccontati, prima dalla televisione, poi dai giornali che ne sono l'eco, non significano nulla; al massimo – limitandosi a elencare gli scandali senza spiegarne e ragioni – producono ondate populiste di rifiuto della politica. La cultura civile non fa un passo avanti, neppure a spingerla, e il giudizio che si diffonde è il rigetto della politica alla quale si attribuiscono anche colpe che non ha. Di questo passo, il Paese finisce nelle braccia del primo demagogo di turno come era successo nel '22, quando – di fronte agli incidenti del dopoguerra – gli italiani si erano affidati a Mussolini nella convinzione che avrebbe messo ordine, dopo di che sarebbe stato facile liberarsene. 
Abbiamo visto com'è andata a finire. 
È questa, del resto, la ragione per la quale io diffido di Matteo Renzi. Si era presentato come un innovatore, che avrebbe cambiato il sistema politico, rottamando la vecchia classe dirigente. Si è ridotto a essere un presidente del Consiglio analogo a quelli che lo hanno preceduto e che lui avrebbe dovuto mandare a casa, in pensione.
È aumentata la spesa corrente, che alimenta il debito pubblico, la vera palla al piede del Paese creata dai governi del passato; è cresciuta la disoccupazione, soprattutto giovanile, perché il sistema economico – massacrato dalle tasse – non produce ricchezza e non crea nuovi posti di lavoro. L'economia è ferma e non dà segni di volersi e potersi muovere speditamente come dovrebbe. È del tutto inutile che il capo del governo distribuisca ottimismo ogni volta che compare in pubblico. Se si limita solo a distribuire ottimismo e l'Italia resta com'è, lui, di fronte all'assenza di cambiamento, perde consensi. Dovrebbe, invece, fare ciò che non è riuscito a Berlusconi dopo il 1994: ridurre drasticamente la pressione fiscale e riformare l'apparato burocratico, delegiferando e deregolamentando. Abbiamo uno Stato troppo presente a ogni livello, vuoi per le troppe tasse, vuoi per la troppa burocrazia. Qualche buona iniezione di mercato ci farebbe bene. Perché non la si fa? Renzi, che finora ci ha raccontato che lui chiama pane il pane e vino il vino, sull'argomento non si pronuncia, limitandosi a promettere riforme che, poi, non ha palesemente alcuna intenzione di fare – perché sa che gli costerebbero il sostegno della Pubblica amministrazione dalla quale dipende come dipendevano i suoi predecessorie che non farà. Ma, in tal modo, crea le condizioni del proprio stesso fallimento. Le prime avvisaglie sono già comparse.
Che piaccia o no, è una questione di cultura politica. L'Italia è ferma al 1948al compromesso istituzionale fra quella parte della Resistenza democratica che voleva portare il Paese in Occidente e quella che lo voleva portare all'Est, fra le democrazie popolari dell'Europa centrale e orientale, dominate dall'Unione Sovietica. Paghiamo il prezzo di non aver saputo ripensare il fascismo chiedendoci, innanzi tutto, che cosa aveva rappresentato, e ancora spesso rappresenta, per molti italiani e che cosa è stata la vittoria sul fascismo da parte di un Resistenza che, in realtà, è stata una doppia Resistenza; una democratico-liberale, l'altra filosovietica. Il duplice equivoco continua a condizionare la nostra cultura politica e a impedire al Paese di entrare nella modernità. A suo modo, quello di modernizzare l'Italia era stato anche il tentativo che aveva fatto il fascismo, ma si sa a quale prezzo; non si baratta la libertà con la modernità. Il prezzo che continuiamo a pagare è che non siamo usciti dal guado. Siamo ancora un Paese a metà di mercato e a metà corporativo, collettivista e dirigista. Io che sono vissuto a lungo in Urss e ho conosciuto le democrazie popolari constato che ogni giorno l'Italia assomiglia sempre più all'Urss e al socialismo realizzato: una serie infinita di ostacoli burocratici, di lentezze amministrative – dove occorrerebbe maggiore dinamismo – e la presenza di uno Stato capace solo di opporre ostacoli a chi vuole darsi da fare; una popolazione che si aspetta dallo Stato ciò che essa stessa dovrebbe fare e che sta perdendo la capacità di industriarsi e di risolvere da sé i problemi che si aspetta sia la Pubblica amministrazione a risolverle. Con la sua retorica ottimistica, Renzi avrebbe dovuto dare la sveglia all'Italia addormentata da tale cultura politica. Se non lo ha fatto, e non lo fa, è perché anche lui è figlio di questa stessa Italia. Sveglia ragazzo!

Sporcarsi le mani

Bella, la relazione di Marco Gay all’annuale convegno dei giovani confindustriali. Affilata e precisa, senza concessioni alla facilità di comunicazione. A parte qualche gioco di parole, che immagino si troverà nei titoli (perché alla comunicazione banale concorrono comunicatori e giornalisti, ignorandosi chi sia l’uovo e chi la gallina). Ne metto in evidenza sei punti, che ne descrivono contenuto e taglio. In corsivo il riassunto di quanto detto da Gay, che di quei giovani è presidente.
1. Non possiamo continuare a cambiare le norme e i riferimenti fiscali, nel frattempo rispedendo al mittente finanziamenti europei non utilizzati. Ovvio, si dirà. Mica tanto, visto che ad ogni riforma i mezzi di comunicazione annunciano il cambiamento del mondo, così incentivando il politico desideroso d’apparire più a sventolare bandiere che a contabilizzare risultati. Si potrebbe mettere una regola: ogni riforma deve immediatamente portare a una diminuzione delle norme su eguale materia, altrimenti non è valida.
2. La via giudiziaria alle mani pulite ha fallito. Ha distrutto qualche partito, cambiato qualche consiglio d’amministrazione, ma non è servita a rendere migliore l’Italia. “Perché è stata una resa di conti interna al vecchio sistema”. Non serve aggiungere altro. Potrei dire che quel passaggio va inquadrato anche nella storia e nella geopolitica, che ne furono determinanti. Ma sono già abbastanza felice di vedere che chi è giovane può ragionare abbastanza da capire.
3. Il rapporto fra affari e politica s’è incancrenito perché si sono lasciate aperte tre piaghe: il finanziamento della politica; la regolamentazione dei partiti; e quella delle lobbies. Tre leggi mancanti. Mancanze che derivano da un comune ceppo ipocrita (e totalitario), ovvero il volere ciascuno essere interprete degli “interessi generali”, considerando degradante incarnare quelli reali, per loro natura parziali. Il tassello più delicato è quello che Gay pone al centro: la regolamentazione dei partiti. Settanta anni fa sarebbe stata una bestemmia, ma oggi rischia d’essere una battuta, vista la condizione in cui si trovano.
4. Dobbiamo imparare a contabilizzare i risultati, misurando il rapporto fra cause ed effetti, fra promesse e realtà. Altrimenti le riforme saranno solo una cambiar di nome a cose e concetti sempre più consunti. In assenza di dati accettati le discussioni si fanno ideologiche, e quando le ideologie tramontano diventano scontri di tifosi. Roba demente, con rispetto parlando. Il fatto è che noi già avremmo diversi istituti preposti ai dati e alle misurazioni, cui si somma un numero divertente di presunte autorità indipendenti. Solo che le nomine hanno targhe politiche. Gay ha ragione, ma faccia attenzione in casa, in quella Confindustria di cui si commentavano, qualche tempo addietro, le previsioni di crescita italiana al di sopra del 2%. Quello che Gianni Brera avrebbe definito: un tiro alla viva il parroco.
5. Passi per gli 80 euro, l’Irap, le defiscalizzazioni, tutte non misurate negli effetti, ma, alla fine, qual è la politica industriale? La lascia come domanda, perché non c’è risposta. Segnalandone la necessità. E’ così: tante tessere del mosaico, alcune apprezzabili, altre orribili, ma senza il disegno. Critica che vale per questo governo, ma anche per un’intera stagione. Ai governi che, nel tempo, rispondono elencando le (a loro giudizio) numerose cose fatte, c’è da chiedere: ma non capite che più lungo è l’elenco più vasto il vostro fallimento, visto il risultato complessivo?
6. Al governo proponiamo uno scambio: noi industriali ci assumiamo l’onere di far crescere le nostre aziende, il che significa investire (ma non possiamo riuscirci se la defiscalizzazione inglese, per le nuove società, è all’85%, mentre da noi si ferma al 20), voi governanti v’incaricate di sgomberare il mercato dalle macerie giudiziarie, dai blocchi amministrativi, dai ricorsi infiniti a dalle 32mila stazioni appaltanti. Volesse il cielo. Ma sta accadendo il contrario. Le nuove aziende cercano ambienti meno ostili, mentre le novità legislative, dall’abuso di diritto al falso in bilancio, sembrano fatte apposta per allargare la centralità togata.
Qui occorre saper fare i conti non solo con la politica, ma, appunto, con la forza degli interessi. Gay ha detto che vogliono sporcarsi le mani. Bravo, è il modo migliore per avere la coscienza pulita. Ha anche detto che alle regionali tutti hanno perso, perché gli elettori hanno voltato le spalle alle urne. Secondo me anche perché ciascuno ha incassato una sconfitta della propria strategia (si fa per dire). Temo che non basteranno i guanti, ci vorranno anche gli stivali.

Davide Giacalone
@DavideGiac

venerdì 12 giugno 2015

Il Papa ai giovani: "Staccatevi dal computer"

Il Papa ai giovani: 

«Staccatevi dal computer»


Il Papa e il web: «Se rimango attaccato alla vita virtuale è una malattia psicologica. Ci sono cose sporche in rete: dalla pornografia ai programmi vuoti. Attenti alla cattiva fantasia che uccide l’anima»

di Gian Guido Vecchi - inviato del Corriere della Sera


l volo AZ4001 che riporta il Papa a Roma è appena decollato, Francesco raggiunge i giornalisti in fondo all’aereo, li saluta uno ad uno e, a dispetto della giornata massacrante, trova il tempo di rispondere a tre domande. 

Santità, c’è grande interesse e attesa per il giudizio della Chiesa su Medjugorje. A che punto siamo? 
«Papa Benedetto XVI a suo tempo ha fatto una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini, c’erano altri cardinali e specialisti. Il cardinale Ruini è venuto da me e mi ha consegnato lo studio, dopo tanti anni di lavoro. Hanno fatto un bel lavoro, un bel lavoro. Il cardinale Müller (prefetto dell’ex Sant’Uffizio, ndr ) mi ha detto che avrebbe fatto una “feria quarta” in questi tempi, credo l’ultimo mercoledì del mese, per prendere decisioni che poi si diranno. Ai vescovi si daranno soltanto alcuni orientamenti». 

Andrà in Croazia? 
«Non so quando ci sarà la visita, ma adesso mi ricordo la domanda che mi avete fatto quando sono andato in Albania: perché comincia a visitare l’Europa da un Paese che non appartiene alla Ue? E io ho risposto: è un segnale. Vorrei cominciare le visite in Europa con i piccoli Paesi. I Balcani sono martoriati, hanno sofferto, tanti, per questo mia preferenza è qua». 

Ha parlato di un “clima di guerra”. Ai giovani diceva di “alcuni potenti della terra dicono belle cose ma di nascosto vendono le armi”. Ci può approfondire la questione? 
«C’è ipocrisia, sempre. Per questo ho detto che non è sufficiente parlare di pace: si deve fare la pace. Chi parla di pace soltanto e non fa la pace è in contraddizione. E chi parla di pace e favorisce la guerra con la vendita delle armi è un ipocrita». 

Nel suo incontro con i giovani, a proposito di tv e computer, ha parlato della “cattiva fantasia che uccide l’anima”: intendeva la pornografia? 
Ha detto anche: “se tu che sei giovane vivi attaccato al computer e diventi schiavo del computer tu perdi la libertà; e se nel computer cerchi i programmi sporchi, perdi la dignità”. 

«Ci sono due cose differenti: le modalità e i contenuti. Sulle modalità, c’è una modalità che fa male all’anima ed essere troppo attaccato al computer. Questo fa male all’anima e toglie anche la libertà, ti fa schiavo dl computer. È curioso, tanti papà e mamme mi dicono dei figli che stanno a tavola col telefonino. È vero che il linguaggio virtuale è una realtà che non possiamo negare, ma dobbiamo portarla sulla buona strada. Se no ci porta via della vita comune, familiare, sociale, o anche solo dallo sport, dall’arte…Se rimango attaccato al computer questa è una malattia psicologica, sicuro. Secondo, i contenuti. Ci sono cose sporche, che vanno dalla pornografia alla semipornografia ai programmi vuoti, senza valori, relativisti, edonisti, consumistici che fomentano queste cose….Noi sappiamo che il consumismo è un cancro della società, che il relativismo è un cancro della società. Di questo parlerò nella prossima enciclica. Ho detto la parola sporcizia in generale. Ci sono genitori molto preoccupati che non permettano ci siano computer nella stanza dei bambini, i computer devono essere in uno spazio comune della casa».

Pensa di fare un viaggio in Francia, oppure ci sono problemi (allusione al caso dell’ambasciatore Stefanini, ndr)?

«Ho promesso ai vescovi che andrò in Francia. I piccoli problemi non sono problemi. 
Non ci sono problemi».

7 giugno 2015 | 00:02
© RIPRODUZIONE RISERVATA