Alberto Capece
24 settembre 2013
Con straordinario tempismo, non appena la Merkel è stata incoronata, la classe
dirigente italiana ha cominciato l’opera di svendita del Paese e delle sue
residue strutture industriali. Sarà anche una coincidenza, ma il passaggio di
Telecom al passaporto spagnolo, sembra proprio pensato da uno sceneggiatore fin
troppo schematico nella scelta dei tempi. Naturalmente non appena si è diffusa
la notizia che Telefonica aveva acquisito la maggioranza dell’azienda italiana
il titolo è cresciuto forse nella speranza che il nuovo padrone procederà ai
licenziamenti di rito. Naturalmente esclusi in via ufficiale (da Letta) per chi crede in
Babbo Natale.
Eh sì perché in realtà l’acquirente spagnola ha ancora più debiti di Telecom,
50 miliardi contro 40, quindi non entra certo per fare investimenti, quelli in
banda larga per esempio, ma per gestire il lucroso affare dello scorporo della
rete. Però questo interessa poco ai capitan coniglio del capitalismo italiano
che intanto hanno fatto cassa con 324 milioni. E tanti saluti al fatto che ormai
il Paese è totalmente fuori dal settore strategico della telefonia ad eccezione
di qualche società minore.
Ma naturalmente non ci si ferma qui: anche Finmeccanica si appresta a cedere
l’Ansaldo Energia ai coreani e Sts e Breda agli americani, mentre Air France
metterà a breve le mani su Alitalia per trasformarla in una piccola compagnia
regionale, per non parlare dei cinesi che hanno avviato trattative su autostrade
e altre opere pubbliche mentre anche la vecchia e gloriosa Eni (Enrico Mattei si sta rivltando nella tomba) è in odore di
asta: far cassa, far cassa prima del disastro. E nel mezzo di tutto questo un
sistema politico ormai patetico nella sua inadeguatezza vaneggia di crescita e
di ripresa mentre si appresta a vendere tutto pur di non affogare nel deficit.
E’ come quella scena del Giro del mondo in 80 giorni, quando Phileas Fogg
cannibalizza il vascello che lo riporta in patria per avere qualcosa da bruciare
nelle caldaie dei motori.
Il fatto è che la dottrina dell’austerità sposata fino al suicidio da un
Parlamento in preda al delirio, non ci sono più risorse se non per l’ordinaria
amministrazione e la Cassa depositi e prestiti non può fare altro che rompere il
salvadanaio per i debiti correnti, senza alcuna possibilità strategica.
Industria pubblica e anche privata addio e per quattro soldi, con tutte le
conseguenze del caso: licenziamenti, delocalizzazioni, scomparsa di competenze,
di sistemi, di indotto. Poi rimarranno solo i monumenti e peccato che non ci sia
più il profetico Totò con la sua fontana di Trevi. Almeno era un napoletano di
genio, mica un rimbambito.
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