Gianni Pardo
Giovedi' 01 agosto 2013
L’intera Scelta Civica è sull’orlo della scissione. Secondo tutti i giornali, le linee di
frattura separano i cattolici dell’Udc (fra loro divisi in due tendenze, secondo
che seguano Casini o Cesa), i cattolici delle altre tendenze, i liberali e
infine i montezemoliani. Un giornale ha enumerato sette tendenze
diverse. Nell’ultima riunione Mario Monti ha insistito per rimuovere Andrea
Olivero dall’incarico di coordinatore politico, perché reo di intelligenza con i
casiniani, ma è stata una vittoria di Pirro. Il partitino è talmente spaccato, e
talmente lontano dal seguire con convinzione il leader, che lo stesso Monti si è
formalmente dimesso. È poi tornato sui suoi passi solo perché l’ex ministro
Alberto Bombassei gli ha fisicamente sbarrato la strada e molti l’hanno
implorato di rimanere. Ma pare che la partita sia soltanto rimandata. La vicenda è interessante come paradigma della politica. Quando si
tratta di parlare ai cittadini, tutti i discorsi sono alti, tutti i programmi
sono tesi al bene comunei e il disinteresse dei singoli è un’evidenza che
sarebbe sconveniente mettere in dubbio. Nella realtà i politici - tutti - sono
cattedratici di realismo e mirano in primo luogo al successo personale. Non lo
si afferma per criticarli, ma soltanto per ribadire che questa è l’unica chiave
per comprenderne i comportamenti.
Scelta Civica è un partito nato da un enorme equivoco. Mario Monti si è
illuso di avere l’intera Italia dietro di sé, e se così l’avesse pensata solo
lui, sarebbe stato soltanto un pazzo fra gli altri. Invece questa idea l’hanno
avuta in parecchi e si è messo in moto un meccanismo dalle ambizioni
gigantesche.
Innanzi tutto, Monti e I suoi amici hanno rifiutato ogni apparentamento col
Pdl, benché ideologicamente il partito più vicino, perché pensavano che non
contasse più niente. Poi hanno sperato di avere la maggioranza relativa, tanto
da poter imporre loro al Pd il proprio programma, piuttosto che aderire al
programma e alla leadership del Pd. Indimenticabile al riguardo una esplicita
proposta di Monti. Infine la convinzione che Monti fosse l’astro nascente è
stata tanto forte che persino politici navigati e leader di grande rinomanza
hanno accettato di essere suoi luogotenenti. Numeri due e tre, loro che per
decenni erano stati numeri uno. Evidentemente Casini e Fini non avevano la
stoffa del Duca Valentino (aut Caesar aut nihil, o il capo o nessuno) ma certo
pensavano che essere i vice del padrone dell’Italia sarebbe stato
sufficientemente vantaggioso. Soprattutto pensando che questo signore non aveva
né il carisma né l’esperienza politica di Berlusconi, e dunque che l’avrebbero
usato come bandiera ma di fatto avrebbero comandato loro.
Gli elettori l’hanno pensata diversamente. Fini è scomparso totalmente dalla
scena, Casini è stato eletto per pietà e misericordia e il partitone si è
ristretto a partitino. Quanto a Monti, si è confermato quel personaggio che
alcuni pessimisti pensavano fosse. Non che riunire tutti gli italiani sotto la
sua bandiera, non riesce, anche a causa delle sue scarse qualità umane, a tenere
unito neppure il suo piccolo club. Alcuni giornalisti ironizzano crudelmente
sulla scissione dell’atomo.
I suoi sodali erano stati uniti dall’interesse (il salto sul carro del
previsto trionfatore) e ora, sempre nel nome dell’interesse, si guardano attorno
per sapere se c’è una scelta migliore. Casini in particolare scalpita, essendo
il numero due di uno zero politico: non è intervistato, non viene riferita la
sua opinione, non è invitato ai talk show e, pur essendo stato eletto, teme di
essere dimenticato, quasi come Fini. Una scissione con la quale riprenderebbe il
suo ruolo di leader di un partito non importa quanto piccolo, ma esclusivamente
suo, gli andrebbe a pennello. Purtroppo non ha i numeri per costituire un gruppo
autonomo in Parlamento ma, come si dice nel telefilm americani, “ci sta
lavorando”.
Monti pensa seriamente alle dimissioni, ed è comprensibile. Non pesa nella
vita politica del Paese e non è né amato né accettato come leader all’interno di
Scelta Civica. Non è strano che si dichiari “profondamente amareggiato”:
l’Italia lo ha fatto passare da venerato Presidente del Consiglio al di sopra
delle parti a capo inadeguato di una piccola fazione. E amareggiato sarà pure
il Presidente Napolitano, che di quell’inganno nazionale è stato partecipe e
vittima.
La morale della storia è la solita: la vittoria ha molti padri, la sconfitta
è orfana. Ma stavolta gli sconfitti non meritano compianto. Non si sono battuti
per un ideale: hanno solo sbagliato il cavallo su cui scommettere.
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