Primo Gonzaga
Martedì, 01 Ottobre 2013
In particolare, Piller ha chiesto al
segretario del PD "come pensa di attirare investitori esteri se Fiat sta
lasciando l’Italia" e ancora "come pensate di attrarre la Volkswagen se anche
Marchionne scappa?". Epifani ha ribaltato il concetto spiegando che la Fiat non
è l’Italia e che in Italia ci sono tante altre imprese che esportano e che vanno
bene. Una classica frase da politico senza il supporto dei dati.
In economia, più delle parole contano i numeri e i numeri sono
impietosi: l'Italia nel 2000 produceva 1 milione e 422 mila autovetture. L'anno
scorso siamo arrivati a poco più di 390.000.(- 72.5%!). La produzione è
diminuita di 1/4 rispetto a 12 anni fa, lo dice la Organisation
Internationale des Constructeurs d’Automobiles OICA.
Confrontando la produzione di autovetture in Italia con quella in Gran
Bretagna c'è un'altra brutta sorpresa. Nel 2000 la produzione inglese era di 1
milione e 640 mila auto. E’ scesa a 990.000 al culmine della crisi del 2009 ma
poi si è ripresa e nel 2012 la produzione è ritornata a 1.460.000 veicoli (fonte
OICA). In Gran Bretagna la stragrande parte dell’industria automobilistica
appartiene a multinazionali estere in gran parte americane o
giapponesi.
Le statistiche dei produttori sono fuorvianti e il consumatore italiano
quando acquista una FIAT pensa di acquistare un’auto prodotta in Italia mentre
in realtà la maggior parte delle vetture sono costruite in Polonia o negli Stati
Uniti. Invece molte auto vendute in Europa da giganti come Ford o Toyota pur non
avendo un marchio inglese sono prodotte in Gran Bretagna.
Ecco il primo paradosso: un paese pressoché privo di marchi propri sta
riprendendo alla grande a costruire auto con gli immensi benefici per
l’occupazione diretta e quella dell’indotto, mentre l’Italia ha il proprio
campione nazionale (FIAT) che fa di tutto per andarsene a produrre all’estero.
Piuttosto che nascondersi dietro alle parole Epifani dovrebbe spiegare i veri
motivi di questa debacle.
Sono principalmente 2 le motivazioni della deindustrializzazione del
nostro paese: la politica monetaria europea e l’avversione all’impresa e
all’economia di mercato di una parte della classe politica italiana. La politica
monetaria UE non permette ai diversi paesi di sviluppare politiche economiche
anticicliche. L’esempio inglese è lampante. Di fronte alla crisi del 2009 la
Gran Bretagna ha stampato moneta favorendo gli investimenti (Quantitative
Easing) ed ha svalutato la Sterlina nei confronti dell’Euro permettendo in pochi
mesi alle sue aziende di tornare competitive.
Epifani questi concetti sembra ignorarli. Il suo partito è stato per
anni il sostenitore dell’austerità e anche ieri sera non ha perso occasione per
incensare la neo eletta Cancelliera Merkel. Ma Epifani è stato anche il vero
paladino del sindacato politico, poco o nulla interessato a trattare con le
imprese su come migliorarne la produttività per poi suddividere tali
miglioramenti con i lavoratori.
Cosa dovrebbe fare allora l'Italia? La ricetta è una sola. Il governo deve
rinegoziare con la UE la politica economica e costruire un clima positivo per
chi vuole investire in Italia. Altrimenti sara' la fame: quella vera.
Nessun commento:
Posta un commento