domenica 22 settembre 2013

Dritto e diritto

 

 
 
Davide Giacalone
Sabato, 21 Settembre 2013
 
Hanno appena eletto il nuovo presidente della corte Costituzionale, ancora una volta violando il quinto comma dell’articolo 135 della Costituzione. Il più alto organo garante della costituzionalità compie atti incostituzionali (al fine di avere il più alto numero di presidenti possibile, mandandone in pensione lestamente il più alto numero d’emeriti). Siamo il Paese più condannato alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, per denegata giustizia. I diritti umani (mica quello d’usucapione d’un fabbricato rurale) sono da noi violati, prevalentemente, perché non si riesce ad amministrare giustizia in tempi accettabili. Pur non essendo più litigiosi di altri, non ammazzando o derubando più di altri, e pur avendo un numero di magistrati per abitante superiore alla media europea. Spendiamo anche più di quella media. Non ci dovrebbe mancare nulla, invece ci manca la giustizia.
La Banca Mondiale e l’Ocse (da ultimo con uno studio del giugno scorso) ci ricordano che investire da noi è sconsigliabile, e in effetti lo si fa assai meno che in altri paesi paragonabili, perché non c’è da fidarsi della giustizia. Posto tutto ciò, condivido le parole di Enrico Letta: siamo uno stato di diritto. Lo siamo, ma non funziona.
Letta ha pure detto che da noi non ci sono perseguitati.  Anche qui condivido, ma si deve intendersi. In nessun sistema di diritto è possibile cancellare l’errore. E’ amaro, ma è così. Da noi se ne commettono. Avrà anche lui letto di ergastolani riconosciuti innocenti dopo dieci, quindici o venti anni di galera. Se si dicono perseguitati, vogliamo dare loro torto? Saprà, suppongo, che circa la metà della popolazione carceraria è composta da persone che non scontano una pena, ma attendono una sentenza. Molti di loro neanche la sentenza: aspettano che la procura finisca le indagini (che il codice prevede ragionevolmente brevi, ma che le procure rinnovano ed estendono sempre). Ha presente, il presidente Letta, il trauma di un arresto che spezza una vita? Se poi si è assolti, come capita a moltissimi, è irragionevole dirsi perseguitati? In questo caso non dalla giustizia, ma dai funzionari dell’accusa e da quei giudici, per niente terzi, che presiedono alle indagini.
Ma Letta si riferiva alla politica, voleva dire, suppongo: da noi non ci sono perseguitati politici. Condivido. E’ così. Da noi non c’è qualcuno che sconta per le proprie idee, c’è che la politica è sotto scacco, balbetta e soccombe sotto al maglio di una giustizia uscita dai binari. Semmai qualcuno se ne fosse dimenticato, rammento che il governo di Romano Prodi cadde per delle inchieste, mentre arrestavano i familiari del ministro che a quel settore era stato da lui (e dalla maggioranza) preposto. Silvio Berlusconi è “solo” il leader più singolarmente forte di questa lunga (e persa) stagione, denominata “seconda Repubblica”. E’ quello dotato di maggiore consenso personale. Quanti sentono la magistratura come un potere, quanti vogliono affermarne la supremazia sugli altri poteri, non potevano che provare a masticarlo. E’ stata lunga e dura, mentre altri venivano triturati e sputati. Hanno prevalso. A questo punto Berlusconi ha un problema personale, il suo elettorato ha un problema di rappresentanza (questione delicatissima, in democrazia), ma tutti gli altri, Letta compreso, devono decidere: si fa la riforma della giustizia, come anche il presidente della Repubblica reclama, immagino ben sapendo che siamo uno stato di diritto, oppure la politica accetta la resa e festeggia il potere che la conquista. Potere non democratico, perché forse a qualcuno sfugge, ma “stato di diritto” e “democrazia” non sono sinonimi (per questo “magistratura democratica” è inquietante, ma anche gli “indipendenti” et similia non scherzano).
Che si fa, presidente Letta, ci complimentiamo con la corte Costituzionale che riduce in coriandoli la Costituzione e accettiamo che un ordine diventi potere, restando irresponsabile? Sono certo che non lo pensa. Capisco che si sia nella fase in cui ogni provocazione è buona, pur di fare cadere il governo che si presiede e pur di non fare i conti con l’avere sbagliato di conto. Ma qui c’è un’occasione straordinaria di longevità e stabilità governativa: preserviamo la democrazia e lo stato di diritto, affermiamo il necessario equilibrio e l’indispensabile coessenza dell’una e dell’altro, quindi prendiamo la riforma della giustizia e mettiamola al centro delle riforme condivise. A cominciare da tempi certi, responsabilità per gli errori commessi, separazione delle carriere e garanzia d’indipendenza. Sarebbe un trionfo, un modo per tirare dritto e diritto. Sarà un tonfo, invece, se ci si ostinerà ad avere un governo che ignora la più evidente realtà, afferma il falso e svillaneggia il capo dello Stato, lasciando intendere che va benissimo così quel che dal Colle si sollecita a cambiare, costringendo Giorgio Napolitano a correggere un tiro governativo decisamente fuori bersaglio.

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