Sabato, 21 Settembre 2013
Hanno appena eletto il nuovo presidente della corte Costituzionale, ancora
una volta violando il quinto comma dell’articolo 135 della Costituzione. Il più
alto organo garante della costituzionalità compie atti incostituzionali (al fine
di avere il più alto numero di presidenti possibile, mandandone in pensione
lestamente il più alto numero d’emeriti). Siamo il Paese più condannato alla
Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, per denegata giustizia. I diritti umani
(mica quello d’usucapione d’un fabbricato rurale) sono da noi violati,
prevalentemente, perché non si riesce ad amministrare giustizia in tempi
accettabili. Pur non essendo più litigiosi di altri, non ammazzando o derubando
più di altri, e pur avendo un numero di magistrati per abitante superiore alla
media europea. Spendiamo anche più di quella media. Non ci dovrebbe mancare
nulla, invece ci manca la giustizia.
La Banca Mondiale e l’Ocse (da ultimo con uno studio del giugno scorso) ci
ricordano che investire da noi è sconsigliabile, e in effetti lo si fa assai
meno che in altri paesi paragonabili, perché non c’è da fidarsi della giustizia.
Posto tutto ciò, condivido le parole di Enrico Letta: siamo uno stato di
diritto. Lo siamo, ma non funziona.
Letta ha pure detto che da noi non ci sono perseguitati. Anche qui
condivido, ma si deve intendersi. In nessun sistema di diritto è possibile
cancellare l’errore. E’ amaro, ma è così. Da noi se ne commettono. Avrà anche
lui letto di ergastolani riconosciuti innocenti dopo dieci, quindici o venti
anni di galera. Se si dicono perseguitati, vogliamo dare loro torto? Saprà,
suppongo, che circa la metà della popolazione carceraria è composta da persone
che non scontano una pena, ma attendono una sentenza. Molti di loro neanche la
sentenza: aspettano che la procura finisca le indagini (che il codice prevede
ragionevolmente brevi, ma che le procure rinnovano ed estendono sempre). Ha
presente, il presidente Letta, il trauma di un arresto che spezza una vita? Se
poi si è assolti, come capita a moltissimi, è irragionevole dirsi perseguitati?
In questo caso non dalla giustizia, ma dai funzionari dell’accusa e da quei
giudici, per niente terzi, che presiedono alle indagini.
Ma Letta si riferiva alla politica, voleva dire, suppongo: da noi non ci sono
perseguitati politici. Condivido. E’ così. Da noi non c’è qualcuno che sconta
per le proprie idee, c’è che la politica è sotto scacco, balbetta e soccombe
sotto al maglio di una giustizia uscita dai binari. Semmai qualcuno se ne fosse
dimenticato, rammento che il governo di Romano Prodi cadde per delle inchieste,
mentre arrestavano i familiari del ministro che a quel settore era stato da lui
(e dalla maggioranza) preposto. Silvio Berlusconi è “solo” il leader più
singolarmente forte di questa lunga (e persa) stagione, denominata “seconda
Repubblica”. E’ quello dotato di maggiore consenso personale. Quanti sentono la
magistratura come un potere, quanti vogliono affermarne la supremazia sugli
altri poteri, non potevano che provare a masticarlo. E’ stata lunga e dura,
mentre altri venivano triturati e sputati. Hanno prevalso. A questo punto
Berlusconi ha un problema personale, il suo elettorato ha un problema di
rappresentanza (questione delicatissima, in democrazia), ma tutti gli altri,
Letta compreso, devono decidere: si fa la riforma della giustizia, come anche il
presidente della Repubblica reclama, immagino ben sapendo che siamo uno stato di
diritto, oppure la politica accetta la resa e festeggia il potere che la
conquista. Potere non democratico, perché forse a qualcuno sfugge, ma “stato di
diritto” e “democrazia” non sono sinonimi (per questo “magistratura democratica”
è inquietante, ma anche gli “indipendenti” et similia non scherzano).
Che si fa, presidente Letta, ci complimentiamo con la corte Costituzionale
che riduce in coriandoli la Costituzione e accettiamo che un ordine diventi
potere, restando irresponsabile? Sono certo che non lo pensa. Capisco che si sia
nella fase in cui ogni provocazione è buona, pur di fare cadere il governo che
si presiede e pur di non fare i conti con l’avere sbagliato di conto. Ma qui c’è
un’occasione straordinaria di longevità e stabilità governativa: preserviamo la
democrazia e lo stato di diritto, affermiamo il necessario equilibrio e
l’indispensabile coessenza dell’una e dell’altro, quindi prendiamo la riforma
della giustizia e mettiamola al centro delle riforme condivise. A cominciare da
tempi certi, responsabilità per gli errori commessi, separazione delle carriere
e garanzia d’indipendenza. Sarebbe un trionfo, un modo per tirare dritto e
diritto. Sarà un tonfo, invece, se ci si ostinerà ad avere un governo che ignora
la più evidente realtà, afferma il falso e svillaneggia il capo dello Stato,
lasciando intendere che va benissimo così quel che dal Colle si sollecita a
cambiare, costringendo Giorgio Napolitano a correggere un tiro governativo
decisamente fuori bersaglio.
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