mercoledì 11 settembre 2013

Il diritto e il caso Berlusconi


 

Gianni Pardo

Martedì, 10 Settembre 2013

 
Indro Montanelli diceva spesso al suo dentista (uno dei migliori professionisti di Milano, di cui mi onoro di essere amico): “Tutti noi, giornalisti inclusi, conosciamo solo il 10% di ciò che avviene”. Aveva ragione. Da parte sua Alistair Cooke (1908-2004), anche lui immenso opinionista, una volta osservò che la gente chiede ai giornalisti la spiegazione di ciò che accade negli incontri internazionali, mentre l’interrogato ne sa più o meno quanto loro. Può dire a che ora sono arrivati gli interessati, come erano vestiti, che faccia avevano durante il comunicato finale, ma non molto di più. A questo si può pensare nel momento in cui tutti si interrogano su ciò che faranno il Pd e Berlusconi e su come andranno le cose nella Giunta del Senato per le Elezioni. È semplice: non ne sappiamo niente. Può darsi perfino che non ne sappiano niente neppure i protagonisti: lo studio della storia ci ha insegnato quanta casualità, quanti errori, quanti calcoli sbagliati ci siano dietro i più grandi avvenimenti. Il caso presente si singolarizza tuttavia per un aspetto: si dà ad intendere che il problema sia giuridico. Addirittura, la discussione è cominciata prima della discussione, quando ci si è chiesto se la natura della Giunta sia giuridica o politica. Se uno avesse la dabbenaggine di credere all’ingenuità dei politici, tutto dovrebbe indurre ad un sorriso di compatimento. In realtà, tutto il parlare che si fa di leggi, di Costituzione e persino della Corte Europea di Strasburgo, serve soltanto per il grande pubblico. È un paravento dietro il quale si nasconde uno scontro politico inconfessabile, per la sua brutalità,  e tuttavia perfettamente normale. Il diritto è uno dei più grandi raggiungimenti della civiltà. Dal momento che la morale è opinabile e priva di sanzione, il diritto è forse l’unico strumento che l’umanità è riuscita ad inventare per mettere ordine e razionalità nella vita associata. Ma esso presuppone che esista un’entità (lo Stato) sopraordinata rispetto alle parti, estranea alla controversia e capace di applicare le proprie decisioni con la forza. Se questa autorità non esiste, il diritto non può esistere. Se poi essa non è estranea alla controversia, non è imparziale; e se infine non è capace di applicare le proprie decisioni con la forza, è inutile. Proprio per questi principi il diritto internazionale non è affatto ciò che crede la gente: è più o meno una serie di accordi liberamente consentiti cui si obbedisce finché si reputa opportuno obbedire. Insomma un obbligo di galateo. Dunque l’Onu non ha nessun valore. Quando gli Stati votano non lo fanno perseguendo la giustizia (concetto peraltro opinabile) ma i loro interessi. Se il Consiglio di Sicurezza decide di agire, in tanto può farlo in quanto una o più potenze siano disposte a sobbarcarsi i costi militari e umani dell’impresa. Diversamente il Consiglio con le sue famose “Risoluzioni” può farsi vento. E non dimentichiamo che chi invia un esercito lo fa soltanto se conta di ricavarne qualcosa. L’Onu non è – e non può essere – un’organizzazione giuridica. Per queste stesse ragioni la discussione in Giunta non è affatto tecnica. Manca il potere sopraordinato che possa applicare la legge, manca l’estraneità alla controversia e ognuno tira l’acqua al proprio mulino, come da sempre si fa in politica. Alla fine vincerà il più forte o il più abile ed è ridicolo sentir parlare di “interesse del Paese”, di “nullum crimen sine praevia lege”, di sentenze e di morale. Qualcuna di queste ragioni potrebbe anche entrare nelle motivazioni di qualcuno, ma in generale la politica riproduce fra i partiti ciò che avviene nell’ambito internazionale: una lotta senza quartiere di tutti contro tutti, in cui la morale e il diritto non contano nulla. Naturalmente, alla morale e al diritto ci si appella continuamente perché è quello che si aspettano gli incompetenti, i lettori di giornali, gli spettatori della televisione; quelli che si scandalizzano se qualcuno fa l’ipotesi di “ricatti”, “tranelli”, “violazione delle regole”. Come se la politica fosse fatta d’altro. Qui vige il principio per cui, come ha riassunto Tucidide, “Potendo ricorrere alla forza, nessuno ricorre alla giustizia”. Dunque non ci rimane che aspettare i fatti. Per il resto, il 90% della sostanza ci è nascosto e nessuno sa niente di ciò che sta avvenendo. Sappiamo soltanto che avviene in termini di pura forza, di calcolo di interessi, di lotta senza esclusione di colpi. Cioè di politica. Naturalmente questa visione apparirà orribile. E ci sono degli ingenui capaci di credere che, se una cosa appare orribile, non è vera. Non è difficile capire la politica, è difficile uscire dalle proprie ostinate illusioni.

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