di Vittorio Feltri
(da “il Giornale”, 24 dicembre 2012)
Da giorni e giorni si ipotizza su tutti i giornali (senza contare altri mezzi di comunicazione) che lei sia pronto a partecipare alle prossime elezioni politiche, in veste di capo dei centristi, ma l’unica sua affermazione in proposito è stata: «Non mi piace l’espressione scendere in politica, preferisco salire in politica».
Problemi lessicali a parte, ancora non sappiamo quali siano i suoi programmi. Dalla sua bocca non è uscito nulla di preciso, tranne la solita cantilena che sintetizzo: l’Italia era sull’orlo del burrone, poi siamo arrivati noi tecnici e l’abbiamo salvata.
In che senso salvata?
D’accordo, lei ha conquistato la fiducia di Bruxelles, di Angela Merkel eccetera; la sua presenza nelle frequenti riunioni ad alto livello europeo è gradita; allo spread è stata messa la museruola e non morde più. Però, sul piano pratico, il nostro Paese – se ci atteniamo ai dati economici – sta peggio di un anno fa: il debito pubblico è mostruosamente aumentato, sfondando il tetto di 2.000 miliardi; il Pil è crollato; l’imposizione fiscale è la più alta del mondo; la disoccupazione si è impennata; la produzione industriale e i consumi sono diminuiti; il valore degli immobili è sceso a causa dell’Imu, impoverendo i cittadini (la maggioranza) proprietari di casa.
Se il quadro è questo, e lei non lo ha corretto (segno che non è sbagliato), come fa ad asserire che il suo esecutivo ha operato nell’interesse nazionale? Scusi la franchezza, presidente: se lei gode di stima e simpatia nella Ue, ma i lavoratori hanno meno soldi in tasca in quanto pagano più tasse e rischiano di perdere il posto, e i giovani non ne trovano uno, perché dovremmo ringraziarla? Su questi punti cruciali lei ha sorvolato, benché il suo discorso sia stato straordinariamente lungo, stavo per dire prolisso e curialesco.
Da un insigne docente ci attendevamo qualche spiegazione; come si può considerare positiva la sua gestione se gli indicatori economici (escluso lo spread) sono negativi? Le assicuro: sono interrogativi che si pone chiunque sia in buona fede. Perché non li ha affrontati, ma accuratamente aggirati? Sono consapevole. La maggioranza con la quale ha avuto a che fare non le ha concesso di varare riforme radicali; quella del lavoro è stata stravolta per intervento del Pd; il taglio della spesa (come mai lo chiama spending review?) è stato osteggiato dai partiti, le liberalizzazioni sono lettera morta, e mi fermo qui per carità di patria.
Lei m’insegna che per sistemare un bilancio sbagliato bisogna agire sue due fronti: aumentare gli introiti e ridurre le uscite. Altrimenti il pareggio non si raggiungerà mai. Lei è stato costretto ad azionare soltanto la leva fiscale, e l’ha fatto con brutalità. Abbia pazienza, presidente: ad aumentare le tasse sono capaci tutti, persino gli imbecilli. Finora la famosa agenda Monti ci ha riservato l’alleggerimento delle tasche. Perché allora dovremmo sperare che venga adottata anche in futuro? Per quale motivo gli elettori dovrebbero votare quei partiti che intendono farne tesoro come se fosse il Vangelo?
Infine, alcuni dubbi: lei «sale o non sale in politica»? Eventualmente salisse, in compagnia di chi? È lecito che un senatore a vita e già premier tecnico «extra partes» si getti nella mischia dei politicanti? Mi prendo una libertà: si tiri fuori dalla bagarre e aspetti sereno il risultato elettorale. Meno si agita e più crescono le sue probabilità di abitare gratis per sette anni al Quirinale, che mi dicono sia più ospitale della Bocconi.
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