“Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta” e’ stato lo slogan della manifestazione di sabato 9 aprile in Italia dei giovani “trentenni”. Quando avevamo la loro età “ il nostro tempo” era assai molto piu’ problematico del loro eppure ce la siamo “cavata”, come? “Arrangiandoci” e con tanto “ottimismo” nessuno sapeva cosa fosse la depressione. Fu dura la vita di noi giovani dopo la fine della seconda guerra mondiale, con un Paese distrutto ed un futuro che sembrava senza “avvenire”. A nessuno veniva in mente di fare marce di protesta. Protestare contro chi? Lo Stato era in bancarotta e l’economia inesistente, cosi’, senza recriminazioni e “piagnistei”, ci siamo buttati con “entusiasmo” e grande “ottimismo” ad inventarci e ad intraprendere mille mestieri, mille attività tutte finanziate dalle “cambiali” che altro non erano il credito tra privati. Le “cambiali” si acquistavano dal tabaccaio ed erano stampate dallo Stato che ci guadagnava un tanto per mille. Le fabbriche vendevano i loro prodotti ai distributori che pagavano con “cambiali” con scadenze variabili dai 90/120 giorni, o anche piu’, dalla data dell’acquisto. A loro volta i negozianti vendevano ai clienti finali che, anch’essi, pagavano con “cambiali”. Chi godeva della stima della banca poteva cederle quelle in suo possesso per “scontarle”, pagava una “salata” commissione per trasformarle in “contanti” (cash). Lascio all’immaginazione del lettore quale tragicomica commedia capitava se alla scadenza qualcuno non pagava la “cambiale”. Ma senza le “indispensabili” cambiali l’economia italiana non sarebbe mai ripartita. Le banche, ovviamente, non concedevano “credito” ai “nullatenenti”, ma anche perche’, a quell’epoca, le loro casse erano quasi vuote poi, pian piano, hanno cominciato a riempirsi con le rimesse degli oltre sette milioni d’italiani che, nel frattempo, erano emigrati. Non amo citarmi, lo faccio per dare una testimonianza di un “giovane” di allora. Non essendo “figlio di papà” per sposarmi (a 23 anni) mi sono indebitato sino al collo e a trent’anni (1969) avevo già quattro figli. Incoscienza o coraggio? Giudicate voi. Noi giovani di allora, pur se diplomati o laureati, eravamo quasi tutti “sul lastrico” e “poveri in canna” al contrario della stragrande maggioranza dei giovani di oggi che economicamente non se la passano male, eppure siamo riusciti a realizzare, con molti anni di anticipo, ciò che consigliò tanti anni dopo John Kennedy: “Non chiedere al tuo Paese cosa può fare per te, chiediti cosa tu puoi fare per lui”. E noi lo abbiamo fatto creando il famoso “miracolo economico” di cui orgogliosamente ne andiamo fieri. “Adesso e’ il tempo” dei giovani di oggi di fare un altro miracolo economico. Si diano da fare: “la vita non aspetta!”. Da quando esiste il mondo “l’entusiasmo” e “l’irruenza” dei giovani, diciamo pure “l’incoscienza”, ha sempre prevalso sul senso di riflessione e di misura dei vecchi che e’ pur indispensabile per garantire la stabilità e la sicurezza della società. I giovani hanno “l’energia” per “spingere” avanti il mondo, energia che gli anziani non hanno più, ma, dalla loro parte, hanno “l’esperienza” e la “conoscenza” che i giovani ancora non hanno. E’ sempre stato, e sempre sarà, che le giovani generazioni debbono lottare contro tanti fattori che rendono sempre più difficili le loro condizioni. La difficoltà di trovare un posto di lavoro, e quindi un reddito che li renda autosufficienti, porta i giovani a sentirsi frustrati ed umilianti. E’ sempre esistita la carenza di alloggi e il loro costo e’ sempre stato elevato sia per acquistarli che per affittarli ma, chissà perche’, ai “nostri tempi”, non era motivo per rimanere nella casa paterna. Ai giovani di oggi tutte queste difficoltà, “sempre esistite”, invece di “stimolarli” li “deprimono”. Sarà perche’ sono stati allevati nel “benessere” e non sempre i genitori sono stati presenti per trasmettere quei “valori veri” fondamentali per l’esistenza umana. Sino a qualche decennio fa gli ideali comuni, tra le vecchie e nuove generazioni, erano gli stessi: la famiglia, la Patria e la religione ed i modelli di comportamento erano l’onesta’, la giustizia, il sacrificio, il dovere e la solidarietà, quella “vera”. Ora molti genitori pensano alla “carriera”, al “successo” personale e non amano “scocciature” come quelle di avere un figlio. Mettere al mondo un figlio e’ un attimo, ma crescerlo, accudirlo costa “sacrificio” e “sofferenza” e non molti sono disposti a spendere tempo e sudore per “educare” in modo adeguato un figlio. Di conseguenza i figli crescono da soli con amicizie talvolta sbagliate e “falsi valori”. Sono abituati ad essere viziati dai genitori che non si sanno far rispettare e non dicono mai di “NO”. I giovani, sapendo che possono avere tutto quello che vogliono, non versano nemmeno una goccia di sudore per raggiungere un obiettivo e questo li rende sempre “insoddisfatti” della propria vita. Non riescono ad apprezzare nessuna cosa che hanno perche’ “non se la sono sudata”. Negli anni 60 era il contrario, il solo avere una “bicicletta” comprata con i soldi guadagnati con il proprio sudore equivaleva ad una vincita alla lotteria. I genitori sapevano trasmettere i valori veri della vita e si sapevano far rispettare anche con la “cintura”, se necessario. Con le “sberle” e le “cinturate” e’ cresciuta una generazione che ha capito quali erano i “valori” e i veri “ideali” della vita. Se la società attuale e’ sprofondata nel “caos” e’ perche’ predomina “l’egocentrismo” e “l’egoismo”, la “contraddizione” e “l’incoerenza”. I giovani di oggi, molto piu’ evoluti, e per certi aspetti anche piu’ maturi dei giovani di un tempo, paradossalmente si comportano come i “bambini” che vengono lasciati per la prima volta all’asilo: hanno paura di separarsi dalla mamma e “piangono” disperatamente. Bisogna ammettere che la crisi dei valori e degli ideali oggi determina “smarrimento” e senso di “solitudine” nelle nuove generazioni. E’ vero che tanti ideali nel passato sono stati causa di immani disastri, basti pensare quanti guai ha procurato l’esasperato nazionalismo del “ventennio”, ma il non aver alcun punto di riferimento valido porta, inevitabilmente, le giovani generazioni ad una crisi d’identità. Tutto questo “destabilizza” la realtà dei giovani che si affacciano fiduciosi nella società. Ma che opinione dovrebbero avere di questa società quando con una “mazzetta” o una “raccomandazione” si risolve tutto o quasi? Una società dove proprio le istituzioni sono corrotte? Come possono avere fiducia di una società che nel terzo millennio non e’ ancora riuscita a risolvere il problema gravissimo della droga? Sappiamo benissimo il perche’: la droga frutta miliardi di dollari e sono in molti a trarne benefici finanziari. Tutti predicano bene, tutti vogliono il bene dei “giovani” e della famiglia.… ma poi? La verità e’ che molti di questi “predicatori”, sono solo interessati al potere e non sanno risolvere concretamente i problemi della società e quelli che ci hanno provato sappiamo che fine hanno fatto o che vogliono fargli fare. Credere in qualcosa vuol dire avere un “fine” un “obbiettivo” per il quale lottare e “sacrificarsi” per raggiungerlo, ma quando tutto può essere conquistato “esclusivamente” col denaro ecco che il denaro diventa l’unico “Dio” che gli uomini adorano. La mancanza di punti di riferimento, di solidi valori ideali e il “consumismo”, come unico modello sociale, sono le vere cause della “delusione” e della “apatia” dei giovani. Ed ecco che si rifugiano nell’illusoria felicità di una dose di eroina, o di uno “spinello”, rimanendone cosi’ schiavi. Ma quante altre cose sono anch’esse delle “droghe” dei “feticci” che “illusoriamente” creano la felicità dei giovani, ma anche dei meno giovani? “Magari potessi avere la moto Ducati”, “Magari potessi avere la macchina sportiva” e che dire della “mania” dei “telefonini”, ci sono persone che li cambiano ogni due mesi e ne hanno piu’ di uno. Anche questa e’ “droga” che fa perdere il senso delle cose e rende schiavi dei “feticci” creati dal “consumismo”. Soltanto prendendo coscienza di tutto questo i “giovani” ritroveranno la vera dimensione umana per non essere piu’ degli “schiavi sfruttati”. E’ l’unica strada da seguire perche’ come diceva Tolstoj: “Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa di cambiare se stesso”. In situazioni estreme d’emergenza, bisogna occuparsi delle questioni “prioritarie” tralasciando tutte quelle di “secondaria” importanza. Se vogliono uscire dalla “depressione” ed aver successo, i giovani abbandonino i “feticci” che li rendono schiavi e prosciugano le loro scarse risorse finanziarie. “Riscoprano” i “veri valori” della vita e siano “ottimisti”. Non credano a chi gli dice che non possono realizzare i loro sogni. L’ottimista vede sempre il lato positivo delle cose, ha un atteggiamento pratico per raggiungere l’obbiettivo che si e’ prefissato ed e’ consapevole che nella vita niente e’ facile, ma nulla e’ impossibile.
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