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lunedì 18 agosto 2008

Lo stereotipo piu' dannoso dell'immagine dell'Italia all'estero e' che ci considerano tutti dei mafiosi.


L’unità d’Italia si è raggiunta soltanto nel luglio 1871, quando Roma divenne capitale del regno d’Italia: 137 anni fa. A differenza di altre nazioni, l’Italia ha alle spalle una storia molto importante ma complicata e frammentata, fatta da centinaia di “città stato” ognuna molto potente politicamente ed economicamente. La lotta fra Chiesa e Stato, la “questione sociale” meridionale (che perdura), i sentimenti di ostilità e quasi di disprezzo che gli abitanti di una regione hanno nei confronti di chi vive nelle altre regioni, il divario ideologico che separa ferocemente partiti e fazioni politiche, tutto questo spiega le forti ostilità che esistono tra noi stessi italiani. La tendenza poi che abbiamo di parlar male gli uni degli altri è nel nostro DNA. Soffriamo della sindrome permanente dei “Guelfi” e “Ghibellini” dei “Montecchi” e “Capuleti”. Nel corso dei secoli, gli intellettuali e i letterati hanno creato immagini negative di tutti quelli che non erano nati nella loro stessa città o regione (vedi Dante, Macchiavelli). Questo estremo “campanilismo”, come vediamo, è nato molto ma molto prima di Umberto Bossi. Uno dei fattori che più ha danneggiato l’immagine dell’Italia contemporanea, dal dopo guerra ad oggi, è stata la propaganda degli intellettuali e dei partiti di sinistra italiani. Insieme a quasi tutti i media, esponenti politici e molti docenti universitari, hanno divulgato una valanga di notizie errate o false, anche storiche (vedi: “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa). L’Italia è stata rappresentata come un Paese radicalmente privo di senso civico ed incapace di una normale cooperazione politica tra governo ed opposizione. Gli italiani, senza alcuna remora, dichiarano di avere sfiducia e disprezzo dei suoi governanti, dell’istituzioni politiche e governative. A questo punto è chiaro che gli “stereotipi negativi” che gli “stranieri” hanno di noi italiani non li hanno creati loro. Siamo stati noi stessi italiani che, in maniera determinante, vi abbiamo contribuito a crearli. Un esempio spettacolare di autolesionismo è stato la cosiddetta Tangentopoli, nota come “Mani Pulite”. Dal modo in cui magistrati e la stampa italiana hanno gestito questa vicenda, il danno provocato all’immagine dell’Italia è stato enorme. Qualcuno ha sostenuto che queste indagini hanno proiettato all’estero l’immagine di un’Italia che voleva estirpare la corruzione. Al contrario! L’immagine dell’Italia che hanno generato all’estero i media italiani, nonché alcuni magistrati italiani che hanno tenuto conferenze in tutto il mondo sulla loro “crociata” (Di Pietro è venuto anche in Australia), è quella di una democrazia delle più corrotte al mondo. Non poteva essere altrimenti. Nè la stampa nè i magistrati hanno mai spiegato chiaramente agli “stranieri” che, chi riceveva un avviso di garanzia, non era “colpevole” di corruzione, ma soltanto un semplice “indagato”. Così, molti media stranieri di tutto il mondo hanno scritto che in Italia oltre settemila, fra politici e altri che con i politici avevano a che fare, erano tutti dei corrotti e dei truffatori. All’estero non sapevano che l’indagini erano condotte da alcuni magistrati “faziosi” coadiuvati da personaggi che “giudici non erano”, ma soltanto poco più che poliziotti o avvocati. L’opinione pubblica mondiale, poi, è rimasta all’oscuro del fatto che, alcuni di questi “magistrati” con ambizioni politiche (vedi Antonio Di Pietro), hanno calpestato i diritti civili e personali dei semplici “sospettati” sbattendoli in carcere per estorcere confessioni. Alcuni di questi si sono suicidati poi, successivamente, risultarono completamente innocenti. In altri Paesi sarebbe stato inconcepibile un fatto del genere. La Francia, la Spagna e l’Inghilterra hanno gestito intelligentemente alcuni loro scandali simili, dove erano in ballo gravi accuse di corruzione. Anche il Giappone ha avuto il suo bello scandalo politico dove si parlavano di cifre cento volte maggiori di Tangentopoli. Ebbene, la stampa francese, spagnola, inglese e giapponese ha trattato le vicende con grande civismo, prudenza e professionalità. E nessun magistrato di queste nazioni si è recato all’estero per far sapere che razza di delinquenti vivevano nel loro Paese. Il tentativo di rimettere a loro posto i magistrati è stato visto, da una grande parte dei media italiani, come il tentativo d’insabbiare il tutto per non far venire a galla la possibile collusione tra la mafia ed i politici. I maxiprocessi contro presunti mafiosi in Sicilia o la vergognosa persecuzione di Giulio Andreotti, sette volte primo ministro, hanno contribuito a rafforzare nel mondo lo stereotipo secondo cui l’Italia sarebbe un Paese dove il governo ha legami con la “mafia”. E negli ultimi 15 anni vanno nella stessa direzione anche gli incensanti tentativi, di alcuni magistrati e della maggior parte dei media, di diffamare Silvio Berlusconi per tentare di “eliminarlo” per via giudiziaria. Gli intellettuali, gli scrittori, i giornalisti e i magistrati italiani di sinistra hanno trasformato la mafia in un grande “business”. Alcuni comici (vedi Grillo e Guzzanti) e giornalisti (vedi Santoro e Travaglio), tutti “rigorosamente” di sinistra, sono diventati miliardari nel diffamare per anni Berlusconi. Lo stereotipo più dannoso dell’immagine dell’Italia all’estero è che ci considerano tutti dei mafiosi. Oggigiorno nelle università americane, e non solo, si tengono corsi dedicati al fenomeno della mafia italiana. Il termine “mafia” si applica ora a qualsiasi organizzazione criminale, indipendentemente dalla Nazione di origine. E quindi “naturale” che si è radicata la convinzione che la mafia sia un’industria multinazionale con sede in Sicilia e in tutta l’Italia. Purtroppo questo stereotipo danneggia notevolmente noi italiani nel mondo. Un cognome italiano evoca subito un legame con la mafia. Siamo “quasi” sempre “sospettati” come mafiosi di cui diffidare. E’ secondario e quasi insignificante che siamo i discendenti di Cicerone, Giulio Cesare, Seneca, Leonardo da Vinci, Cristoforo Colombo, Galileo Galilei, Alessandro Volta, Michelangelo, Raffaello, Verdi e di mille e più altri personaggi fondamentali per il progresso culturale, scientifico, sociale e civile dell’intera umanità.

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