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sabato 03 agosto 2013 | |
Amarezza e sconcerto è ciò che molti italiani provano in questi giorni.
Silvio è stato condannato dopo un accanimento giudiziario che dura da
vent'anni, sono riusciti nel loro intento. L'odiato nemico che si è permesso di
scombinare i piani di coloro che a sinistra volevano occupare lo spazio politico
che si era venuto a creare con la caduta dei partiti democratici della Prima
Repubblica, ben presto vedrà limitata sia la sua libertà personale che i suoi
diritti politici. Certo, si dirà, dopo tre gradi di giudizio la colpevolezza è
certa, ma non è un fatto trascurabile che l'impianto accusatorio sul caso
diritti Mediaset si basasse sul «non poteva non sapere»: quante volte tale teorema è stato adoperato contro
esponenti delle classi dirigenti nella storia del nostro Paese.
La magistratura, o meglio, una parte di essa, ancora una volta è la
protagonista del cambiamento del corso politico del nostro Paese. Da Mani
pulite in poi essa è spesso entrata a gamba tesa nell'agone politico,
condizionando la vita pubblica dell'Italia. Ciò che accadrà da ora in poi nella
politica italiana è francamente imprevedibile, poiché ogni qual volta che il
potere giudiziario si sovrappone a quello politico si determina il caos. Silvio
Berlusconi, infatti, non è un politico qualunque, oggi è il capo della seconda
formazione politica in termini elettorali (prima secondo i sondaggi attuali) che
sostiene il governo e da vent'anni costituisce il punto di riferimento del nuovo
ordine politico della Seconda Repubblica, incarnando quello spirito liberale che
è molto radicato in gran parte del popolo italiano.
Che lo si ami o lo si odi Silvio è l'elemento di stabilità che ha reso
matura e compiuta, attraverso il bipolarismo, la democrazia italiana:
Berlusconi, da solo, è riuscito a scardinare i vecchi schemi della politica
politicante attraverso una leadership che ha consentito al popolo di sentirsi
sovrano non solo nel momento del voto, come accadeva durante il regime
partitocratico della Prima Repubblica, ma anche dopo, sentendosi partecipe di un
progetto politico chiaro e condiviso, fondato su impegni concreti già stabiliti.
Le aule giudiziarie, ieri come oggi, sembrano voler segnare la fine di
un'ordine non solo politico, ma anche sociale: sì, perché mettere fuori dai
giochi Silvio significa anche colpire quel blocco sociale che in lui si è sempre
riconosciuto e che con lui ha condiviso le medesime istanze di cambiamento: ecco
perché dobbiamo chiederci se nel nostro Paese, oltre alle sorti di Silvio, non
vi sia in gioco anche la democrazia stessa. Non si può decontestualizzare questa
sentenza dall'accanimento giudiziario di ben 50 processi a suo carico in
vent'anni, guarda caso avvenuti dopo la sua discesa in campo: chi lo fa e pensa
di poter oggi avere la strada spianata verso la conquista del potere sappia che
la fuoriuscita dalla politica di Silvio attraverso la via giudiziaria non farà
che soggiogare ulteriormente la politica alla scure di una parte della
magistratura.
Esiste un problema di equilibrio tra giustizia e politica, tutti ne sono
consapevoli, anche i giustizialisti, ma nessuno osa porlo, ad eccezione del
centrodestra di Silvio, all'ordine del giorno. La sinistra che,
trincerandosi dietro il giustizialismo ed il becero moralismo etico, non solo
non si straccia le vesti di fronte alla condanna dell'odiato nemico, ma in molti
casi gioisce, rischia di commettere un grave errore di prospettiva, poiché essa
in vent'anni ha mietuto il suo consenso solo sulla politica
dell'antiberlusconismo; chi è contro e non è stato mai in grado di proporsi con
idee alternative e innovative, ma si è fatto promotore di una politica
conservatrice non riuscirà di certo ad ergersi come punto di riferimento di un
nuovo ordine politico: la cosidetta maggioranza silenziosa degli italiani a cui
Silvio ha dato voce, oggi, non è disposta ad accettare di non sentirsi più
rappresentata, anzi, la ferita che ha subìto con la condanna di Silvio non farà
altro che ricompattarla, motivandola nella battaglia di libertà che Berlusconi
ha portato avanti in questi anni. Se non vi sarà, quindi, una risposta adeguata
da parte della politica, che dovrà essere capace di difendere l'assetto
democratico del nostro Paese con la garanzia che Silvio Berlusconi possa
continuare ad essere la voce di milioni di persone che lo hanno votato e che lo
voterebbero ancora, il caos ridefinirà il nuovo panorama politico e la
congiuntura economica rischierà di far colare l'Italia a picco. Il sostegno al
governo Letta, infatti, da adesso in poi, incontrerà molti ostacoli che
sorgeranno dal Pd, un partito spaccato, con troppi galli nel pollaio e pressato
da una base elettorale giustizialista. Se la questione giustizia verrà
derubricata nel dimenticatioio come potrà il Popolo della Libertà, che si sempre
dimostrato forza responsabile per il bene del Paese, sopportare un tale
accanimento giudiziario senza battere ciglio?
Costringere Silvio al disimpegno politico
attraverso una sentenza e far finta che nulla sia accaduto comprometterebbe la
coesione sociale del nostro Paese, già messa a dura prova da
una «guerra» civile strisciante che affonda
le radici nel dopo guerra. Napolitano ha dichiarato che bisogna mettere mano
alla rifoma della giustizia. Speriamo che dalle parole si passi ai fatti, perchè
se la politica non sarà in grado di sanare questa emergenza democratica sorta
dal conflitto tra il potere giudiziario e quello legislativo, c'è solo un unico
soggetto a cui spetta la decisione: il popolo sovrano attraverso le urne.
E' proprio in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo che è
importante rinnovare la vicinanza e la stima nei confronti di Silvio, di
colui che rappresenta le istanze politiche di milioni di italiani. Coloro che
come me lo hanno votato, oggi, non intendono ritornare maggioranza silenziosa,
lasciando il timone dello Stato nelle mani di una sinistra statalista e
giustizialista che sarebbe osteggiata solo dagli strali distruttivi e senza
costrutto del comico Beppe Grillo. Cari italiani che non vi riconoscete nella
sinistra, è questa l'Italia che vogliamo?
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