- Gianni Pardo
Giovedì, 03 Ottobre 2013
Alcuni si chiedono se non si sia venduta la pelle dell’orso prima di averlo
ammazzato. Se cioè non si sia dato troppo presto per spacciato Silvio
Berlusconi, forse con ciò tradendo un segreto desiderio. In realtà il pessimismo
potrebbe non avere nulla a che vedere con l’ostilità a quell’uomo.
Una persona mentalmente sana non gioisce mai degli infortuni altrui. Romano Prodi Primo Ministro non era una persona simpatica a molti. Quel suo modo di sorridere e di farfugliare con fare vagamente parrocchiale ispirava un incompressibile moto di fastidio. Ma come non sentire un’umana simpatia per il modo in cui, dopo i mille sforzi da lui fatti per tenere insieme una maggioranza scombiccherata, fu cacciato da Palazzo Chigi dopo meno di due anni?
Bersani poteva stufare con i suoi paragoni caserecci, ma come non
simpatizzare con lui quando, dopo che non riuscì a combinare un governo con i
“grillini”, gli si fece pagare, solo a lui, un errore che era stato di tutto il
partito? Figurarsi dunque se si può gioire del tramonto di Berlusconi.
Soprattutto pensando che è stato annichilito più da una persecuzione giudiziaria
che da una lotta politica vincente.
L’ipotesi che la parabola di Berlusconi sia finita solo per una magra figura
in Parlamento non nasce dal piacere di infierire sull’idolo caduto: nasce dalla
qualità stessa di quel personaggio. Il grande leader è tale perché vede la
soluzione giusta mentre tutti gli altri non la vedono. E cessa di essere tale
quando sbaglia clamorosamente. Perché l’incanto si rompe. Per giunta intorno a
Berlusconi si è consolidata la leggenda secondo cui lui non è il leader, e
neppure il capo del suo partito: ne è il padrone. Del Pdl si è sempre parlato
come di un “partito proprietario” e degli aderenti ad esso come di yes men. Ed
ecco che ora i suoi non gli obbediscono più: questo è l’incanto che si rompe.
Mentre il Pd è sempre stato visto come un partito plurale, e perfino caotico, il
Pdl è sembrato come un nickname di Berlusconi. La gente parlava di votare per
lui o contro di lui. Non solo quest’uomo è stato mitizzato da chi lo votava, è
stato mitizzato soprattutto da chi lo odiava. Fino a farne un colosso, un
gigante che poteva stare a gambe larghe con un piede in Sicilia e uno in
Lombardia. Se per la sinistra era la “causa di ogni male”, era per ciò stesso il
primo motore del Paese.
Un tale personaggio non può permettersi una figuraccia squalificante. In
passato a sinistra lo crocifissero per uno sciocco lapsus (“Romolo e Remolo”),
figurarsi se non lo si considererà l’ombra di sé stesso dopo che il partito gli
ha disobbedito. Dopo che ai contestatori è riuscito il tentativo che a Fini è
costato la vita politica. Ora che si può contestarlo e sopravvivere.
Naturalmente non si può essere sicuri di ciò che avverrà. Per Napoleone ci fu
un futuro anche dopo l’Elba. Ma le previsioni ragionevoli rimangono negative.
Presto sarà agli arresti domiciliari o affidato ai servizi sociali
(nientemeno!), decadrà da senatore e rischierà che un qualche pm di provincia in
cerca di visibilità lo faccia mettere in galera: perché potrebbe fuggire,
potrebbe reiterare il reato, potrebbe indurre le sue figlie alla prostituzione.
È veramente possibile continuare ad essere leader di un grande partito, in
queste condizioni?
Berlusconi ha commesso l’errore di non riconoscere in tempo i segnali. Finché
la Cassazione lo ha assolto dalle mille accuse che gli sono state rovesciate
addosso, ha contato sul fatto che, dopo tutto, a Berlino ci sarebbe sempre stato
un giudice. Dopo che è stato condannato per azioni altrui di cui sarebbe stato
“informato”, senza neppure dire da chi (l’ha chiesto l’avv. Coppi, dopo
l’intervista del Presidente Esposito), il buon senso avrebbe dovuto comandargli
di prendere un aereo per le Bahamas e restarci. Invece ha voluto resistere ad
ogni costo. Come non sapesse che non si può vincere se anche l’arbitro tira
nella nostra porta. E qui l’arbitro non rischia nulla: né una sanzione
disciplinare, né la disapprovazione del pubblico, artatamente indottrinato a
credere che “le decisioni dell’arbitro non si discutono, si rispettano e si
applicano”.
Proprio Berlusconi, che è stato considerato l’arcinemico della magistratura,
ha avuto in essa una fiducia che Piero Calamandrei non si sarebbe mai sognato
d’avere. Se l’avessero accusato di avere rubato la Madonnina del Duomo di
Milano, disse, si sarebbe dato alla latitanza. E dire che, in materia di magistratura, erano altri tempi.
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