mercoledì 4 settembre 2013

Dalla parte di Silvio

 
di Alessandro Gianmoena
gianmoena@ragionpolitica.it
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sabato 03 agosto 2013
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Amarezza e sconcerto è ciò che molti italiani provano in questi giorni. Silvio è stato condannato dopo un accanimento giudiziario che dura da vent'anni, sono riusciti nel loro intento. L'odiato nemico che si è permesso di scombinare i piani di coloro che a sinistra volevano occupare lo spazio politico che si era venuto a creare con la caduta dei partiti democratici della Prima Repubblica, ben presto vedrà limitata sia la sua libertà personale che i suoi diritti politici. Certo, si dirà, dopo tre gradi di giudizio la colpevolezza è certa, ma non è un fatto trascurabile che l'impianto accusatorio sul caso diritti Mediaset si basasse sul «non poteva non sapere»: quante volte tale teorema è stato adoperato contro esponenti delle classi dirigenti nella storia del nostro Paese.
La magistratura, o meglio, una parte di essa, ancora una volta è la protagonista del cambiamento del corso politico del nostro Paese. Da Mani pulite in poi essa è spesso entrata a gamba tesa nell'agone politico, condizionando la vita pubblica dell'Italia. Ciò che accadrà da ora in poi nella politica italiana è francamente imprevedibile, poiché ogni qual volta che il potere giudiziario si sovrappone a quello politico si determina il caos. Silvio Berlusconi, infatti, non è un politico qualunque, oggi è il capo della seconda formazione politica in termini elettorali (prima secondo i sondaggi attuali) che sostiene il governo e da vent'anni costituisce il punto di riferimento del nuovo ordine politico della Seconda Repubblica, incarnando quello spirito liberale che è molto radicato in gran parte del popolo italiano.
Che lo si ami o lo si odi Silvio è l'elemento di stabilità che ha reso matura e compiuta, attraverso il bipolarismo, la democrazia italiana: Berlusconi, da solo, è riuscito a scardinare i vecchi schemi della politica politicante attraverso una leadership che ha consentito al popolo di sentirsi sovrano non solo nel momento del voto, come accadeva durante il regime partitocratico della Prima Repubblica, ma anche dopo, sentendosi partecipe di un progetto politico chiaro e condiviso, fondato su impegni concreti già stabiliti.
Le aule giudiziarie, ieri come oggi, sembrano voler segnare la fine di un'ordine non solo politico, ma anche sociale: sì, perché mettere fuori dai giochi Silvio significa anche colpire quel blocco sociale che in lui si è sempre riconosciuto e che con lui ha condiviso le medesime istanze di cambiamento: ecco perché dobbiamo chiederci se nel nostro Paese, oltre alle sorti di Silvio, non vi sia in gioco anche la democrazia stessa. Non si può decontestualizzare questa sentenza dall'accanimento giudiziario di ben 50 processi a suo carico in vent'anni, guarda caso avvenuti dopo la sua discesa in campo: chi lo fa e pensa di poter oggi avere la strada spianata verso la conquista del potere sappia che la fuoriuscita dalla politica di Silvio attraverso la via giudiziaria non farà che soggiogare ulteriormente la politica alla scure di una parte della magistratura.
Esiste un problema di equilibrio tra giustizia e politica, tutti ne sono consapevoli, anche i giustizialisti, ma nessuno osa porlo, ad eccezione del centrodestra di Silvio, all'ordine del giorno. La sinistra che, trincerandosi dietro il giustizialismo ed il becero moralismo etico, non solo non si straccia le vesti di fronte alla condanna dell'odiato nemico, ma in molti casi gioisce, rischia di commettere un grave errore di prospettiva, poiché essa in vent'anni ha mietuto il suo consenso solo sulla politica dell'antiberlusconismo; chi è contro e non è stato mai in grado di proporsi con idee alternative e innovative, ma si è fatto promotore di una politica conservatrice non riuscirà di certo ad ergersi come punto di riferimento di un nuovo ordine politico: la cosidetta maggioranza silenziosa degli italiani a cui Silvio ha dato voce, oggi, non è disposta ad accettare di non sentirsi più rappresentata, anzi, la ferita che ha subìto con la condanna di Silvio non farà altro che ricompattarla, motivandola nella battaglia di libertà che Berlusconi ha portato avanti in questi anni. Se non vi sarà, quindi, una risposta adeguata da parte della politica, che dovrà essere capace di difendere l'assetto democratico del nostro Paese con la garanzia che Silvio Berlusconi possa continuare ad essere la voce di milioni di persone che lo hanno votato e che lo voterebbero ancora, il caos ridefinirà il nuovo panorama politico e la congiuntura economica rischierà di far colare l'Italia a picco. Il sostegno al governo Letta, infatti, da adesso in poi, incontrerà molti ostacoli che sorgeranno dal Pd, un partito spaccato, con troppi galli nel pollaio e pressato da una base elettorale giustizialista. Se la questione giustizia verrà derubricata nel dimenticatioio come potrà il Popolo della Libertà, che si sempre dimostrato forza responsabile per il bene del Paese, sopportare un tale accanimento giudiziario senza battere ciglio?
Costringere Silvio al disimpegno politico attraverso una sentenza e far finta che nulla sia accaduto comprometterebbe la coesione sociale del nostro Paese, già messa a dura prova da una «guerra» civile strisciante che affonda le radici nel dopo guerra. Napolitano ha dichiarato che bisogna mettere mano alla rifoma della giustizia. Speriamo che dalle parole si passi ai fatti, perchè se la politica non sarà in grado di sanare questa emergenza democratica sorta dal conflitto tra il potere giudiziario e quello legislativo, c'è solo un unico soggetto a cui spetta la decisione: il popolo sovrano attraverso le urne.
E' proprio in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo che è importante rinnovare la vicinanza e la stima nei confronti di Silvio, di colui che rappresenta le istanze politiche di milioni di italiani. Coloro che come me lo hanno votato, oggi, non intendono ritornare maggioranza silenziosa, lasciando il timone dello Stato nelle mani di una sinistra statalista e giustizialista che sarebbe osteggiata solo dagli strali distruttivi e senza costrutto del comico Beppe Grillo. Cari italiani che non vi riconoscete nella sinistra, è questa l'Italia che vogliamo?

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