- Lorenzo Matteoli
- Venerdì, 05 Luglio 2013
Ho guardato e ascoltato attentamente alcuni degli attuali governanti per
capire “come mai” il livello culturale, di competenza, di coraggio politico e la
visione culturale e storica siano così scadenti negli operatori che occupano i
massimi livelli dei processi decisionali del Paese. La postura, il modo di
parlare, la scansione delle parole, lo sguardo… e ho capito qualcosa. Sono
attori. Sono maestri dell’arte di recitare la parte del personaggio autorevole e
competente, di quello che sa cosa sta dicendo e che conosce le implicazioni di
quello che sta dicendo. Il tono della voce deve essere grave. La parlata lenta e
“intensa”, le parole scandite una ad una. Come se fossero effettivamente pensate
o come se effettivamente rappresentassero un pensiero, un contenuto, una
competenza. Che non c’è.
Se si ascoltano e analizzano le parole senza l’immagine della loro
recitazione si capisce che non hanno significato, non solo non sono vere, non
rappresentano nessuna realtà e se rappresentano qualcosa è l’immagina distorta
della realtà. Dicono quello che loro vorrebbero fosse la realtà, ma che sanno
benissimo che non è. Questo nei casi migliori. Perché in genere nella loro
recita sono assenti sia la logica che il rigore semantico. Infatti la loro
carriera, la loro formazione, gli studi sono avvenuti in un contesto che
richiedeva solo quella capacità: di simulare una competenza su fatti e cose che
sono lontane dai loro strumenti conoscitivi. Ripetono slogan inconsistenti
all’analisi critica della loro sostanza. Ma li ripetono con toni e modi che
simulano con finta serietà e convinzione la competenza, la conoscenza critica e
fattuale.
Quando Letta torna da Bruxelles e dichiara la sua soddisfazione per misure
che di fatto condanneranno l’Italia a ulteriore indebitamento lo fa con
convinzione, serissimo, convinto: a fronte del vuoto di contenuto tutta la
recita è tragicamente buffa. Ma pochi riescono a capirlo perché “i fatti” non
sono disponibili al pubblico e i giornali, o gli attori televisivi dei talk
shows non sono in grado o non possono spiegarli al pubblico e quindi si adeguano
alla recita in una generale truffa mediatica. Quando Monti dichiara la sua
soddisfazione perché dopo la riunione da lui richiesta il Presidente Letta ha
preso atto della necessità di formulare un “quadro programmatico comune ai
partiti della maggioranza” parla con “gravitas” lentamente. Come se dicesse cose
importanti, vere, sostanziali. Conclude con le parole «…bene quindi, molto
bene.» Ma in realtà non ha detto nulla. In particolare nulla che possa meritare
il qualificativo di “molto bene”. Solo che dicendolo in quel modo gli
ascoltatori e spettatori disinformati credono che siano cose importanti, vere…
«un quadro programmatico comune» è una goffa e risibile figura astratta da
qualunque realtà, per restare nell’eufemismo. In sostanza è una tragica
barzelletta quando viene confrontata con la realtà delle dichiarazioni di tutti
gli altri attori del teatrino che con uguale convinzione e “gravitas” dicono
cose affatto diverse. O quando viene confrontata con i “fatti.” I fatti sono
altra cosa.
I numeri della disoccupazione, i numeri delle aziende che falliscono o
chiudono, di quelle che vanno in Croazia, in Bulgaria, in Cina o in Vietnam
raccontano altre storie. Il disastro istituzionale delle nostre burocrazie
fangose, lente, irresponsabili e sostanzialmente regolate da “paraculismo”. Il
disinteresse degli “istituti” autoreferenziali per il cittadino, la barriera
cartacea che viene imposta a chi vuole fare qualcosa. La crosta di resistenza
che invita, spinge quando non costringe alla evasione, al falso ideologico, alla
furbizia chi vuole sopravvivere nella giungla della inefficienza.
Questa realtà è quella che rende tragicamente ridicoli i discorsi “recitati”
dai nostri consumati attori governativi. Quanto Letta scandisce, recitando la
parte, la difficoltà di trovare compensazioni nel bilancio da 800 miliardi per
coprire 4 miliardi di IMU o di IVA insopportabili per una economia asfissiata
dal carico fiscale del 70% non è solo ridicolo. È offensivo per chi assiste allo
scialo di miliardi di decine di enti inutili, alla puerile furbizia dei
ladruncoli provinciali e regionali che si abboffano sui rimborsi spese assurdi a
gruppi consiliari e a partiti (molti dei quali inesistenti) e a fondazioni di
comodo e di privilegio. La “gravitas” del suo eloquio, la simulata serietà delle
sue parole sono una offesa violenta all’onestà e al buon senso degli italiani
che lavorano e che mandano avanti il Paese. Se gli attori governativi sono
tragici, non da meno lo sono i loro sodali nei partiti.
I verbali degli interventi alla riunione della Direzione del PD sono un altro
interessante luogo di riflessione. Pensate alle implicazioni della riflessione
fatta da Bersani ieri: «Se facciamo congressi per cercare un leader quand’è che
troveremo il Paese?» Oppure all’appassionata difesa del suicidio a “piccoli
passi” fatta da Dario Franceschini. Oppure al serissimo statement di Finocchiaro
«la Giustizia deve restare al di fuori del perimetro delle riforme»: enunciata
come verità biblica, si tratta in realtà di una monumentale disonesta
sciocchezza. Basta rileggerla due volte per rendersene conto. Riletta tre volte
rivela la dimensione tragicamente e colpevolmente ridicola della cultura sulla
quale si basa. «Perché ci sia un tiro al piccione, bisogna che ci siano
piccioni», ha detto D'Alema, si riferiva Matteo Renzi, ma la battuta potrebbe
avere involontarie più ampie implicazioni.
Se Sparta piange Atene non ride: nel centro destra si assiste alla decadenza
del PdL subalterno a un leader unico oramai consumato dai media, dalle sue
vicende personali e senza alternative credibili. La rifondazione di Forza Italia
è solo un’altra tappa del declino. Su questo sfondo anche le dichiarazioni di
Berlusconi, Alfano, Brunetta e Santanchè rivelano la mancanza di sostanza e il
tenore di “recita a soggetto” che caratterizza tutti i dialoghi nel teatro
politico italiano di oggi. Si sente la grande distanza di questa classe
“dirigente” dalla realtà del Paese e dai problemi che gli Italiani sentono
quotidianamente sulla pelle.
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