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sabato 14 maggio 2011

La magistratura e' garante della legalita', ma non sepre.


Siamo convinti che la stragrande maggioranza dei magistrati siano onesti e laboriosi e non hanno la smania di comparire in televisione. Siamo anche consapevoli che la magistratura ha il compito importantissimo di ripristinare la legalità laddove sia stata violata. Ma, purtroppo, esiste una minima percentuale di magistrati che, invece di amministrare la giustizia in nome del popolo italiano, e’ colpevole di usarla per lotta politica. Con operazioni mediatiche eclatanti rinviano a giudizio persone che poi vengono riconosciute innocenti dai magistrati onesti. Negli anni di piombo (1965-1978) alcuni magistrati vennero uccisi. Silvio Berlusconi ha definito eroi i magistrati morti sotto i colpi delle BR (Brigate Rosse) e ha aggiunto che sono: ”Valorosi vittime innocenti a cui va il massimo rispetto e la nostra riconoscenza”. Quindi, per principio, non e’ “contro” la magistratura ma che, nell’ultimi 20 anni, ha subito una metamorfosi negativa. I mafiosi ammazzarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due magistrati bravi e coraggiosi. Falcone viene ucciso il 23 maggio 1992 insieme alla moglie e sette uomini della scorta. Il 19 luglio 1992 Borsellino fu assassinato con i cinque uomini della scorta. Tramite la televisione ed giornali i due magistrati, giustamente, divennero degli eroi vittime delle esecuzioni mafiose. Benché nessuno facesse accuse precise, si “sentiva odore” che, dietro la loro morte, doveva esserci un preciso disegno politico. I colleghi dei due magistrati uccisi parlavano apertamente di collusione tra mafia e politica. Tutti avevamo visto film e sceneggiati in cui i mafiosi uccidevano dietro ordini impartiti da loschi “onorevoli”, raffigurati in lussuosi salotti in penombra e spesso fisicamente somiglianti a reali politici che si vedevano al telegiornale. A distanza di vent’anni, ancora si indaga sui rapporti tra mafia e politica. Le tesi cambiano continuamente e si basano sulle testimonianze di presunti “pentiti” assassini incalliti e millantatori. Nello stesso anno, delle uccisioni di Falcone e Borsellino, scoppiò un grave scandalo di corruzione che aveva il suo epicentro a Milano. Tutto ebbe inizio il 17 febbraio 1992. Il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese ed ottenne dal GIP (Giudice Indagini Preliminari) un ordine di cattura per l'ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese. Chiesa era stato colto in flagrante mentre intascava una tangente dall'imprenditore monzese Luca Magni che, stanco di pagare, aveva chiesto aiuto alle forze dell'ordine. L’inchiesta “Mani Pulite” divenne presto un caso nazionale, e smascherò un sistema di corruzione in cui tutti i partiti, specialmente la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, apparivano piu’ o meno coinvolti. Ancora una volta, un gruppetto di magistrati caparbi e coraggiosi si contrapponevano ai criminali, questa volta politici e li affrontavano direttamente. Ovviamente, non vi era alcuna relazione tra la tragica vicenda di Falcone e Borsellino e l’affare “Mani Pulite”, che avrebbe rivelato poi i suoi aspetti “ambigui” e tragici solo negli anni futuri. Quando tutti quei politici di centro e di sinistra e quegli industriali della “Milano bene” venivano arrestati all’alba come criminali comuni, gli italiani provavano un certo compiacimento. Quel senso di compiacimento di cui oggi molti italiani si vergognano. Le accuse di corruzione “sfiorarono” appena il Partito Comunista: i soldi li prendeva da un’altra parte. Allo stesso tempo, “Mani Pulite” toglieva alla sinistra un bel po’ di castagne dal fuoco. Infatti, si era nei primi anni novanta, il comunismo non piaceva più a nessuno e un partito deve pur avere una ragion per esistere, e la trovò nel sbandierare la loro “onestà” e “legalità”. I telegiornali cominciavano sempre con servizi su deputati e senatori prelevati a casa. Erano caricati nelle auto della polizia, scapigliati e un indumento sui polsi a coprire le manette. Il famoso imprenditore Raul Gardini si sparò per evitare l’umiliazione dell’arresto. I giornali usavano i titoli come bombe atomiche. Uscivano film sui socialisti corrotti e sui loro portaborse. Giornalisti organizzavano processi televisivi con tanto di emissione di condanna definitiva. I cantautori più famosi (in Italia sono più influenti dei filosofi) la piantarono finalmente con Che Guevara per scrivere pezzi inneggianti alle punizione dei corrotti. Alcuni giudici, “sacerdoti” della costituzione, andavano a fare comizi nelle scuole (Di Pietro venne anche in Australia) e distribuivano fotocopie degli articoli de “La Repubblica”. Ma qualcuno iniziò a chiedersi: Davvero c’era bisogno di mettere in prigione quell’anziano senatore? Non bastava sequestrargli il passaporto e tutti i soldi? Alla notizia che “se n’era ammazzato un altro” (Gabriele Cagliari infilò la testa in un sacchetto e si lasciò soffocare, mentre era in carcere) il disappunto aumentava per come agivano i magistrati. Facevano uscire subito quelli che confessavano, e ancora prima quelli che accusavano altri: una pratica da regime poliziesco e non di diritto. Cominciava a sorgere il sospetto che i giudici abusavano della “legalità”. Alcuni segnali stavano mettendo in risalto che qualche cosa non stava andando per il verso giusto. Alcuni dei magistrati, che si erano distinti in quegli anni di “fuoco” conducendo inchieste contro i politici, dopo alcuni anni, magari con l’“aiutino” del partito che aveva “rinunciato” di perseguire nell’inchiesta, divennero anch’essi dei parlamentari e, quindi, “colleghi” di coloro che avevano indagato e costretto ad abbandonare ignominiosamente la politica. Quei magistrati, entrati in politica, avevano inquisito uomini pubblici per corruzione, collusioni mafiose e altri misfatti, ma che risultarono innocenti al termine di processi lunghissimi, assai costosi e, comunque, che devastarono le loro vite private, professionali e pubbliche. Venne fuori che un anziano giudice, accusato di aggiustare le sentenze per favorire i criminali mafiosi, era del tutto innocente, ma intanto il suo cognome era finito in una canzone come contrario alla “giustizia”. Giulio Andreotti, sette volte primo ministro, e’ stato assolto da imputazioni mafiose, ma e’ sempre stato costretto a tornare a difendersi per i numerosi ricorsi in appello dei suoi accusatori, alla fine, finalmente, fu proclamato innocente. Degli innumerevoli indagati di “Mani Pulite”, almeno mille vennero prosciolti. Ministri, che si trovavano coinvolti in inchieste su appalti e tangenti, si dimettevano per orgoglio e poi non venivano mai processati. Altri erano inquisiti sulla base di frasi vaghe pronunciate al telefono, in conversazioni private che venivano registrate e poi pubblicate sui giornali. Nulla era diventato tanto precario quanto il potere politico ottenuto con le elezioni. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, da strumento d’indagine eccezionale, erano divenute l’unico metodo d’inchiesta, usate a “casaccio” su persone non ancora sotto indagine perché “non si sa mai”. L’ambizione politica dei magistrati era sempre meno mascherata. Antonio Di Pietro ha fondato un partito e non parla d’altro che di trasparenza e onestà, ma ci sono episodi non chiari nella sua vita e nella sua carriera. Guai a ricordarglielo, si arrabbia moltissimo! Pretende discrezione per la sua vita mentre se ne e’ fregato altamente della discrezione degli altri che ha indotto persino a suicidarsi. Altri magistrati hanno scelto di militare nei partiti della sinistra, che hanno cambiato continuamente nome. Le organizzazioni dei magistrati intervengono ogni giorno sulle vicende politiche. I supremi organi della categoria non fanno mistero di osteggiare governi e maggioranze parlamentari “sgradite”. Inchieste giudiziarie provocarono la caduta di due esecutivi (uno di destra: 1994 e uno di sinistra: 2008), e le due inchieste finirono nel nulla (dopo 12 anni la prima e poco dopo la seconda). Dopo “Mani Pulite” la scena politica italiana era del tutto cambiata. L’irruzione di Silvio Berlusconi, aveva polarizzato l’attenzione di tutti, specialmente dei giudici “fustigatori” della corruzione italiana. Il ricchissimo imprenditore delle televisioni commerciali, dopo la sua invasione nella politica, stimolò l’attenzione delle procure nei suoi confronti che si fece “spasmodica”. Berlusconi, in 17 anni, è stato accusato di tutto, gli manca soltanto essere incriminato di crudeltà verso gli animali e di “abigeato” (furto di bestiame), ma non è mai stato condannato, e dopo 31 processi e’ incensurato. Quasi mille magistrati si sono occupati di lui, collezionando sconfitte giudiziarie e politiche. Gli accusatori, poi, hanno dato alle inchieste la massima pubblicità soprattutto all’estero. Quando Spatuzza, un assassino mafioso, accusò Berlusconi di complicità con la mafia, ebbero cura di far diffondere da “certi giornali” la deposizione del mafioso in tutto il mondo. Non c’e’ da stupirsi. Per la magistratura “sinistreggiante” Berlusconi e’ un nemico perfetto. Un miliardario un po’ “guascone”, un giro di donne pazzesco, 29 ville nei posti piu’ belli del mondo ed in più un politico di successo, inamovibile nonostante i mille “tranelli” per farlo fuori. La sola idea che tanta ricchezza potesse avere un’origine criminale ha “eccitato” le menti dei magistrati “moralisti”. Ma gli italiani non sono degli sprovveduti. Troppe accuse, alcune davvero fantasiose, rivolte a Berlusconi hanno “delegittimato” l’operato dei giudici inquirenti tanto che “non vengono piu’ creduti”, nemmeno se le accuse fossero plausibili. E’ evidente la pesante ingerenza di certa magistratura nella politica italiana e questo costituisce un pericolo per la “democrazia”.