Davide Giacalone
Domenica, 18 Agosto 2013
La destra ha un vantaggio: sa che il proprio futuro non può essere uguale al
proprio presente. Magari non gradisce, ma prima o dopo lo digerisce. La
sinistra, invece, è popolata da funzionari di partito, gente che non ha mai
assaggiato il gusto del lavoro, tutti talmente convinti d’avere avuto sempre
ragione da non avvedersi non solo degli immensi torti che la storia ha
certificato, ma neanche del vuoto pneumatico nel quale coltivano l’illusione
d’esser pregni d’idee e moralità. Per dare contezza delle occasioni che la
destra perde ho usato il rapporto fra diritti civili e libertà individuali. Per
capire l’abisso conservatore in cui è piombata la sinistra usiamo il rapporto
fra diritti di cittadinanza e libertà dal bisogno.
Prima, però, da tosco-siculo, consiglio a Matteo Renzi di leggere le poesie
in lingua di Renzino Barbera. In una si racconta delle piccole gioie, compresa
quella di indossare l’abito della festa, abito “ca di vint’anni è novu”. La
modestia di un tempo portava a considerarlo sempre “nuovo” perché aveva due
caratteristiche: era stato confezionato per un evento festoso e non veniva mai
usato. Ecco, si faccia due conti e chiarisca a noi tutti per quanto tempo pensa
di restare il promettente nuovo di una sinistra che non c’è. E non ci sarà,
senza affrontare quel che segue.
La contraddizione della sinistra italiana è genetica: dal punto di vista
teorico crede nello Stato forte, capace di svolgere ogni funzione, in modo da
compensare ogni ingiustizia, ma dal punto di vista storicamente realizzatosi,
essendo consapevole d’essere una minoranza (con la spocchia di rappresentare la
totalità), ha puntato sulla debolezza del governo, quindi dello Stato, quindi
sulla sua incapacità di rimediare ai guasti del mercato. Non è un caso che a
sinistra trovate i più inebetiti innamorati della finanza e delle scalate,
perché diffidano del mercato, aborrono il lavoro, ma si sdilinquiscono innanzi
al dio che già ispirò il fondatore che non lessero: il capitale. Li sordi, i
piccioli, la pecunia. Che frequentano con indole subordinata e anima soggiogata.
Nessuno adora nobili e ricchi con più bastarda generosità della sinistral.
Al punto in cui siamo giunti, nel mentre favoleggiamo di riprese e procediamo
nell’imbuto che ci porta o a uscire dall’euro o a imporre manovre ulteriormente
recessive, la sinistra ha una grande occasione: sappiamo tutti che l’Italia ha
bisogno di poteri funzionanti, in grado di decidere e governare, altrimenti
l’andazzo rinviante e conservante asfissia anche quella parte del Paese che è
rimasta forte e dinamica, inducendola a chiudere o fuggire. Sappiamo che la
debolezza istituzionale è consustanziale alla Costituzione del 1948. Ecco
l’occasione: sia la sinistra a far quel che alla destra non riesce, ovvero
seppellire il mito mendace della Costituzione nata dalla Resistenza. Cacci dal
tempio i mercanti di perline tarocche, i biascicanti della “migliore
Costituzione del mondo” e apra il cantiere della sua riscrittura. Non si tratta
di un tradimento repubblicano, ma dell’unica fedeltà ragionevolmente possibile:
cambiare e crescere per non fossilizzarsi e morire.
E nel porre la questione come irrinunciabile e immediata, non come opzionale
e futura, metta in chiaro che i cardini sono due: la forma governo e la
giustizia. La prima serve a restituire potere al popolo, il cui voto oggi vale
troppo poco. Dal 1948 in poi l’obiettivo della sinistra ideologica fu quello di
evitare che il vincitore governasse. C’erano motivi seri, legati al quadro
internazionale. Quel mondo è finito. Nessuno, che non soffra il vuoto, può avere
paura di Alfano o di Letta. Mentre il vuoto di potere governativo spalanca le
porte del disfacimento e impedisce la fuga dal bisogno.
La seconda, la giustizia, serve a ricordare che nulla è più dalla parte dei
diritti collettivi e della difesa dei deboli se non una giustizia funzionante.
La nostra, pessima e sfregiata dalla faziosità, non è più neanche connivente con
il potere o agente per censo, è distruttiva del diritto e sterminatrice di ogni
debolezza e innocenza. La sinistra rompa con il partito reazionario delle toghe,
inverta la retriva connivenza con i pochi forti contro i tanti deboli, e
comincerà a parlare il linguaggio del futuro.
Una destra attenta all’individuo e al merito, una sinistra attenta al
colletivo e al diritto. Sarebbe il segno che l’Italia cambia e si rimette a
correre. Come in passato ha saputo fare. Resterà un sogno, però, finché dall’una
e dall’altra parte ci saranno a far da capi i peggiori nostalgici rintronati che
si possa immaginare: quelli che hanno nostalgia di ciò che mai fu e di quel che
mai furono.
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