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mercoledì 1 luglio 2015

La trappola greca

Il referendum greco è una trappola. Per i greci. La bancarotta greca sarebbe una tragedia per loro, ma anche una trappola per gli altri europei e per l’occidente. Non è la prima volta, nella storia, che problemi la cui soluzione conviene a tutti, e che non è neanche così difficile, si allontana a causa di condotte irrazionali e di interessi di gran lunga meno rilevanti del danno che provocano.
Nel 2011 la Grecia si approssimava alla bancarotta, dopo anni in cui il tenore di vita e la ricchezza disponibile erano colà cresciute. Lasciamo da parte i conti taroccati, notoriamente tali e come tali tollerati dalla Commissione Ue. Erano i bassi tassi e la convenienza a far debiti a spingere i disavanzi continui, dando l’impressione di un Bengodi infinito. La crisi dei debiti sovrani infranse il sogno, trasformandolo in incubo.

In quel momento sostenemmo che, se l’Unione aveva un senso, non si dovevano abbandonare i greci e non si doveva ipotecare il futuro dei più giovani. Il primo passo fu indecoroso, usando i soldi degli aiuti per salvare le banche, prevalentemente tedesche e francesi, che si erano esposte (a fini di lucro, mica di beneficenza) con la Grecia. Poi, però, i debiti furono due volte tagliati e gli aiuti sono affluiti più copiosi degli interessi (bassi) che i greci pagavano. Chi parla di “strozzinaggio” europeo ha dei seri problemi con l’aritmetica.
Oggi la situazione è ribaltata. Un nuovo governo è al potere, eletto grazie a promesse suggestive, irrealistiche. Pretende che i creditori continuino a prestare denaro, sapendo che non sarà restituito, senza porre condizioni. Che, del resto, non sono tali da impoverire i greci, visto che a tutti conviene che riprendano a crescere, ma servono a chiudere la mangiatoia della spesa pubblica. Veleno per la vita dei giovani ellenici. Per giunta il governo greco se la prende con la Banca centrale europea, che in questi mesi s’è spesa per alimentarli di liquidità, attirando su di sé critiche pesanti e non del tutto infondate. Vogliono non solo la liquidità d’emergenza (che la Bce ancora assicura), ma che sia aumentata. Non si sa dove finisca l’improvvisazione e dove cominci l’impudenza. Hanno chiuso le banche, togliendo ai cittadini il diritto di disporre del proprio denaro, perché sanno che la loro condotta incita alla fuga. Sperare di attribuirne la colpa alla Bce è infantile, oltre che irresponsabile.
Il referendum è truffaldino, perché su un documento tecnico e articolato, che, semmai, dovrebbe essere oggetto di negoziato, non di voto in blocco. Non è pro o contro l’euro, anche perché sanno che la grande maggioranza voterebbe a favore della permanenza (mica sono scemi). Lo hanno inventato perché sanno che la Grecia ha un posto rilevante, nello scacchiere militare europeo, con confini delicati, quindi oggetto di sollecitazioni statunitensi affinché non sia persa (il passato avrebbe dovuto vaccinarli, sui governi militari). Hanno pensato: mettiamo il negoziato davanti a quel bivio e il resto d’Europa sbraca. Il genio della teoria dei giochi, Yanis Varoufakis, lo ha anche detto: cambiate le condizioni e noi diremo di votare sì. Li ha presi per scimmie ammaestrate, i cittadini. Invece quel referendum diventa un alibi per i falchi, per i devoti della contabilità, per chi crede che i conti vengano sempre prima della storia e della politica: lasciateli votare, evviva la (falsa) democrazia: se voteranno a favore del piano, andrà a fondo il governo greco (il bello è che Varoufakis lo nega, candidandosi a sostenere l’opposto di quel che dice); se voteranno contro nessuno avrà buttato fuori i greci, ma saranno loro ad avere deciso. Come trovarsi nell’Oceano e sventrare la chiglia per far dispetto all’equipaggio.
Ci sono sempre le condizioni e le possibilità per sottrarre la Grecia al naufragio, come fin qui s’è fatto, ma per riuscirci è necessario che i greci siano consapevoli che il loro governo è il loro problema. Si sono messi nelle mani dell’ex gioventù comunista e affidati alla sapienza di chi li porta verso una svalutazione ciclopica avendo un lavoro pagato in dollari, negli Stati Uniti. Il popolo è sovrano, ma il 64% dei votanti non li votò. Ora sovranamente deve provvedere. Errori ne sono stati commessi molti, dagli altri europei, compreso l’avere instaurato tavoli non istituzionali, con i soli tedeschi e francesi. Ciò ha indebolito la capacità di risposta istituzionale, rafforzando l’impressione che l’esito del negoziato fosse la sottomissione ad alcuni. Ma Tsipras e Varoufakis non hanno sollevato questo problema, stanno solo provando a trattare in modo inaccettabile. Chiedendo di farlo ancora a lungo. Tocca agli elettori greci fare quello che il loro Parlamento si dimostra incapace di fare. Pagina pessima, foriera di mille complicazioni. Va girata in fretta.
Davide Giacalone
@DavideGiac

domenica 28 giugno 2015

I conti dell'asilo

Alcuni numeri aiutano a capire la dimensione della sconfitta italiana. E anche le sue ragioni. L’accordo europeo prevede la redistribuzione, in due anni, di 40mila rifugiati. Non immigrati in generale, ma persone cui è riconosciuto lo status di profugo, cui si offre asilo. Posto che l’accordo non prevede obbligatorietà, quindi è solo un rinvio, per quantificarne l’irrilevanza basterà sapere che l’Unione europea ha accolto (dati Eurostat) 185mila rifugiati nel solo 2014, il 50% in più rispetto al 2013. 750mila dal 2008. L’anno scorso la Germania ha offerto asilo a 47.600 profughi (82% in più rispetto al 2013), la Svezia a 33mila (+25%), la Francia e l’Italia a 20.600.
Ma la Francia con un +27%, noi con un +42. Significa che nel 2013 la Francia ha deciso di ospitò più profughi dell’Italia. Questi numeri dicono che siamo andati allo scontro, in seno all’Ue, sul tema sbagliato: anziché sollevare il dramma degli immigrati tutti, quelli economici compresi, che ci vede più esposti non perché la nostra frontiera sia la più violata, ma perché è di mare, quindi siamo costretti ad aiutarli, anziché porre questo problema ci siamo irrigiditi sui richiedenti asilo, dove siamo quelli che ne ospitano meno. Un capolavoro.
Di questo sono ben consapevoli gli asilanti stessi, che fuggono dalla guerra ma non per questo vogliono buttarsi nel caos ed essere mischiati agli emigranti per ragioni economiche e ai criminali che li gestiscono. Difatti le richieste di asilo, calcolate su mille abitanti, sono prima di tutto verso la Svezia (8.4), poi Ungheria (4.3), che oggi viene descritta come razzista visto che vuole alzare un muro, dimenticando che è stata la più aperta, via via giù verso la Germania (2.5) e sotto l’Italia (1.1). Neanche ci vogliono venire, da noi. Per tacere, poi, del modo in cui si amministrano i fondi e i centri di accoglienza, tema sul quale abbiamo avviato una pratica di autosputtanamento globale, e tralasciando il funzionamento della macchina amministrativa e giudiziaria.
C’è di più. In Italia tutti hanno imparato a lamentarsi contro il regolamento di Dublino, che stabilisce i profughi debbanno essere trattenuti e identificati, prima della destinazione finale, nel Paese ove mettono piede. Non vedo come si possa fare diversamente, se non si procede a creare zone extraterritoriali di smistamento. Ma mentre ci si lamenta per quel vincolo verso l’esterno, noi facciamo esattamente la stessa cosa all’interno. E’ il solo modo per spiegare come mai 14mila persone provenienti da fuori si trovano in Sicilia, 8.500 nel Lazio, 5.800 in Lombardia e via scendendo, con la rossa Emilia a 3.400 e la Toscana dei compagni a 2.600. I più generosi a chiacchiere sono i meno affollati, mentre quelli che urlano di più i meno assediati. Come si spiega? Perché tratteniamo le persone dove arrivano, in una specie di Dublino interna, e se proviamo a spostarle scoppiano polemiche roventi. Il che dovrebbe aiutarci a capire le reazioni altrui, visto che sono come le nostre.
Ho visto che dopo tante sciocchezze buoniste, dal governo hanno cominciato ad inanellarne di cattiviste. Elettoralismo senza buon senso. Ha detto Matteo Renzi: prendiamo solo i profughi e respingiamo gli emigranti economici. Guardi che ne abbiamo tanti, regolari e senza problemi. Vanno respinti i clandestini, ma siccome non siamo capaci è quello il terreno su cui coinvolgere l’Ue. Il problema non è usare gli aerei per rimpatriarli, ma che l’attesa di giustizia li ferma all’imbarco e la nostra polizia li perde di vista. Dice Graziano Delrio: “vi do una notizia: gli immigranti arrivano di più via terra”. Gliene diamo una noi: sono anni che lo scriviamo. Aggiunge: ci vogliono campi nei paesi da cui partono. Bravo, sembra Matteo Salvini alla fettuccina emiliana, ma lì ci sono guerre e bande, fare i campi significa mandare gente armata (lo dice pure il pontefice!). Hanno voluto Federica Mogherini? Provino a dirle di porre la questione, che ha a che vedere con la politica estera e con le armi.
Strappare la redistribuzione di 40mila persone in due anni, ammesso che sia vero, è una doppia sconfitta: perché è troppo poco, rispetto alla realtà, e perché non possiamo più neanche porre il tema della difesa comune delle frontiere, avendo supplicato e minacciato per infinitamente meno. Una sconfitta figlia della confusione mentale e della retorica senza conoscenza dei problemi.
Davide Giacalone

martedì 23 giugno 2015

In tre generazioni scomparira' dalla terra centinaia di animali compreso l'uomo

Due secoli fa è iniziata secondo gli scienziati l'era dell'antropocene e con lei la fase più distruttiva per le specie viventi sulla Terra. Da questo sterminio non è escluso l'uomo, che ne è comunque il principale fattore distruttore. Più potente del meteorite che milioni di anni fa ha estinto i dinosauri e il 95% delle specie viventi. Secondo lo studio delle università di Stanford, Berkeley, Princeton e di quella del Messico, siamo entrati nella sesta estinzione di massa che sta cancellando specie viventi a un ritmo di 114 volte più rapido del normale. Pubblicato sulla rivista ScienceAdvances, il lavoro dei ricercatori ha messo a confronto l'azione di distruzione della vita attuale con quello prima dell'inizio della rivoluzione industriale. Tra il 1500 e il 1600 sono sparite 54 specie animali, nel XIX secolo sono passate a 144. Negli ultimi cento anni in tutto sono scomparse 396 specie. Senza l'intervento dell'uomo, dicono gli scienziati, ci sarebbero voluto 10 mila anni per mettere in campo una strage di questo genere.
Le cause - Stando all'analisi degli scienziati americani, le colpe dell'accelerazione delle estinzioni andrebbe cercato nel riscaldamento climatico, deforestazione, distruzione degli habitat, cementificazione, introduzione di specie aliene, acidificazione degli oceani e inquinamento. La popolazione umana poi è cresciuta in modo esponenziale con uno sfruttamento "eccessivo delle risorse naturali ai fini di profitto".

A rischio - I primi animali che potrebbero scomparire saranno api e vespe, quindi tutti quegli animali utili all'impollinazione. Il che vuol dire riduzione di cibo. A rischio anche rane e animali anfibiche determinano il ciclo di purificazione dell'acqua. La stima degli scienziati si spinge a non oltre tre generazioni umane (75 anni) prima che arrivi l'estinzione anche dell'uomo stesso.

venerdì 19 giugno 2015

Gli interessi di Renzi bloccano il Paese

L'Italia lamenta di essere lasciata sola dall'Europa – alla quale chiede invano aiuto - di fronte all'immigrazione di massa ma, poi, il presidente del Consiglio dice che l'«Europa non deve mostrare i muscoli».In realtà, se l'Europa mostrasse i muscoli, aderendo all'invocazione italiana, l'Italia non si sentirebbe, e non sarebbe, più sola. Ma tant'è. La contraddizione fotografa la confusione e la mancanza di idee nelle quali si dibatte la nostra politica dell'immigrazione; che un giorno sostiene una cosa e il giorno dopo l'opposto, secondo come tira il vento. È un difetto non solo del governo – che non ha fatto, e non fa nulla di ciò che ci si aspetta dallo Stato in questi casi e apparentemente non sa che fare – ma anche della congiuntura, cioè del conflitto fra interessi nazionali e interessi del Pd e di Renzi.

L'Italia continua ad essere invasa dagli immigrati – che arrivano a frotte e pretendono di usare il nostro territorio come corridoio verso i Paesi del Nord-Europa, che non li vogliono – e che, invece, se rimangono qui, non essendosi integrati e non avendo un lavoro, si trasformano facilmente in criminalità. Non sappiamo come uscirne, stretti fra gli interessi corporativi a utilizzare gli immigrati come manodopera a basso prezzo, imposti dalle organizzazioni cattoliche e da quelle di una sinistra affarista, e i costi che la loro stessa presenza impone a tutti.
L'immigrazione di massa è un caso paradossale. Giova alle corporazioni che operano ai margini della Chiesa cattolica e della sinistra al governo, ma danneggiano il Paese

Renzi privilegia gli interessi corporativi, di parte; che sono, poi, i suoi e quelli del suo partito, rispetto a quelli nazionali e generali. 
Abbiamo un governo che fa l'opposto di ciò che ci si aspetta da lui secondo la definizione classica di politica e di Stato.
In poche parole, abbiamo un governo che non ha una politica, ma solo interessi personali e di partito. L'ex sindaco di Firenze fa, al governo, i fatti suoi e quelli del suo partito, come quando era a capo dell'amministrazione fiorentina in vista di arrivare alla segreteria del Pd e a Palazzo Chigi. Non fa gli interessi del Paese, un po' perché non li sa fare, molto perché non gli conviene. Ha distrutto il Partito democratico, per diventarne segretario; sta distruggendo il Paese dopo esserne diventato presidente del Consiglio e restarci a lungo. È la conseguenza della crisi culturale, prima che politica, nella quale è piombato il Paese. Quando scrivo che non ne usciamo, non sono pessimista, né pregiudizialmente contrario a Renzi – che è arrivato ad un posto più grande di lui – e alla sinistra. Ahimè, solo realista

martedì 16 giugno 2015

Renzi abbaia alla luna

Si vorrebbe tanto capire cos’aveva in mente il premier Matteo Renzi quando, parlando del dramma dei migranti che sbarcano in massa sulle nostre coste, ha affermato: “Sbaglia chi vive su paure e abbaia alla luna”.
Qual è il senso della frase in circostanze come queste? I dizionari ci dicono che “abbaiare alla luna” equivale a fare cose inutili, senza ragione e senza effetto, come per l’appunto i cani che, nelle notti di plenilunio, latrano alla luna, lanciandole una sfida assurda e priva di contenuto.
Che c’entra, però, tale popolare modo di dire con quanto sta avvenendo? Forse a mo’ di spiegazione Renzi ha aggiunto che occorre affrontare i problemi della globalizzazione poiché “nel mondo d’oggi ci sono tanti che abbaiano alla luna, vivono sulle paure e pensano che l’unica dimensione sia rinchiudersi a chiave in casa. Non è così”.
In linea di massima si può anche concordare sul fatto che rinchiudersi a chiave in casa sia poco opportuno. Ma resta da capire la connessione tra i suddetti sbarchi in massa e la globalizzazione. Quest’ultima è un processo di unificazione dei mercati su scala mondiale, resa possibile dall’innovazione tecnologica, che conduce a una progressiva standardizzazione dei modelli di consumo e – soprattutto – degli stili di vita.
E il dubbio diventa allora ancora più grande. Mi chiedo di nuovo quale sia il nesso di conseguenza logica sussistente tra i barconi che continuano senza posa a riversare migliaia e migliaia di disperati sulle coste italiane (e, in misura minore, greche) e la globalizzazione di cui il nostro primo ministro tesse le lodi.
In realtà a me pare che la mente di Renzi sia assai confusa, e mi sembra pure ovvio il tentativo da parte sua di nascondere con facili slogan a effetto una situazione diventata ormai esplosiva.
Poiché è chiaro che non sappiamo bene dove mettere la stragrande maggioranza dei clandestini, né vi sono ipotesi concrete circa una loro possibile utilizzazione sul territorio nazionale.
L’esodo ha assunto proporzioni bibliche. Vorrei tuttavia notare che non è un caso se i barconi si dirigono quasi tutti verso le nostre coste. Accade proprio perché si è diffusa la convinzione che l’Italia è disposta ad accogliere chiunque, nel senso letterale del termine, senza filtri di sorta. Una sorta di Paese di Bengodi in cui tutto è concesso e nel quale l’accoglienza è senza limiti.
E, a questo punto, penso sia necessario sfatare un tormentone assai diffuso. Pure la nostra, si ripete con insistenza da più parti, è una nazione di migranti. Tra ’800 e ’900 milioni di italiani sono andati a cercare fortuna all’estero, molto spesso trovandola. Anche il sottoscritto ha lontani parenti sparsi in ogni angolo del globo.
Vero, ma si dà il caso che i nostri emigrassero verso Paesi in piena espansione economica e che avevano bisogno di mano d’opera per continuare la loro crescita. Parlo per esempio di Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina (che a quei tempi era per l’appunto in grande espansione)
Se qualcuno sostiene che l’Italia d’oggi è in condizioni simili si può senza remore pensare che non è sano di mente.
Da noi, ora, persino i connazionali stentano a trovare lavoro e, nonostante gli stimoli della BCE, la situazione non sembra destinata a migliorare (almeno nel breve termine). Il governo invita a non creare paure e allarmi, forse scordando che sono già presenti nell’opinione pubblica
La quale è inoltre preoccupata dal rischio del terrorismo che non è per nulla solo ipotetico.
E’ certamente legittimo mettere sul banco degli imputati l’Unione Europea che, una volta ancora, sta dimostrando la sua inefficienza. Ed è altrettanto lecito mettere in luce lo scarso (per non dire inesistente) spirito di cooperazione di molte nazioni europee. Caso emblematico la Francia, che ieri ha chiuso la frontiera di Ventimiglia lasciando la polizia italiana da sola nella gestione dell’emergenza.
Ciò che non si può fare, invece, è prendere in giro gli italiani nascondendosi dietro slogan inutili e insensati, come sta facendo Renzi in questi giorni. Nessuno osa negare che il problema sia di difficile soluzione. Però affrontarlo con un po’ di serietà è il minimo da chiedere. Altrimenti è del tutto inutile lamentarsi della crescita del populismo e di tendenze illiberali.

Era glaciale in arrivo in Europa per 50 anni l'Italia coperta dal ghiaccio

"In arrivo un'era glaciale
​Per 50 anni l'Italia
sarà coperta dal ghiaccio"
di Domenico Zurlo

ROMA - 
Winter is coming. L'inverno sta arrivando, recita il motto della casata Stark nei romanzi e nella serie tv Game of Thrones. E stando a quello che sarebbe stato scoperto da un gruppo di scienziati bielorussi, l'inverno starebbe arrivando sul serio: più che un inverno, anzi, una vera e propria Era Glaciale.


Dal 1° settembre di quest'anno, secondo questa fantomatica scoperta, l'Italia e tutta l'Europa saranno investite da una vera e propria ondata di gelo che dovrebbe durare ben 50 anni. La scoperta sarebbe stata fatta analizzando la potenza ionica del Sole e l'andamento delle fasi lunari.



Ovviamente, la portata della notizia fa subito pensare che si tratti di una bufala, o come minimo di una clamorosa cantonata presa dagli scienziati stessi. 

D'altronde, se fosse vera, aprirebbe scenari disastrosi per tutto il nostro Paese, con temperature sotto i 30 gradi e con le massime a -15 nel Nord Italia.



Per il momento, nessuna conferma ufficiale: chi vivrà vedrà. In compenso, e per fortuna, la ricerca prevede solo un gran freddo, e non un esercito di morti armati di asce e spade, o White Walkers che dir si voglia, come nella fortunata serie televisiva.


Martedì 16 Giugno 2015 - Ultimo aggiornamento: 12:53

sabato 13 giugno 2015

L'inutile ottimismo del Premier

I quotidiani assomigliano sempre più alla televisione della sera prima e la tv al Minculpop di un passato tutto da dimenticare. La carta stampata si rifugia nella cronaca che la tv le commina per evitare di pensare.
Di fronte a un mondo della comunicazione che ci sommerge quotidianamente di «informazioni che non producono conoscenza», compito dei media di carta dovrebbe essere quello di fornire una spiegazione dei fatti che produca conoscenza, cultura politica, coscienza civica. Invece, accade ciò che il filosofo Benedetto Croce aveva già denunciato anni fa: il nostro giornalismo teme di pensare, ha paura di pronunciarsi, evita di compromettersi.

Ma, così facendo, viene meno alla propria funzione, che dovrebbe essere appunto quella di individuare il nesso causale fra i fatti e spiegarne la logica. I fatti, così come sono raccontati, prima dalla televisione, poi dai giornali che ne sono l'eco, non significano nulla; al massimo – limitandosi a elencare gli scandali senza spiegarne e ragioni – producono ondate populiste di rifiuto della politica. La cultura civile non fa un passo avanti, neppure a spingerla, e il giudizio che si diffonde è il rigetto della politica alla quale si attribuiscono anche colpe che non ha. Di questo passo, il Paese finisce nelle braccia del primo demagogo di turno come era successo nel '22, quando – di fronte agli incidenti del dopoguerra – gli italiani si erano affidati a Mussolini nella convinzione che avrebbe messo ordine, dopo di che sarebbe stato facile liberarsene. 
Abbiamo visto com'è andata a finire. 
È questa, del resto, la ragione per la quale io diffido di Matteo Renzi. Si era presentato come un innovatore, che avrebbe cambiato il sistema politico, rottamando la vecchia classe dirigente. Si è ridotto a essere un presidente del Consiglio analogo a quelli che lo hanno preceduto e che lui avrebbe dovuto mandare a casa, in pensione.
È aumentata la spesa corrente, che alimenta il debito pubblico, la vera palla al piede del Paese creata dai governi del passato; è cresciuta la disoccupazione, soprattutto giovanile, perché il sistema economico – massacrato dalle tasse – non produce ricchezza e non crea nuovi posti di lavoro. L'economia è ferma e non dà segni di volersi e potersi muovere speditamente come dovrebbe. È del tutto inutile che il capo del governo distribuisca ottimismo ogni volta che compare in pubblico. Se si limita solo a distribuire ottimismo e l'Italia resta com'è, lui, di fronte all'assenza di cambiamento, perde consensi. Dovrebbe, invece, fare ciò che non è riuscito a Berlusconi dopo il 1994: ridurre drasticamente la pressione fiscale e riformare l'apparato burocratico, delegiferando e deregolamentando. Abbiamo uno Stato troppo presente a ogni livello, vuoi per le troppe tasse, vuoi per la troppa burocrazia. Qualche buona iniezione di mercato ci farebbe bene. Perché non la si fa? Renzi, che finora ci ha raccontato che lui chiama pane il pane e vino il vino, sull'argomento non si pronuncia, limitandosi a promettere riforme che, poi, non ha palesemente alcuna intenzione di fare – perché sa che gli costerebbero il sostegno della Pubblica amministrazione dalla quale dipende come dipendevano i suoi predecessorie che non farà. Ma, in tal modo, crea le condizioni del proprio stesso fallimento. Le prime avvisaglie sono già comparse.
Che piaccia o no, è una questione di cultura politica. L'Italia è ferma al 1948al compromesso istituzionale fra quella parte della Resistenza democratica che voleva portare il Paese in Occidente e quella che lo voleva portare all'Est, fra le democrazie popolari dell'Europa centrale e orientale, dominate dall'Unione Sovietica. Paghiamo il prezzo di non aver saputo ripensare il fascismo chiedendoci, innanzi tutto, che cosa aveva rappresentato, e ancora spesso rappresenta, per molti italiani e che cosa è stata la vittoria sul fascismo da parte di un Resistenza che, in realtà, è stata una doppia Resistenza; una democratico-liberale, l'altra filosovietica. Il duplice equivoco continua a condizionare la nostra cultura politica e a impedire al Paese di entrare nella modernità. A suo modo, quello di modernizzare l'Italia era stato anche il tentativo che aveva fatto il fascismo, ma si sa a quale prezzo; non si baratta la libertà con la modernità. Il prezzo che continuiamo a pagare è che non siamo usciti dal guado. Siamo ancora un Paese a metà di mercato e a metà corporativo, collettivista e dirigista. Io che sono vissuto a lungo in Urss e ho conosciuto le democrazie popolari constato che ogni giorno l'Italia assomiglia sempre più all'Urss e al socialismo realizzato: una serie infinita di ostacoli burocratici, di lentezze amministrative – dove occorrerebbe maggiore dinamismo – e la presenza di uno Stato capace solo di opporre ostacoli a chi vuole darsi da fare; una popolazione che si aspetta dallo Stato ciò che essa stessa dovrebbe fare e che sta perdendo la capacità di industriarsi e di risolvere da sé i problemi che si aspetta sia la Pubblica amministrazione a risolverle. Con la sua retorica ottimistica, Renzi avrebbe dovuto dare la sveglia all'Italia addormentata da tale cultura politica. Se non lo ha fatto, e non lo fa, è perché anche lui è figlio di questa stessa Italia. Sveglia ragazzo!