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giovedì 22 agosto 2013 | |
L’odio pregiudiziale e il livore ideologico, soprattutto se mascherati da
quell’evanescente e nebuloso concetto del cosiddetto «interesse
superiore», portano, inesorabilmente, alla colpevole cecità prima,
all’autodistruzione poi. La cecità che sta manifestando il PD in questi
giorni, con poche lodevoli eccezioni ad oggi inascoltate, è peggio che
colpevole: rasenta il criminale.
Oggetto della contesa, ovviamente, è la
sentenza della Corte di Cassazione pronunciata dal giudice Antonio Esposito.
Una sentenza che possiamo tranquillamente definire aberrante dal punto di
vista sostanziale, se non formale. Questo per una semplice ed evidente ragione:
l’atteggiamento pregiudiziale del giudice nei confronti di Silvio Berlusconi è
un fatto inequivocabile. E’, purtroppo, realtà. Sulla quale è perfettamente
inutile abbandonarsi a interpretazioni più o meno apologetiche. A quanto
riportato dal «Mattino» , con tanto di
registrazione annessa, e da Stefano Lorenzetto sul «Giornale» qualche
settimana fa si aggiungono le testimonianze di Massimo Castello e Franco Nero,
il noto attore certamente poco simpatizzante, per usare un eufemismo, del
Cavaliere. Dichiarazioni agghiaccianti pronunciate con la massima tranquillità
da Esposito durante una cena a casa di Castello nel 2011. Quelle che fino a ieri
erano solo ombre, piuttosto dense in verità, su quella famigerata Camera di
Consiglio durata più di sette ore, acquisiscono ineluttabile concretezza.
Il pregiudizio nei confronti del presunto reo
(perché a questo punto è doveroso parlare di presunzione di colpevolezza) non
dovrebbe essere messo in in discussione. Ma, e qui sta il nucleo della farsa
in cui il Partito Democratico sta recitando il ruolo di
protagonista, «le sentenze si
rispettano», specialmente quelle passate in
giudicato. Un comodo sofisma che, negli intenti degli esponenti democratici,
fornisce un inattaccabile scudo ed esime da ogni possibile responsabilità
politica. Vero è, questo sì, che in apparenza non esistono strumenti efficaci di
difesa sul piano giudiziario per sindacare una sentenza della Suprema Corte se
pur indiscutibilmente viziata fin dall’origine. E questo dovrebbe indurci a
comprendere, oggi come non mai, quanto sia necessaria una radicale riforma della
giustizia.
Ma, e qui sta il punto critico reale, la
politica ha la possibilità e il dovere di agire responsabilmente al fine di
temperare quello che a tutti gli effetti è un orrore giudiziario: che senso
avrebbe, infatti, l’esistenza stessa della Giunta per le Autorizzazioni se
quest’ultima avesse il solo scopo di accogliere supinamente le sentenze della
magistratura? Se tale procedura di «deliberazione»,
diciamo impropriamente, fosse un semplice automatismo che scopo avrebbe, in
realtà, suddetta Giunta? Gli elementi che rendono doveroso il rigetto totale
della richiesta di decadenza del Senatore Berlusconi ci sono tutti, a cominciare
dalla patente non retroattività della Legge Severino per arrivare alle
dichiarazioni del Giudice Esposito. Dichiarazioni, per altro, che dovrebbero
indurre tutti ad una seria riflessione: poiché non si tratta di semplici
esternazioni improvvidamente sfuggite di bocca e colte casualmente da
qualche «paparazzo» malandrino, bensì di parole pronunciate in piena
coscienza che implicano un senso di «outrance» assoluto.
La piena cognizione di essere, in quanto giudice di Cassazione, impunibile,
intoccabile, insindacabile. Casta allo stato puro. Un atteggiamento
intollerabile che desta allarmante preoccupazione per tutti i cittadini, i
quali, come è comprensibile, non nutrono più alcuna fiducia nei confronti di una
magistratura che fa dell’anticipo di motivazioni a mezzo stampa,
delle «fughe di notizie» pilotate, di sentenze già scritte e tenute nel cassetto,
del mercato dei cosiddetti «collaboratori di
giustizia» la propria cifra distintiva. Il
tutto senza che gli organi preposti alla giurisdizione domestica censurino,
perseguano, puniscano. Un potere assolutamente fuori controllo il quale, per
sommare beffa al danno, pure si vanta della propria totale immunità, al punto da
esternare dichiarazioni palesemente sprezzanti.
Eppure la classe
politica democratica, anziché prendere atto della realtà e, perlomeno,
sospendere giudizio in attesa di sviluppi come elementare prudenza imporrebbe,
finge di non vedere: si trincera dietro al «rispetto delle
sentenze» mettendosi così la coscienza in pace. Anche di fronte
a «sentenze» che,
palesemente, tutto meriterebbero tranne il rispetto. Un atteggiamento
assolutamente irresponsabile che, dietro alla patina (già parecchio ossidata…)
del formalismo, non riesce a celare l’entusiasmo autolesionista nel vedere il
Cavaliere disarcionato.
Con quali mezzi e quali modalità non importa:
l’importante è dare il nemico storico in pasto alla base che da decenni ne
chiede la testa. Dopo si vedrà. Già: il «dopo». Un «dopo» che si
preannuncia già ora disastroso: in mancanza di una assunzione di responsabilità
seria e doverosa da parte dell’esecutivo Letta è poco probabile che il governo
duri. Ipotesi drammatica per il paese ma, purtroppo, accarezzata da molti
esponenti del PD che vedrebbero nel prepensionamento di Letta la situazione
ideale per dare libero sfogo alle rispettive (e brutalmente confliggenti)
ambizioni personali. Senza contare che la caduta intempestiva dell’attuale
esecutivo metterebbe alle corde pure Giorgio Napolitano, le cui dimissioni
sarebbero a quel punto quasi automatiche.
Un dilaceramento istituzionale su più livelli
indubbiamente auspicato da coloro che non vedono l’ora di mettere Prodi o Rodotà
al Quirinale. Con le conseguenze che tutti possiamo immaginare. Un colossale
errore politico, in definitiva, del quale la prima vittima sarebbe il soggetto
che ha effettivamente il proverbiale «cerino
in mano», ovvero il Partito Democratico: un pollaio con troppi, innumerevoli
galli, tutti pronti a far fuori i concorrenti «nell’interesse del Paese». Una guerra aperta nella quale,
pur di conseguire il «trionfo» personale,
non esistono alleanze impossibili, pericolose o impraticabili, non esiste prezzo
politico (che pagheremmo noi, ovviamente) troppo alto o troppo inaudito. Una
guerra aperta interna al massimo partito della sinistra che ridurrà l’Italia in
macerie. C’è purtroppo chi si accontenterebbe di regnare, incontrastato, su
queste ultime…
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