Powered By Blogger

martedì 17 settembre 2013

Stiamo vincendo la guerra all'imprenditore

 

  
 
Gianni Pardo
Venerdì, 13 Settembre 2013
 
Il signor Torresi era un uomo fortunato: buon lavoro, moglie affettuosa, figli beneducati e di successo. Aveva soltanto un piccolo cruccio, non grave ma irritante come una puntura di zanzara. Nella sua cittadina c’erano molti Torrisi e per questo, quando un conoscente l’incontrava, capitava spesso che lo salutasse sorridendo: “Buongiorno, signor Torrisi!”. “Buongiorno a lei. Ma mi chiamo Torresi”. “Mi scusi, signor Torrisi”. “Torresi”. “Torresi, Torresi, giusto”. Ma dopo qualche metro, ecco un altro conoscente: “Buongiorno signor Torrisi”. “Torresi”. “Come ha detto?”
Il poveretto si rassegnò. Si fece fare una targhetta come quella che portano i medici in ospedale, ci fece scrivere sopra ben chiaro “Torresi” e se l’appuntò sul petto. Poi uscì di casa. “Buongiorno, signor Torrisi”. “Buongiorno: ma guardi qui”. “Che c’è?” “C’è scritto Torresi. Mi chiamo Torresi”. E il poveretto cominciò a sognare di cambiare cognomen.
Lo stesso quando si parla del nostro Paese. Una persona ragionevole si accorge di dire spesso le stesse cose e si chiede se non siano le prime tracce di Alzheimer. Poi però si accorge che sono gli altri che continuano a sostenere instancabilmente le stesse cose sbagliate. E allora che fare, cercare di cambiare cognome, andarsene dall’Italia?
Una delle manie più correnti è quella di confondere le categorie: cioè di non distinguere politica, morale, economia, religione, diritto. Si vogliono imporre all’economia le norme della morale, alla politica le norme del diritto, al diritto le norme della religione, alla religion i pregiudizi della pubblica opinione, in un groviglio inestricabile. La gente non vuole capire. Ad esempio, che governare la nazione è compito della politica, non del diritto. La gente non vuole capire che l’economia è totalmente sorda alle regole dell’etica: nessuno va a comprare le cose dove costano di più solo perché il venditore lo merita moralmente. Nessun giudice può imporre ad un’impresa di operare in perdita, perché chi opera in perdita fallisce. E non parliamo della distinzione fra morale e politica. Ovvietà? Ma sono ovvietà che si ha un bel ripetere. Il prossimo che incontreremo ci dirà con perfetta buona coscienza: “Buongiorno, signor Torrisi!”
L’ultimo caso è quello della famiglia Riva che, in seguito all’ulteriore sequestro di quasi un miliardo, ha chiuso tutte le sue imprese mettendo sul lastrico 1.400 o più lavoratori. E al riguardo ecco i pregiudizi in conflitto.
1) Se l’impresa è inquinante va chiusa e se ha inquinato deve pagare i danni. Per garantirlo sequestreremo tutto ai proprietari. I magistrati devono proteggere l’ambiente, devono applicare la legge e non guardare in faccia a nessuno. Peccato siano gli stessi magistrati che per decenni, prima di Mani Pulite, hanno lasciato che la concussione dei partiti fosse pratica indiscutibile, universale e alla luce del sole. Ma forse anche il diritto ha le sue stagioni. E peccato che chi dice “fiat iustitia et pereat mundus” (si faccia giustizia e perisca il mondo) poi non faccia parte di coloro che periscono. E qui si tratta di 1.400 dipendenti, per non parlare delle loro famiglie e dell’indotto.
2) Altro pregiudizio. L’impresa ha responsabilità morali, dunque non può chiudere e non può licenziare. Peccato che l’economia non si lasci impressionare da questi presunti obblighi morali. Chi crea un’attività produttiva, dal negozietto alla società per azioni, non lo fa per creare posti di lavoro ma per ricavarne profitti. E se la parola “profitti” sembra sconcia, si ricordi che l’imprenditore è libero di chiudere qui e portare la propria “immoralità” altrove (Marchionne ci pensa da mesi).  Se infine un magistrato spoglia di tutto i proprietari, non per questo un’industria diventerà sana. E se essa fallisce non c’è toga di giudice che possa resuscitarla. L’economia non è né morale né politica né diritto e, come una pianta, prospera solo dove il clima la favorisce.
3) Lo Stato non deve permettere né l’inquinamento né la chiusura di un’industria che dà da vivere a tante migliaia di persone. Perfetto. Basta che lo Stato stipendi i dipendenti, in un modo o nell’altro, ripianando i deficit dell’impresa. E infatti in passato lo Stato l’ha fatto, magari creando il nostro famoso debito pubblico. Ma oggi è impossibile. Ed anche se fosse possibile sarebbe da dementi: infatti è perché in passato l’erario si è caricato di questi pesi che si è arrivati all’attuale assurda e soffocante pressione fiscale.
Come se ne esce? Non se ne esce. La recessione è inguaribile perché continuiamo ad applicare idee che conducono alla recessione: ad esempio la guerra all’imprenditore, che stiamo vincendo. Ma non possiamo pretendere di ammazzare l’impresa e poi di ritrovarcela viva e attiva come il vampiro dei film dell’orrore. Nella realtà chi muore è morto e chi perde il lavoro rimane disoccupato.
pardonuovo.myblog.it
 

Nessun commento: