Powered By Blogger

lunedì 19 agosto 2013

L'antiberlusconismo come paranoia

 


Venerdì, 16 Agosto 2013
 
Nel 1994 uno sconosciuto, Silvio Berlusconi, ebbe uno straordinario e imprevisto successo elettorale. Gli bastò per questo l’aver capito che, morta la Democrazia Cristiana, non era morto il suo elettorato anticomunista. Lo sciocco fu l’ultimo segretario della Dc, Mino Martinazzoli, che non lo capì.
Da quel momento lo schema della politica italiana non è cambiato: Berlusconi rappresenta l’argine contro la sinistra e tutta la politica di quest’ultima è consistita e consiste nell’andare contro questo singolo uomo, oggetto di un odio feroce e implacabile. È dunque corretto parlare di antiberlusconismo, lo è meno parlare di berlusconismo. Quelli che votano per il centrodestra sono lungi dallo stimare Berlusconi incondizionatamente, mentre molti di quelli che votano contro di lui lo demonizzano come il Male Assoluto. Dal 1994 la destra è contro un partito, la sinistra contro un uomo.
Da allora è stata applicata una vecchia tecnica dei partiti comunisti. Quando si tratta di lottare contro un nemico, da Trotsky in giù, non ci si limita a contestarne le idee e i programmi, si procede ad una metodica “character assassination”, cioè alla totale demolizione della sua immagine, abbassandosi perfino ai nomignoli ingiuriosi, al sarcasmo sui difetti fisici, e interpretando in maniera malevola e tendenziosa qualunque cosa. Ha una casa di lusso? Chiaramente ha rubato. È miserella? È uno sfigato o uno spilorcio. Se fa sfoggio di cultura è un presuntuoso, se si esprime come tutti è volgare. Lo si fa oggetto di tanti insulti e di tante calunnie che alla fine parlarne con costante disprezzo diviene un luogo comune. Quando il Pci decise di fare la guerra a Craxi, cominciò ad insolentirlo e ad accusarlo fino a spingere il popolo a considerarlo il più grande ladro d’Italia. Lui si difese, anche in Parlamento, dicendo che ciò che gli veniva imputato l’avevano fatto tutti, accusatori inclusi: ma non gli servì a nulla. L’ordine era di vedere la pagliuzza nell’occhio socialista e non la trave dei finanziamenti di Mosca in quella del Pci.
Nel caso di Berlusconi la programmatica “demolizione del personaggio” - favorita dal carattere esuberante, giocoso e incontrollato dell’uomo - ha fatto valanga. È infine sfuggita di mano ai suoi autori, toccando vette inusitate. Scioccamente incapace di concepire l’odio, il bersaglio ha continuato a offrire pretesti. Per lui una buona barzelletta non poteva che far ridere tutti, e invece perfino le storielle insulse sono state costantemente rivoltate contro di lui. “Fermi tutti, è una rapina!” E il commerciante: “Oh, meno male, temevo fosse la Finanza”. E tutti a dire che Berlusconi era un evasore amico degli evasori. L’incauto andò anche più lontano: “Pare che ai malati di cancro siano consigliate le sabbiature”. “Li guariscono?” “No, ma li abituano a stare sottoterra”. Apriti cielo. Scherzare su una simile tragedia. Che insensibilità. E non parliamo di quella del “Bunga Bunga”. Soltanto un pervertito può riderne.
Con gli anni, lo sport di attribuirgli assiomaticamente tutte le malefatte possibili è divenuto nazionale e gli esempi sono infiniti. Alcune accuse sono addirittura divenute dogmatiche. La denuncia del conflitto d’interessi, per esempio. Se da Presidente del Consiglio il Cavaliere avesse favorito un’impresa di cui era azionista, sarebbe stato giusto denunciarlo: ma di qualcosa del genere non si è mai parlato. Non c’è mai stato un caso concreto. O forse si è verificato e la sinistral si è privata di gridarlo ai quattro venti? E tuttavia, basta citarlo e tutti annuiscono.
Berlusconi è il padrone di tutte le televisioni. Ma la Rai gli è stata contraria da sempre. Rai3 scandalosamente, fino ad indurlo a protestare, con l’ovvia reazione: “Vuole imporre la censura!”, “L’editto bulgaro!”.  Le televisioni private (per esempio La 7) sono prevalentemente antiberlusconiane. Le reti Mediaset si sono mantenute equilibrate (salvo la Retequattro di Emilio Fede) per non perdere clienti. Ma i fatti non servono a nulla. Berlusconi, semplicemente azionista di quelle reti, è stato condannato dalla Cassazione a quattro anni di reclusione perché, a sentire il giudice Esposito, «è stato informato di una frode fiscale». Senza dimostrare che l’ha voluta e senza dire chi l’avrebbe informato, cosa che l’avv.Coppi ha pubblicamente chiesto di sapere.
La sostanza è che, quando si cerca di interpretare una serie di fenomeni sulla base di una credenza di fondo, tutti i fatti vengono forzatamente allineati per sostenerla. Si chiama paranoia. Per gli antisemiti, ad esempio,  il dogma di partenza è che gli ebrei sono malvagi e nocivi. Da questo momento in poi tutto ciò che li riguarda deve confermare questo assunto. Ogni loro successo è frutto dell’inganno, della corruzione, del complotto, della mancanza di scrupoli e al limite (se c’entra Israele) della violenza; ogni loro insuccesso è il meritato frutto di un’innegabile ed anzi insufficiente giustizia. I nazisti  disprezzavano gli ebrei perché si lasciavano ammazzare come pecore, gli arabi li dichiarano violenti e anche nazisti. Se i palestinesi bombardano i civili sono dei patrioti, se gli israeliani cercano di uccidere i terroristi sono dei massacratori. Uno avrebbe voglia di dire: «Hanno una sola qualità, la bomba atomica per difendersi da gente come te».
Se Berlusconi riesce a realizzare una riforma (come quella, eccellente, della Costituzione, o quella dello scalone Maroni) è una riforma da eliminare; se non ci riesce, è perché è un bugiardo e un incapace. Lo si accusa costantemente di governare per il proprio interesse e poi tutte queste leggi ad personam non l’hanno salvato da niente. Ma s’è già detto: è un imbecille.
Non sono i fatti che inducono la paranoia, è la paranoia che dà un senso prefissato ai fatti. Se la persecuzione di Berlusconi si estende a chiunque abbia da fare con lui – familiare, alleato politico, avvocato, collaboratore, stalliere – la conclusione è che Berlusconi si circonda di delinquenti e l’indefessa,  pluridecennale attività investigativa dei magistrati nasce dal cattivo comportamento di questa cricca. Mentre se servisse pensare l’inverso, si direbbe che la magistratura è asservita a una parte politica. Che è poi quello che pensano i berlusconiani. Infatti un effetto imprevisto della paranoia, quando si impossessa di più o meno metà della nazione, è che una paranoia speculare viene attribuita a chi non l’ha. Se non sei antiberlusconiano sei paranoico.
Viene voglia di emigrare in un Paese qualunque, dove il sole sorge e tramonta senza che sia necessario sparlare sempre e comunque di Silvio Berlusconi.
pardonuovo.myblog.it

Occasioni sinistre

 

 

Domenica, 18 Agosto 2013
 
La destra ha un vantaggio: sa che il proprio futuro non può essere uguale al proprio presente. Magari non gradisce, ma prima o dopo lo digerisce. La sinistra, invece, è popolata da funzionari di partito, gente che non ha mai assaggiato il gusto del lavoro, tutti talmente convinti d’avere avuto sempre ragione da non avvedersi non solo degli immensi torti che la storia ha certificato, ma neanche del vuoto pneumatico nel quale coltivano l’illusione d’esser pregni d’idee e moralità. Per dare contezza delle occasioni che la destra perde ho usato il rapporto fra diritti civili e libertà individuali. Per capire l’abisso conservatore in cui è piombata la sinistra usiamo il rapporto fra diritti di cittadinanza e libertà dal bisogno.
Prima, però, da tosco-siculo, consiglio a Matteo Renzi di leggere le poesie in lingua di Renzino Barbera. In una si racconta delle piccole gioie, compresa quella di indossare l’abito della festa, abito “ca di vint’anni è novu”. La modestia di un tempo portava a considerarlo sempre “nuovo” perché aveva due caratteristiche: era stato confezionato per un evento festoso e non veniva mai usato. Ecco, si faccia due conti e chiarisca a noi tutti per quanto tempo pensa di restare il promettente nuovo di una sinistra che non c’è. E non ci sarà, senza affrontare quel che segue.
La contraddizione della sinistra italiana è genetica: dal punto di vista teorico crede nello Stato forte, capace di svolgere ogni funzione, in modo da compensare ogni ingiustizia, ma dal punto di vista storicamente realizzatosi, essendo consapevole d’essere una minoranza (con la spocchia di rappresentare la totalità), ha puntato sulla debolezza del governo, quindi dello Stato, quindi sulla sua incapacità di rimediare ai guasti del mercato. Non è un caso che a sinistra trovate i più inebetiti innamorati della finanza e delle scalate, perché diffidano del mercato, aborrono il lavoro, ma si sdilinquiscono innanzi al dio che già ispirò il fondatore che non lessero: il capitale. Li sordi, i piccioli, la pecunia. Che frequentano con indole subordinata e anima soggiogata. Nessuno adora nobili e ricchi con più bastarda generosità della sinistral.
Al punto in cui siamo giunti, nel mentre favoleggiamo di riprese e procediamo nell’imbuto che ci porta o a uscire dall’euro o a imporre manovre ulteriormente recessive, la sinistra ha una grande occasione: sappiamo tutti che l’Italia ha bisogno di poteri funzionanti, in grado di decidere e governare, altrimenti l’andazzo rinviante e conservante asfissia anche quella parte del Paese che è rimasta forte e dinamica, inducendola a chiudere o fuggire. Sappiamo che la debolezza istituzionale è consustanziale alla Costituzione del 1948. Ecco l’occasione: sia la sinistra a far quel che alla destra non riesce, ovvero seppellire il mito mendace della Costituzione nata dalla Resistenza. Cacci dal tempio i mercanti di perline tarocche, i biascicanti della “migliore Costituzione del mondo” e apra il cantiere della sua riscrittura. Non si tratta di un tradimento repubblicano, ma dell’unica fedeltà ragionevolmente possibile: cambiare e crescere per non fossilizzarsi e morire.
E nel porre la questione come irrinunciabile e immediata, non come opzionale e futura, metta in chiaro che i cardini sono due: la forma governo e la giustizia. La prima serve a restituire potere al popolo, il cui voto oggi vale troppo poco. Dal 1948 in poi l’obiettivo della sinistra ideologica fu quello di evitare che il vincitore governasse. C’erano motivi seri, legati al quadro internazionale. Quel mondo è finito. Nessuno, che non soffra il vuoto, può avere paura di Alfano o di Letta. Mentre il vuoto di potere governativo spalanca le porte del disfacimento e impedisce la fuga dal bisogno.
La seconda, la giustizia, serve a ricordare che nulla è più dalla parte dei diritti collettivi e della difesa dei deboli se non una giustizia funzionante. La nostra, pessima e sfregiata dalla faziosità, non è più neanche connivente con il potere o agente per censo, è distruttiva del diritto e sterminatrice di ogni debolezza e innocenza. La sinistra rompa con il partito reazionario delle toghe, inverta la retriva connivenza con i pochi forti contro i tanti deboli, e comincerà a parlare il linguaggio del futuro.
Una destra attenta all’individuo e al merito, una sinistra attenta al colletivo e al diritto. Sarebbe il segno che l’Italia cambia e si rimette a correre. Come in passato ha saputo fare. Resterà un sogno, però, finché dall’una e dall’altra parte ci saranno a far da capi i peggiori nostalgici rintronati che si possa immaginare: quelli che hanno nostalgia di ciò che mai fu e di quel che mai furono.

giovedì 15 agosto 2013

Il futuro di Berlusconi

 

Gianni Pardo
Mercoledì, 14 Agosto 2013
Berlusconi è stato inopinatamente condannato in Cassazione e i giornali non parlano d’altro. E invece c’è chi si sente vittima di una sorta di afasia. Non c’è un’idea che si presenti alla mente con quei connotati di chiarezza e distinzione che la renderebbero degna di essere comunicata. Si possono soltanto elencare gli snodi, i dubbi irrisolti, le possibili soluzioni.
Nel frattempo s’è aperto il festival delle ipocrisie. Si fa finta di credere che la Cassazione abbia emesso una normale sentenza, che il Cavaliere abbia commesso un grave reato e che per questo sia stato punito. In realtà non lo crede nessuno. Se quell’uomo fosse un delinquente, sarebbe già stato condannato la prima volta che è stato accusato. O anche la seconda. O anche la terza. Ma non la trentesima. Se avviene alla trentesima accusa è segno che si è tanto insistito che finalmente si sono trovati tre giudici di fila disposti a condannarlo comunque. Ecco perché tanti italiani voterebbero di nuovo per lui domani mattina. Ed ecco perché tutte le omelie che vengono dal Pd – “le sentenze si rispettano”, “Berlusconi è indegno di partecipare alla vita politica”, “le sentenze si eseguono”, “Berlusconi faccia un passo indietro” – suonano false. A sinistra mietono una messe attesa per lustri ma che è stata loro offerta dalla magistratura: un successo ottenuto barando.
La sentenza, comunque la si voglia qualificare, esiste ed ha i suoi effetti. Dunque è inutile girarci intorno: Berlusconi deve scontare la pena. Una grazia di Giorgio Napolitano è improbabile e comunque farebbe un buco nell’acqua: perché ci sarà un’altra sentenza e un’altra ancora, soprattutto ora che s’è rotto il ghiaccio. All’occasione basterà continuare a non ascoltare i testi della difesa o a dichiararli falsi e condannare anche loro.
Il Presidente Napolitano non si impegna a nulla e parla degli interessi del Paese. Ma Berlusconi in questo momento si starà chiedendo chi pensa ai suoi, di interessi. E immaginiamo abbia il sospetto che debba pensarci lui. Né sono significativi i moniti quirinalizi riguardanti lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni: Napolitano ammonisce, Berlusconi decide.
Il fatto che il Cavaliere sia formalmente escluso dalla vita politica in Parlamento è meno significativo di quanto i suoi avversari possano sperare. Il king è importante, ma più importante è il king maker. Un Berlusconi privato dell’elettorato passivo rimane infatti il capo del suo movimento. Potrà tenere comizi, rilasciare interviste, continuare ad essere il dominus del suo partito. A quel punto, quanto peserà l’impossibilità di essere deputato o senatore? Forse che Beppe Grillo lo è? E se tentassero di ridurlo al silenzio, non gli si potrebbe comunque negare ciò che è stato concesso ad Adriano Sofri, colpevole di omicidio: quel detenuto eccellente dalla sua cella ha scritto per i giornali ed ha continuato a partecipare quotidianamente alla vita pubblica. Diversamente all’estero si potrebbero accorgere che in Italia non è lecito fare politica contro la sinistra: si rischia la mordacchia e la morte civile.
Senza dire che Berlusconi potrebbe sempre farsi prelevare da un elicottero nel cortile di casa e volare verso un paradiso qualunque da cui, via satellite, non sarebbe solo presente, in Italia, ma addirittura ubiquo. Non siamo ai tempi di Craxi. La sinistra si illude, se pensa di avere eliminato Berlusconi dalla scena. Forse è meglio che speri nell’anagrafe.
I giornali riferiscono ogni giorno che questo ingombrante personaggio ha detto questo e ha detto quello, ma una persona di buon senso non si fida. Non solo potrebbe trattarsi d’invenzioni, ma Berlusconi potrebbe non fare ciò che ci si aspetta, perché non è sottoposto alle decisioni di alcun sinedrio. Come sempre, ascolta i consiglieri ma alla fine fa di testa sua. E potrebbe far cadere il governo anche se tutti glielo sconsigliano. Perché costoro parlano nel loro interesse, lui agisce nel suo.  Ma attualmente può anche darsi che neppure lui sappia qual è la migliore linea da seguire.
La vicenda avrà comunque provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la modifica dell’art.68 della Costituzione (1993) ha turbato l’equilibrio dei poteri. Oggi la magistratura decide chi può partecipare alla vita politica e chi no. E quando la materia è troppo astratta per essere risolta con una condanna penale, ci pensa la Corte Costituzione a far prevalere, sulla volontà del Parlamento, quella di alcuni uomini non eletti ma in toga.
Se si costringe la politica ad avere i suoi momenti più importanti fuori dal Parlamento - perché fuori dal Parlamento è tenuto chi in esso peserebbe di più - la nostra democrazia è azzoppata. Chi non lo vede deve andare dall’ottico. L’oculista sarebbe sprecato.
pardonuovo.myblog.it

mercoledì 14 agosto 2013

Un partito senza leader

 


Martedì, 13 Agosto 2013
 
Corriere della Sera - È paradossale che la decapitazione giudiziaria del suo storico avversario non stia al momento portando frutti al Partito democratico. Berlusconi continua ad essere il protagonista principale di questa stagione. La vicenda Imu è esemplare. Quando il premier Letta dice che solo se il suo governo durerà si eviterà il pagamento delle prossime rate dell'Imu sulla prima casa, sta ricordando al Pdl che non gli conviene tirare la corda, ma sta anche implicitamente riconoscendo che l'agenda politica del governo è dettata, in larghissima misura, da Berlusconi.
La capacità di individuare di volta in volta la battaglia politica dirimente, quella che sposta i consensi, è come il coraggio di Don Abbondio: uno non se la può dare. O la si possiede già oppure niente. Mentre Berlusconi, in un Paese di proprietari di case, agita la questione dell'Imu sia per le sue immediate conseguenze pratiche (per le tasche degli italiani) che per i suoi significati simbolici (la riduzione delle tasse come leva per il rilancio della economia), il Partito democratico si limita a balbettii sul problema del «lavoro», apparendo così una sbiadita fotocopia della Cgil. Poiché i posti di lavoro non li può creare lo Stato, parlare di lavoro significa parlare di crescita. Ma il Pd non riesce ad avere idee-forza sulla crescita da comunicare con efficacia al Paese.
Naturalmente, ciò è in larga misura conseguenza delle sue divisioni interne, del fatto che, a tanti mesi di distanza dalla sconfitta di Bersani, non è ancora riuscito a trovare un nuovo baricentro politico. È dunque alla sfida per la leadership nel Pd che bisogna guardare per capire come evolveranno le sue scelte programmatiche e i suoi rapporti col governo. È ormai chiaro che Matteo Renzi e Enrico Letta (quale che sarà la formula della partecipazione di quest'ultimo) ne saranno i protagonisti principali. È, per certi aspetti, una buona notizia. Non vengono dall'esperienza comunista (anche se non potranno mai ignorare il ruolo di coloro che da lì provengono), non sono appesantiti da quel fardello. Anche se difficile in pratica, i due potrebbero essere tentati di cercare un accordo. Sarebbe una buona cosa per certi versi e cattiva per altri. Sarebbe una buona cosa per il fatto che essi sembrano avere virtù e difetti opposti e potrebbero compensarsi. Letta appare, fra i due, il più solido, il più attrezzato culturalmente e politicamente, ma è anche frenato da un eccesso di prudenza (in tempi in cui servirebbero audacia e inventiva). Renzi appare meno solido ma è un comunicatore nato, ha coraggio da vendere, e dispone di quella spregiudicatezza che è necessaria alla leadership.
Un accordo fra i due sarebbe però anche, da un altro punto di vista, una cattiva cosa. Metterebbe capo a una diarchia, per sua natura instabile, in un'epoca in cui i partiti hanno bisogno di un (solo) leader su cui investire: uno che ci metta la faccia da solo. In ogni caso, soltanto quando le lotte interne al Pd cesseranno, quando ci sarà un vincitore, quel partito potrà darsi un profilo politico e una piattaforma che lo rendano di nuovo elettoralmente appetibile.
Chi si interroga sul futuro del Pd dovrebbe anche tenere d'occhio le partite su legge elettorale e riforme istituzionali. Poiché la politica non può essere divisa in compartimenti stagni, quelle partite (ad esempio, una nuova legge elettorale, incidendo sulle potenziali alleanze, potrebbe favorire l'uno o l'altro candidato) influenzeranno la competizione per la leadership dentro il Partito democratico.

martedì 13 agosto 2013

Il Mantra del Porcellum

 


Gianni Pardo
Venerdì, 09 Agosto 2013
Qualcosa di analogo avviene in materia elettorale. Apriamo un giornale, vediamo la televisione, ascoltiamo una Rassegna Stampa e ci sentiamo ripetere continuamente che è indispensabile, indifferibile e improcrastinabile cambiare l’attuale legge attuale. E siamo costretti a ripetere per l’ennesima volta che non siamo a Natale, che quell’affermazione è sciocca e temeraria.
Per essere rassicurati sulla nostra salute mentale sarà bene rivedere i motivi per cui crediamo più alla realtà che agli slogan. Una nuova legge elettorale, per essere preferita all’attuale, deve incontrare l’approvazione dei più importanti partiti. Poiché però ognuno di loro vorrebbe modificarla a proprio vantaggio e a svantaggio degli altri, in tanti anni non si è arrivati ad un accordo. Dunque è inutile presentare quella modifica come qualcosa di facile, qualcosa che si può fare e si deve fare in quattro e quattr’otto per essere in grado di andare a votare dopodomani. Se si vuol fare una riforma condivisa può anche darsi che, pur dandosi mesi e mesi di tempo, non ci si riesca.
Se la legge avesse un solo, grandissimo difetto, identificato da tutti come tale, i partiti almeno si sarebbero potuti mettere d’accordo sulla sua eliminazione. Ma così non è stato. Dunque la legge non ha un solo grande difetto riconosciuto come tale da tutti, ne ha molti, sulla cui identificazione a quanto pare non tutti sono d’accordo. Ché anzi i difetti degli uni possono essere i pregi degli altri.
Si dà ad intendere che la legge elettorale è cattiva e andrebbe sostituita con una buona (senza mai specificare quale): ma è fumo negli occhi. Nessuna legge elettorale è “buona”. Sono tutte compromessi fra governabilità e rappresentatività. E migliorando una di queste due esigenze si peggiora l’altra.
Si dice che il Porcellum provoca l’ingovernabilità e non è vero. Se un partito avesse il 40% dei voti, e si alleasse con un partito che ha avuto il 15% dei voti, anche al Senato si avrebbe una solida maggioranza del 55%. Non è la legge che provoca l’equilibrio al Senato, oggi o al tempo del governo Prodi, è il voto degli elettori.
Se poi si volesse – così come stabiliva l’originario progetto della legge Calderoli prima delle modifiche imposte dal Presidente Ciampi – che anche al Senato il partito più votato abbia il 55% dei seggi, basterebbe modificare la Costituzione in questo senso. Ma proprio questo abnorme premio di maggioranza (oggi applicato su base nazionale solo alla Camera, a beneficio del Pd) si rimprovera alla legge attuale. Si dice che esso è antidemocratico e per nulla rappresentativo della geografia politica del Paese. E allora, forte premio di maggioranza sì o no? Abolirlo alla Camera o introdurlo al Senato? Una cosa è sicura, salvo che si attribuisca un premio di maggioranza generalizzato, eccessivo e brutale, nessuna legge elettorale può assicurare la governabilità: se i due principali partiti prendono più o meno gli stessi voti, si ha l’instabilità e la fragilità dell’ultimo governo Prodi. Se i partiti che prendono più o meno gli stessi voti sono tre, è anche peggio: si ha la situazione attuale. La governabilità si ha solo se l’elettorato dà ad una coalizione un confortevole margine di voti.
La legge attuale è cattiva ma anche le altre lo sono. E lo sarà anche quella che dovesse risultare dalla riforma. Non si dimentichi che si parla di tornare al Mattarellum, che a suo tempo fu modificato perché “cattivo”. In realtà ognuno giudica buona la legge che gli conviene e cattiva quella che non gli conviene. Quella attuale ha solo un difetto particolare: è formulata in modo da favorire la governabilità alla Camera e la rappresentatività al Senato. E poiché una qualunque legge in Italia deve essere approvata da ambedue i rami del Parlamento, prevale l’ingovernabilità. Che però sarebbe stata evitata non da una diversa legge ma da una diversa volontà degli elettori. Dunque si può anche andare a votare con il Porcellum come con qualunque altra legge. Tanto, l’Italia sembra avere la vocazione dell’ingovernabilità.
Non è necessario essere specialisti di diritto costituzionale per riflettere su queste tesi. Coloro che ci parlano con tanto sussiego della bruciante urgenza di cambiare la legge elettorale perché non spiegano in concreto che cosa vogliono fare? Oppure il loro livello politologico è lo stesso di chi scrivesse sui muri “Abbasso il Porcellum”?
pardonuovo.myblog.it

giovedì 8 agosto 2013

The Real Untouchbles

 


 

Federico Punzi
Giovedì, 08 Agosto 2013
 
L'intervista rilasciata dal giudice Antonio Esposito al Mattino, e l'audio che ha letteralmente e totalmente sbugiardato la sua doppia smentita, sono di una gravità inaudita.
1) Il giudice della Cassazione, presidente della Corte che ha condannato in via definitiva Berlusconi, ha mentito per due volte, nelle due smentite in cui ha negato di aver pronunciato le frasi che poi tutti abbiamo potuto ascoltare nell'audio pubblicato dal quotidiano, e probabilmente ha mentito anche al suo capo, il primo presidente della Cassazione Santacroce, rispondendo alle sue richieste di chiarimento.
2) Nella registrazione audio Esposito sembra fare riferimento proprio alle motivazioni della sentenza di condanna inflitta a Berlusconi: «Noi non andremo a dire "chillo non poteva non sapere", noi potremmo dire nella motivazione, eventualmente, "tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva"... Nunnè che tu nun putev nun sape' pecché eri u cap, pecché pur u capo potrebbe non sapere. Tu non potevi non sapere perché Tizio, Caio e Sempronio hanno ditto che te l'hanno riferito, allora è nu poco diverse».
3) Il giudice Esposito cade in contraddizione comunque, sia che si riferisse a Berlusconi sia che parlasse in generale. Se infatti si riferiva alla sentenza Mediaset, è evidente che non ha letto gli atti del processo, dal momento che nessun testimone, nessun "Tizio, Caio e Sempronio" ha mai detto di aver portato a conoscenza di Berlusconi l'elusione fiscale. Anzi, "Tizio, Caio e Sempronio" hanno sempre smentito di averlo informato. Se, invece, parlava in generale, allora la sentenza da lui pronunciata va contro il principio di diritto enunciato nell'intervista, nella quale conferma più volte che non si può condannare qualcuno sull'argomento solo logico, e non giuridico, del "non poteva non sapere", mentre la sentenza che la Cassazione era chiamata a valutare in diritto, senza entrare nel merito, si basava proprio sul "non poteva non sapere", non sul "sapeva".

Nelle sue smentite Esposito denuncia la «manipolazione» dell'intervista, ma qui l'unica manipolazione compiuta dal giornalista del Mattino è la traduzione in italiano delle parole del supremo giudice. In linea teorica, di principio, se un giudice si lascia scappare che l'imputato è stato condannato senza prove – è questo, in pratica, che emerge dall'audio di Esposito – dovrebbe essere possibile revocare anche una sentenza di Cassazione. Ma anche ammesso che l'intervista e l'audio di Esposito non siano elementi sufficienti ad inficiare la sentenza, sono evidentissimi gli estremi per un'azione disciplinare nei suoi confronti. Eppure, mentre scriviamo, a quasi 24 ore dalla pubblicazione dell'audio dell'intervista, che sbugiarda totalmente il giudice, non abbiamo notizie in tal senso, né da parte del Ministero della Giustizia né da parte del Csm. Si badi che l'iniziativa avviata dai consiglieri "laici" del Csm Zanon, Palumbo e Romano, e trasmessa alla I Commissione, è una "pratica a tutela", ben diversa da un procedimento disciplinare ai sensi del
decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109.
Altro che riforma della giustizia, che qualcuno ingenuamente o ipocritamente evoca come possibile, ora che con la condanna sarebbe caduto l'alibi del favore a Berlusconi. La Cancellieri come ministro della Giustizia e il presidente Napolitano in qualità anche di presidente del Csm potrebbero - quindi dovrebbero - pretendere l'avvio di un'azione disciplinare nei confronti del giudice Esposito. Eppure, né l'una né l'altro sembrano avere la forza nemmeno per chiederla su un caso così conclamato. Figuriamoci una riforma della giustizia! L'amara realtà è che i magistrati nel nostro paese fanno parte dell'unica casta davvero intoccabile, mentre in un paese normale, civile, un Esposito sarebbe stato espulso dalla magistratura e privato della pensione.

La magistratura italiana come l'Inquisizione


 
L’attuale magistratura italiana ha uno “strapotere” che non ha precedenti nella storia d’Italia. L’opinione pubblica ha aperto gli occhi ascoltando le dichiarazioni uscite dalla bocca dal Presidente della Sezione di Corte di Cassazione Antonio Esposito. Ecco ciò che ha detto in un’intervista concessa al giornale  “Il Mattino” di Napoli: "Noi potremmo dire: tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva, non è che tu non potevi non sapere perché eri il capo. Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva. Tu non potevi non sapere perché tizio, caio o sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po' diverso da non poteva non sapere". Il magistrato ha in seguito “negato categoricamente di avere pronunciato queste parole”  ma “rimane il fatto che l’intervista è registrata” a prova di qualunque smentita o querela. In Italia ci sono giudici abituati a condannare i cittadini (così come avveniva ai tempi dell’Inquisizione) “senza uno straccio di prova”. E’ anche dimostrato che si permettono sfacciatamente, grazie alla loro impunità, di usare la legge a loro piacimento. Carlo De Benedetti, colpevole di un reato analogo a quello per cui Silvio Berlusconi è stato condannato al carcere, gli sarà comminata una “semplice sanzione pecuniaria” (non dimentichiamo che De Benedetti è il tesserato n. 1 del Pd).  È accettabile in una sana democrazia un’interpretazione così “discordante” della legge al punto che un magistrato commina per lo stesso reato una sanzione pecuniaria e un altro magistrato punisce con la pesante condanna di 4 anni di carcere e da 1 a 3 anni (ancora da definire) d’interdizione dai pubblici uffici? Non è accettabile, anzi è  vergognoso. È accettabile che un giudice, senza alcuna perizia professionale, ordini un risarcimento, nella causa per il lodo Mondadori, di oltre 700 milioni, e che in secondo grado una tale valutazione da un altro giudice sia considerata eccessiva e ridotta di circa ben 200 milioni? A quali criteri i magistrati s’ispirano per arrivare a differenze così clamorose? E vi pare saggia la decisione di obbligare il “pagamento immediato” di una tale somma, quando ancora manca il terzo e ultimo grado di giudizio? E se Carlo De Benedetti non fosse più in grado di restituire la somma (in passato molte sue aziende sono fallite), chi provvederebbe a risarcire la Fininvest? Nessuno. Non è accettabile, anzi è vergognoso. È accettabile che un magistrato non si ritiri dal collegio giudicante in una causa in cui l’imputato è un cittadino di cui “ha pubblicamente sparlato”? È accettabile che lo stesso magistrato, dopo aver letto il dispositivo della sentenza, “si permetta di anticipare alla stampa” le motivazioni non ancora pubblicate? È accettabile che sempre lo stesso magistrato “neghi continuamente di aver rilasciato certe dichiarazioni” e minacci querele, quando la registrazione della sua intervista conferma quanto scritto dal quotidiano? È accettabile che un magistrato “mentisca”? Non è accettabile, anzi è vergognoso. Si può aver fiducia in una magistratura così combinata? Non si può e non si deve aver fiducia. Eppure c’è chi ancora considera le sentenze della magistratura, non solo non criticabili, “ma fonte della verità assoluta”. Qualche “pazzo” va proclamando che la nostra è la costituzione più bella del mondo, e guai a modificarla (e non si è accorto che la costituzione è stata modificata più volte), ma è mai possibile che sia ancora oggi la più bella quando l’ordine giudiziario si permette di fare il bello e il cattivo tempo “a seconda che gli aggrada”, e un cittadino si ritrova dietro le sbarre senza colpa (oltre il 50% di chi è in carcere alla fine risulterà innocente), così come ai tempi dell’Inquisizione una donna veniva bruciata come strega per il semplice fatto che un magistrato dell’Inquisizione la riteneva tale? Gli “antiberlusconiani” hanno, per ciò che sta accadendo, una grossa responsabilità. Non hanno mai accettato il confronto democratico con un avversario capace di sconfiggerli. L’hanno combattuto “apostrofandolo con i peggiori insulti”, deformandogli il nome in tanti modi tutti irriguardosi e spregevoli (dopo la sentenza lo chiamano “delinquente”). Hanno contrastato ogni tentativo di riforma per il solo fatto che portasse la sua firma. Non è realistico aspettare che il presidente Napolitano “restituisca a Berlusconi l’eleggibilità’ politica” revocatagli dai giudici. A cosa serve parlare di grazia, o evocare altre fantasiose formule, se comunque altre condanne sono dietro l'angolo? “Stupido” è stato l’incontro con Napolitano dei capigruppo Brunetta e Schifani. La domanda politica che il Pdl deve porsi, e porre, pretendendo una risposta dai suoi alleati di governo e anche dal capo dello Stato, come “padrino” dell'attuale esecutivo, è la seguente: il Pd ha intenzioni serie? E' pronto ad assumersi la responsabilità di riformare le istituzioni insieme a un partito il cui leader è stato appena condannato, oppure sta semplicemente prendendo tempo per riorganizzarsi, mentre la magistratura porta a termine il lavoro sporco di togliere di mezzo il suo unico avversario politico? Ciò che Berlusconi e i suoi possono “pretendere” da Napolitano non è la grazia, o la riforma della giustizia, ma la garanzia che costringa il Pd a realizzare le riforme costituzionali insieme al Pdl continuando a far vivere il governo Letta. Berlusconi deve chiedere di essere incarcerato, ma i giudici non gli faranno questo “regalo” politico. La verità è che il “regime” ha paura di mandarlo in carcere, e finge di mostrare misericordia per un uomo che ha 77 anni. Se Berlusconi va in carcere il “regime” implode e si “sfascerà’” tutto. Berlusconi ha la vittoria in tasca. Ha l’occasione per sferrare il pugno del ko proprio dall’angolo in cui l’avversario l’ha costretto, convinto di metterlo al tappeto definitivamente.