Sydney, 27 febbraio 2009
A Carnevale ogni scherzo vale. Lo “scherzetto” di Veltroni e’ stato di scappare all’improvviso a gambe levate. Nessuno sa le motivazioni. Dario Franceschini ha “scherzato” entrando in scena cinematograficamente alla “Veltroni” con lo “spettacolino” del giuramento sulla Costituzione. Su quale testo a giurato? Su quello originale oppure su quello cambiato dalla sinistra con quattro voti di maggioranza compreso il suo? Per il Pd si tratta sempre e solo di un problema d’immagine e di tattiche. Infatti l’intenzione di Franceschini e’ di ricostituire l’armata Brancaleone con i partitini della sinistra radicale cacciati dal Parlamento dagli elettori. Soltanto il 45% (su tremila) dei delegati aventi diritto e’ intervenuto per nominare Franceschini ex Dc, ex Ppi ed ex Margherita, ora a capo anche degli ex Pci, Pds e Ds (sai come saranno felici!). Il nuovo segretario Pd ha già annunciato la sua squadra. Ha lasciato pero’ fuori i personaggi piu’ validi che li considera di “rottura” (di scatole?). Come Matteo Renzi (ex Margherita), giovane rampante (34 anni e tre figli) presidente della provincia di Firenze da cinque anni. Vincitore delle recenti primarie per la candidatura a sindaco del capoluogo toscano per il Pd, apparso due volte sulla copertina della rivista americana Time che lo considera l’Obama italiano. Renzi e’ stato molto esplicito: “Sabato è stata un'occasione persa. Non avrei votato Dario: se Veltroni è stato un disastro, non si elegge il “vicedisastro” per gestire la transizione. In questi anni Franceschini è stato una delusione, percepito come il guardiano di Quarta Fase, l'associazione degli ex popolari: basta con questa storia degli ex. Sono pronto a collaborare con lui, ma è fondamentale che cambi praticamente tutto rispetto agli ultimi mesi”. Un altro e’ il Sindaco di Venezia, il filosofo Massimo Cacciari, per aver dichiarato: “Che Dio accolga coloro che vogliono perdere. La soluzione Franceschini e’ la peggiore. L'unica soluzione era il congresso. Ma così hanno deciso... pace all'anima loro. Certo che un partito chiamato a decidere tra Franceschini e Parisi il leader rasenta il ridicolo”. Veltroni, Franceschini, D’Alema, Rutelli, Fassino, Parisi, Bersani, Rosy Bindi ed altri sono i “simboli” di una classe dirigente incapace, inconcludente e, anche, pericolosa. Hanno grandi responsabilità verso il loro partito ma anche verso la democrazia italiana: per l’odio che hanno seminato avvelenando il clima politico accusando Berlusconi di ogni nefandezza. Non li hanno mai sfiorati, e questo e’ la prova della pochezza di questi personaggi, che Silvio Berlusconi continua a vincere perché e’ in sintonia con il Paese. Perché riesce ha comprende il “sentire comune” della gente. Perché e’ cento miglia avanti rispetto ad ogni altro politico: avversari e gli stessi alleati. Sa anticipare il futuro senza mai fughe azzardate avanti. Le dimissioni di Veltroni da segretario del Pd significano la fine dei postcomunisti. Il partito si dissolverà per la guerra di tutti contro tutti al suo interno: non vanno d’accordo in niente, e’ una ”anarchia politica”. Veltroni porta la responsabilità di questo. Se fosse rimasto con l’idea originale di far nascere un vero bipolarismo italiano, non avrebbe dovuto accettare Di Pietro nella sua alleanza politica. Il centrosinistra ed il centrodestra dovevano legittimarsi vicendevolmente per una via bipolare europea. Veltroni ha scelto la via dell'opposizione ideologica e dell’insulto, invece di quella ferma ma costruttiva. La cultura postcomunista e’ rimasta quella dei rivoluzionari capaci di alimentare una guerra civile nella politica italiana. Veltroni ha scelto la fuga, ha abbandonato il suo partito e i suoi elettori. Da direttore dell’Unità tentò di rilanciare il giornale con la vendita delle figurine Panini. Nel’89 ebbe la spudoratezza di dire che “non era mai stato comunista”. Fu vicepresidente del primo governo Prodi (1996-1998), quello dei sacrifici di “sinistra” per l’euro. Uscito di scena Prodi (ottobre 1998), D’Alema divenne primo ministro e lui andò a fare il segretario dei Ds. Dopo il fallimento di D’Alema, e mentre si avvicinavano le elezioni politiche del 2001, con la prevista vittoria di Berlusconi, il “valoroso condottiero”, ancora una volta, se la diede a gambe. Anziché affrontare l’avversario da segretario del principale partito del centrosinistra, cercò un posticino come sindaco di Roma. E qui si realizzò un altro scambio: questa volta con Rutelli a prendere le “bastonate” da Berlusconi durante l’elezioni politiche e lui al posto del “bamboccione” (così Prodi definì Rutelli) alla guida della capitale. Veltroni da sindaco di Roma divenne famoso più che altro per le notti bianche, le feste del cinema e le buche nelle strade lasciando un debito miliardario. La carriera di Sindaco s’interruppe con la chiamata (primavera 2007) del nascente Partito Democratico: la credibilità del centrosinistra stava andando a “rotoli” ed i principali azionisti (Ds e Margherita) avevano perciò deciso di cambiare nome alla ditta. Una bella fusione (il Partito Democratico) da consegnare ad un “nuovo e giovane” leader. Veltroni fu scelto proprio in virtù della sua “estraneità” al confuso programma di 281 pagine che aveva riportato Prodi al governo nel 2006. Il suo arrivo alla guida del Pd era dunque un segnale di rottura: il “nuovo” (fa ridere, ma e così) con il quale ci si preparava a “licenziare” il bofonchiante Prodi. La chiamata alla guida del Pd ebbe una preparazione mediatica straordinaria: non si eleggeva un “segretario", ma un “salvatore”. Ed il “messia” apparve il 14 ottobre 2007 con le “primarie farsa" (volutamente non c’erano veri competitori) indette per la sua “incoronazione”. Di lì a poco la situazione prese a precipitare, la maggioranza che sosteneva Prodi si incrinò sempre più fino al “patratac” del gennaio 2008. Nel frattempo si preparava un altro scambio. Rutelli voleva riprendersi la poltrona di Sindaco, che l’aveva già occupata per due mandati (1993 – 2001) ed era pronto a lasciare la vice presidenza del Consiglio dei ministri. Il resto è storia recentissima. La scelta di rompere con la sinistra radicale sfidando Berlusconi era una battaglia persa in partenza. L’illusione che il Pd fosse un partito “maggioritario”. La perdita del comune di Roma. L’incapacità di svolgere un minimo di opposizione. L’autobus “salva l’Italia” abbandonato in strada. Fallita la raccolta di cinque milioni di firme contro Berlusconi. Il “patetico” governo ombra (subito cancellato da Franceschini). La crisi di credibilità, per l’emersione della corruzione in molte amministrazioni di centrosinistra, ha portato alla perdita della presunta “supremazia morale”. Le sonanti sconfitte elettorali in Abruzzo ed in Sardegna. Nel bel mezzo, la folkloristica “scampagnata” romana di ottobre 2008 al Circo Massimo. E’ tutto da ridere. Una carriera del genere e’ più che sufficiente a diventare un “esempio”: di come non si deve dirigere un partito. Certo, sarebbe ingiusto addossare a Veltroni responsabilità che appartengono ad un’intera classe politica. Ma sarebbe altrettanto ingiusto non addebitare a Walter Veltroni la fine del Pd a cui il becchino Franceschini sta preparando il funerale.
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