Gianni Pardo
Martedì, 06 Agosto 2013
La motivazione della sentenza della Cassazione non è stata ancora pubblicata
e forse non è stata nemmeno scritta ma si è autorizzati a commentare quella
parte di essa che è stata anticipata – non si osa dire quanto ritualmente – dal
Presidente della Sezione di Corte di Cassazione, Antonio Esposito. Ecco ciò che
ha detto in un’intervista concessa al “Mattino” di Napoli:
"Noi potremmo dire: tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva, non
è che tu non potevi non sapere perché eri il capo. Teoricamente, il capo
potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva.
Tu non potevi non sapere perché tizio, caio o sempronio hanno detto che te lo
hanno riferito. È un po' diverso da non poteva non sapere".
Il magistrato ha in seguito negato categoricamente di avere pronunciato
queste parole e altrettanto categoricamente il direttore del giornale ha
ribattuto che il Presidente può benissimo essersi pentito di averle dette ma
rimane il fatto che l’intervista è registrata: dunque a prova di qualunque
smentita o querela. Crediamo per il momento al direttore e consideriamo quelle
parole come unica motivazione della sentenza.
Il dr. Esposito discute della conoscenza che Berlusconi poteva avere della
frode fiscale. Egli distingue la prova logica (date le condizioni di fatto,
l’imputato “non poteva non sapere”) dalla prova fattuale (“qualcuno ha
testimoniato di avere informato l’imputato e per questo sappiamo che sapeva”).
Se ne deduce che, se la Corte avesse disposto esclusivamente della prova logica,
avrebbe anche potuto avere qualche dubbio (lo afferma lo stesso magistrato
nell’intervista) ma non può averne se dispone di precise testimonianze che
affermano il fatto. E se non si potevano avere dubbi, se ne deduce la
colpevolezza dell’imputato.
Tesi ardita. Non sappiamo di quali altre prove dispongano i magistrati ma il
semplice essere informati della commissione di un reato non costituisce reato.
L’art.40 del codice penale stabilisce: “Nessuno può essere punito per un fatto
preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui
dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo”. È dunque evidente che l’essere informati della commissione di un
reato non corrisponde a commetterlo: perché l’evento dannoso o pericoloso non è
conseguenza di quell’informazione. È pur vero che l’art.40 prosegue statuendo
che, se non si impedisce un evento, è come se lo si fosse cagionato. Ma è
fondamentale l’inciso: “che si ha l’obbligo giuridico di impedire”. Per evitare
un evento dannoso, Il pompiere ha il dovere di affrontare il rischio
dell’incendio, il carabiniere il rischio del contatto col criminale, il medico
il rischio dell’infezione, ma nessun analogo obbligo ha il cittadino normale.
Persino per quanto riguarda la semplice denuncia di un reato, l’obbligo ricade
soltanto sul pubblico ufficiale (art.361) o sull’incaricato di un pubblico
servizio (art.362). Silvio Berlusconi, in quanto azionista di Mediaset, non
aveva nessun obbligo del genere.
Se questo è il nocciolo della motivazione della colpevolezza di Berlusconi,
siamo di fronte ad un’assurdità giuridica e si comprende che il dr.Esposito, a
bocce ferme, si sia morso le labbra. Anche perché la toppa è peggiore del buco:
infatti, sbracciandosi a dimostrare che non si tratta di prova logica ma di
prova testimoniale, insiste di fatto sul suo valore; e proprio questo è
drammatico: che si sia potuta infliggere una gravissima condanna a quattro anni
di reclusione a un cittadino della Repubblica Italiana semplicemente perché
qualcuno gli ha detto che si commetteva un reato. Senza che egli abbia tenuto
nessuna condotta tendente a cagionare l’evento.
Veramente abbiamo ragione di aspettare con curiosità la motivazione della
Corte di Cassazione, nel processo contro Silvio Berlusconi.
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