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venerdì 09 agosto 2013 | |
E' inevitabile quanto la legge di gravità
universale o la manifestazione di un attacco di malaria: ogni volta che un
qualunque segretario del PD richiede un «passo indietro» al leader del centrodestra il primo risultato che
ottiene consiste sempre, puntualmente, nel coagularsi di una folla vociante di
colleghi più o meno assortita che ritengono loro buon diritto (Deus lo vult...)
il fare uno o più passi in avanti. Come in una sorta di tragicomico
contrappasso basta che Epifani chieda il famigerato «passo indietro» a
Berlusconi per vedere, nel volgere di pochi quarti d'ora, il proliferare di
comizi, conferenze stampa, esternazioni dei «malpancisti», interviste a quelli che «siamo con Letta in tutto e per tutto ma...» (e quindi non sono con Letta in nulla di
nulla), «giovani turchi» che affilano le scimitarre, pippi e Civati che assumono
connotati messianici e proludono la loro personale versione del Discorso della
Montagna (solitamente inascoltati).
Tutti pronti, insomma, dalle parti del PD a
fare un bel passo avanti! Nel solo ed esclusivo «interesse del paese»,
sia chiaro: a quelle latitudini non esistono bassezze quali l'interesse
personale, la smania di potere, le operazioni di infima bottega per consolidare
o aumentare un poco di residuale consenso. L'algida e adamantina torre d'acciaio
che era il PCI, insomma, caratterizzata dalla vigenza di una disciplina da
samurai si è trasformata nel corso degli anni e mai come ora in un colossale Suq
a fine Ramadan, nel quale terminata la «quaresima» i mercanti
gridano a gran voce pregi e qualità delle rispettive merci, ciascuno cercando ad
ogni costo di sovrastare le urla dei concorrenti. Sembra paradossale, ma è
esattamente così: un momento di difficoltà critica vissuto dal grande avversario
diviene in automatico legittimo movente per scatenare una vera e propria guerra
civile (tutt'altro che «fredda») nel campo dei «vincitori» ex
autoritate iudicis (e non «populi», sia chiaro),
per accendere focolai di rivolta in tutto lo Stivale, per legittimare rese dei
conti a più livelli maturate e macerate nel corso degli anni.
Il balletto delle neonate convergenze
parallele ne é ulteriore dimostrazione: acerrimi nemici cercano abboccamenti e
si stringono la mano destra, facendo con tutta probabilità gesti apotropaici qui
irriferibili con la sinistra. Piccoli signori della guerra quasi disgregati
dall'inconsistenza percentuale dei loro partiti personali così come da grane
pesantissime in suolo patrio, vedi Nichi Vendola, aprono ai «douloplokoi» dal
multiforme ingegno come Matteo Renzi, una volta odiato e temuto e oggi...pure!
Con la sostanziale differenza che il carro del personaggio collodiano, del
Pinocchio vanesio primo cittadino di Firenze, pare già olezzare di vittorioso
alloro e allora...perché no? Solo gli stupidi non cambiano mai idea, recitava un
vecchio (e veritiero) adagio popolare. Renzi che, per altro, sta scalciando e
scalpitando per evitare di essere consegnato anzitempo all'oblio dal suo stesso
partito, oltre che per patente (e legittima, per carità...) ambizione personale:
il suo ultimo tour emiliano ha mostrato un cambiamento significativo nella
strategia comunicativa da lui adottata, mascherando abilmente l'abituale piglio
da discolo spaccavetri sotto una eccellente patina retorica densa di accenti
lirici, infarcita di riferimenti alla vittoria, al «cambiamento di fase» (avrà riletto Berlinguer di recente...), oltre che di
messaggi assai poco trasversali e molto diretti a Enrico Letta, suo futuro
concorrente alle primarie.
Già: le primarie, croce e delizia del popolo
progressista che «ben pensa».
Parolina magica che negli intenti di Walter Veltroni, suo ideatore e
propugnatore, doveva risvegliare nel popolo «dde sinistra» chimere kennedyane: un nuovo senso di
appartenenza, una nuova, popolar-mondialista, concezione di militanza, un
marcare in maniera ancor più profonda la differenza politica, civile,
antropologica tra «noi» e «loro». Ad essere proprio gentili, possiamo tranquillamente
dire che non solo l'obiettivo non è stato raggiunto, ma addirittura le
conseguenze sono state opposte rispetto agli intenti iniziali. Riprova ne é il
fatto che dopo circa un anno dalla «consacrazione» di
Bersani, nuovo Pirro del 21esimo secolo, la situazione oggi non è mutata di una
virgola: Renzi chiede regole altrimenti non si candida, l'establishment è ben
felice di non adempiere a tale richiesta perché non vuole che egli si candidi,
e, al limite, ha già pronto il «piano
B», ovvero abrogare la «unione personale di corona», cioè separare la figura di Segretario Nazionale, eletto
attraverso il giocattolino kennedyano delle primarie, dal candidato Premier,
individuato in maniera «diversa» (consultando un oracolo, forse?).
Ad aumentare il già plasmatico stato di
marasma, ad allungare questa tumultuosa brodaglia primordiale di sapore incerto
provvede poi il direttivo del PD, che prima individua nel 21 novembre la data di
convocazione dell'Assemblea Nazionale, poi nel 22, quindi nel 24 direttamente la
data delle primarie per bocca di Marina Sereni subito sconfessata dalla
segreteria che ha sottolineato come solo l'Assemblea possa individuare
legittimamente la date delle consultazioni. Una infinita danza delle ore (delle
date, meglio) che provoca amareggiato scoramento in Pippo Civati, il quale
afferma «se la situazione precipita, forse
le primarie nemmeno si fanno...». Un'ipotesi
che, non dubitiamo, sconvolgerà di dolore una buona metà di cittadini italiani.
Almeno quei cittadini italiani che non si curano di quisquilie quali la
vessazione da IMU, il decremento spasmodico del mercato interno, l'impossibilità
di accesso al credito bancario e altre bagatelle di tal fatta.
In conclusione, la sinistra commette per l'ennesima volta il medesimo
errore di sempre: considera il Cavaliere morto e sepolto. Dà per scontato
che la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset abbia rimosso per sempre il
loro principale avversario e che l'accaduto sia ormai consegnato alle pagine
della storia. Un trauma già superato sul nascere del quale non ci si deve più
occupare. Un errore madornale per due diverse ragioni: in primo luogo, anche
alla luce dell'inquietante caso Esposito, la questione può dirsi, in fatto e in
diritto, tutt'altro che conclusa. E un PDL che sfiora nuovamente il 30% nei
sondaggi sta lì a dimostrarlo. In secondo luogo l'avere anzitempo archiviato il
Cavaliere come politicamente defunto ha fatto crollare l'unico argine che teneva
assieme le innumerevoli correnti interne al PD, partito che ormai non ha più,
nei fatti, un'organizzazione verticale ma assolutamente orizzontale (vuoi anche
per la presenza di un Segretario pro-tempore, di transizione, la cui autorità e
la cui autorevolezza sono quotidianamente, e parecchio in malafede, messe in
discussione), ovvero nell'ambito della quale chiunque, in qualunque momento può
avanzare qualunque pretesa. Un partito magmatico, attualmente acefalo, quindi,
ma, al contempo privo anche di coda, all'interno del quale la dialettica che si
sviluppa è una e una sola, di matrice Khmer: guerriglia permanente.
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