giovedì 26 settembre 2013

Dopo Merkel comincia l'Asta Italia: via Telecom

 

telecom Il simplicissimus
 
 
 
Alberto Capece
24 settembre 2013
 
Con straordinario tempismo, non appena la Merkel è stata incoronata, la classe dirigente italiana ha cominciato l’opera di svendita del Paese e delle sue residue strutture industriali. Sarà anche una coincidenza, ma il passaggio di Telecom al passaporto spagnolo, sembra proprio pensato da uno sceneggiatore fin troppo schematico nella scelta dei tempi. Naturalmente non appena si è diffusa la notizia che Telefonica aveva acquisito la maggioranza dell’azienda italiana il titolo è cresciuto forse nella speranza che il nuovo padrone procederà ai licenziamenti di rito. Naturalmente esclusi in via ufficiale (da Letta) per chi crede in Babbo Natale.
Eh sì perché in realtà l’acquirente spagnola ha ancora più debiti di Telecom, 50 miliardi contro 40,  quindi non entra certo per fare investimenti, quelli in banda larga per esempio, ma per gestire il lucroso affare dello scorporo della rete. Però questo interessa poco ai capitan coniglio del capitalismo italiano che intanto hanno fatto cassa con 324 milioni. E tanti saluti al fatto che ormai il Paese è totalmente fuori dal settore strategico della telefonia ad eccezione di qualche società minore.
Ma naturalmente non ci si ferma qui: anche Finmeccanica si appresta a cedere l’Ansaldo Energia ai coreani e Sts e Breda agli americani, mentre Air France metterà a breve le mani su Alitalia per trasformarla in una piccola compagnia regionale, per non parlare dei cinesi che hanno avviato trattative su autostrade e altre opere pubbliche mentre anche la vecchia e gloriosa Eni  (Enrico Mattei si sta rivltando nella tomba) è in odore di asta: far cassa, far cassa prima del disastro. E nel mezzo di tutto questo un sistema politico ormai patetico nella sua inadeguatezza vaneggia di crescita e di ripresa mentre si appresta a vendere tutto pur di non affogare nel deficit.  E’ come quella scena del Giro del mondo in 80 giorni, quando Phileas Fogg cannibalizza il vascello che lo riporta in patria per avere qualcosa da bruciare nelle caldaie dei motori.
Il fatto è che la dottrina dell’austerità sposata fino al suicidio da un Parlamento in preda al delirio, non ci sono più risorse se non per l’ordinaria amministrazione e la Cassa depositi e prestiti non può fare altro che rompere il salvadanaio per i debiti correnti, senza alcuna possibilità strategica. Industria pubblica e anche privata addio e per quattro soldi, con tutte le conseguenze del caso: licenziamenti, delocalizzazioni, scomparsa di competenze, di sistemi, di indotto. Poi rimarranno solo i monumenti e peccato che non ci sia più il profetico Totò con la sua fontana di Trevi. Almeno era un napoletano di genio, mica un rimbambito.

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