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giovedì 16 agosto 2018

Sappiamo chi è stato

Più di 30 morti nel crollo del ponte, ma la catastrofe era evitabile. Non è vero che non c'erano i soldi, siamo stati ricattati da chi non vuole le grandi opere

Non cominciamo con la storiella che il ponte autostradale di Genova è crollato inghiottendo il suo carico umano per colpa dei vincoli europei.



Quel ponte non doveva crollare, punto e a capo. Sostenere l'inverso è soltanto uno squallido sciacallaggio politico fatto sulla morte di alcune decine di ignari e incolpevoli cittadini. La società Autostrade (azienda privata di proprietà della famiglia Benetton) responsabile del manufatto, trabocca di soldi che non sa più dove mettere. Soldi peraltro frutto di pedaggi da strozzini incompatibili con la qualità del servizio - meglio sarebbe dire disservizio - offerto agli automobilisti. Quel ponte non è crollato perché l'Europa è cattiva e non ci fa spendere ma perché l'Italia è stupida e ferma nelle grandi opere, salvo rare eccezioni tipo l'alta velocità ferroviaria e la variante di valico tosco-emiliana, agli anni Cinquanta. Quel ponte è crollato non perché mancano i soldi ma perché questo Paese è in perenne ostaggio di minoranze demagogiche e stupide che si sono messe di traverso ai già scarsi tentativi di modernizzare tutte le reti di comunicazione via terra. Per decenni lo è stato della sinistra ambientalista, oggi lo è del grillismo che, purtroppo con l'aiuto di un pezzo importante del centrodestra quale è la Lega, sta cercando di fermare i grandi e innovativi progetti già avviati per il trasporto sicuro e veloce delle merci e dell'energia.
Il ministro delle Infrastrutture, il grillino Danilo Toninelli (quello che in campagna elettorale disse di sentirsi geneticamente superiore ai colleghi del centrodestra) può piagnucolare e indignarsi quando vuole, ma è proprio il suo movimento a essersi opposto al progetto di una grande opera a Genova per bypassare quel maledetto ponte che a detta di tutti un giorno o l'altro sarebbe caduto. E sapete qual era lo slogan dei Cinquestelle? Questo: «Non crediamo alla favola del ponte che cade».
Siamo onesti. Altro che Europa, cretini e incoscienti li abbiamo in casa e li abbiamo - non noi - mandati pure al governo, al grido di «basta nuovi ponti che arricchiscono i soliti noti». Per cui teniamoci quelli vecchi, così vecchi che non c'è manutenzione ordinaria o straordinaria che ne possa garantire la stabilità. E questo al di là di errori, omissioni e ladrerie umane che evidentemente ci sono state e andranno perseguite.
I ponti non sono dei monumenti eterni, sono logorati dalla vita più o meno come capita a un uomo e dopo una certa età non c'è lifting o medicina capace di tenerlo in forma e garantirgli l'immortalità. La «favola del ponte che cade» si è avverata perché abbiamo dato, e ahimè continuiamo a dare, credito a questi venditori di fumo tipo Toninelli, travestiti da statisti e modernizzatori. Per liberarci di vecchi ponti e grandi opere dobbiamo prima liberarci di chi si oppone ai nuovi. Purtroppo, vista l'aria che tira, la seconda cosa sarà più difficile della prima. Ma se non vogliamo andare avanti a lutti di Stato dobbiamo provarci, non con il cemento ma con il voto.

lunedì 13 agosto 2018

28 Ottobre 1922 – Venti anni di Libertà, Diritti e Giustizia

marciasuromaIl capolavoro d’eccellenza dell’antifascismo, degli storici da fumetto, dei mascalzoni è stato quello di travisare, di ingannare buona parte degli italiani per oltre 70 anni ormai. Hanno raccontato favole, storie brutte, di un’Italia povera, triste, rinchiusa in gabbia, senza libertà, senza diritti. Diritti e Libertà che peraltro gli italiani fino ad allora non avevano mai conosciuto. Nel 1922, anno della marcia su Roma, non si veniva infatti da periodi di euforia, di libertà e di tutto ciò che ho già elencato. Si veniva da una guerra vinta sulla carta con il sacrificio di seicentomila vite ma di fatto persa. Il paese era in ginocchio, la gente alla fame. La violenza rossa spadroneggiava nelle campagne, gli scioperi, le repressioni della polizia che non ci pensava due volte a sparare sulla folla, i milioni di disoccupati, il debito di guerra. Di fronte a tutto ciò c’era una classe politica, ieri come oggi, inetta che non riusciva a trovare il bandolo della matassa.
L’Italia che si affacciava al mondo nel 1922 era un’Italia in ginocchio, povera, incapace di provvedere al sostentamento alimentare della sua popolazione. Partiti, uomini politici, sindacati lottavano tra di loro per conquistare un proprio personale posto al sole mentre il popolo italiano affogava nella fame, nella violenza rossa e in quella di uno stato incapace.
Queste erano le condizioni del paese che quel 28 ottobre 1922 veniva messo nelle mani di Mussolini. Verità palese che i falsari della storia non ammetteranno mai: immensa sarebbe per loro l’umiliazione.
All’Italia, che oggi come allora vive un periodo di profonda crisi da cui non riesce ad uscire, serviva un uomo forte, pragmatico, deciso, estraneo alla politica ma non ai fatti, ai risultati.
Non è un caso che le prime squadre di governo andarono a pescare non tra i fascisti duri e puri ma tra le menti eccelse del paese: l’economia, i settori produttivi dal primo all’ultimo ebbero in sella uomini competenti a differenza delle vallette di oggi.
Altro che dittatura! Altro che tirannia! Da quel 28 ottobre l’Italia conobbe 20 anni di sviluppo, di libertà, di diritti per i lavoratori! Nel segno dell’ordine e della disciplina venne stroncato il fenomeno mafioso, venne ridata dignità all’Italia nelle relazioni internazionali, la lira tornò ad essere una moneta forte e non più cartastraccia! In pochi anni non solo l’Italia raggiunse e superò la produzione necessaria al proprio fabbisogno alimentare ma diede case, lavoro, istruzione agli italiani.In poche parole: gli italiani dopo oltre mille anni tornarono a conoscere il significato della parola “dignità”.
L’analfabetismo venne abbattuto, gli ospedali, le strade, le città sorgevano a vista d’occhio ogni giorno di più. I sindacati, ieri come oggi, vero cancro per i lavoratori, venivano messi al bando sostituiti dallo Stato.
Stato “dittatoriale” che diede loro le ferie pagate, la tredicesima, la quattordicesima, il tfr, le pensioni, la maternità, gli assegni famigliari, l’assistenza sanitaria gratuita e mi fermo qui per non essere troppo prolisso. Diritti che la democrazia attuale e i sindacati di maiali oggi stanno letteralmente stroncando costringendo le generazioni più giovani a diventare nuovi schiavi.
Quella era dittatura signori? Perchè venivano passate le veline ai giornali? Ma perchè oggi cosa accade? La Rai forse è libera ed incondizionata dal governo? Facciamo i seri!
Quando un uomo ha un lavoro ben retribuito, può godersi le proprie vacanze, può mandare i figli a scuola, può curarli senza avere difficoltà, ecco questo è un uomo libero!
Ecco perchè nessuno potrà tacciarmi di dire il falso quando dico che il Fascismo diede la libertà agli italiani. Fate un paragone con lo stato attuale delle cose, pensate a quegli insegnanti che a 50 anni suonati vengono trasferiti a 1200 km da casa per fare il proprio lavoro a 1200 euro al mese pagandone 600 per un monolocale abbandonando figli e famiglia. Pensate a questi e poi parlate di dittatura se ancora ne avete il coraggio!
Certo, quello degli insegnanti è solo un esempio della disperazione degli italiani: disperazione che non esiste se sei la moglie del presidente del Consiglio assunta a due metri da casa. Questa è la democrazia?
Basterà per me citarvi un aneddoto raccontato da Romano Mussolini nel suo libro. Un giorno donna Rachele prese dalla scrivania del Duce due matite, quelle con cui lui correggeva acuni documenti governativi, per darle ai figli Romano e Annamaria che ne erano sprovvisti. Il rimprovero del Duce non tardò ad arrivare e fu duro: quelle matite appartenevano al popolo italiano! Raccontantelo agli accattoni di oggi.
Impossibile paragonare ai ladri e farabutti che oggi guidano il paese.
Ma quella era una dittatura cari Camerati…

domenica 12 agosto 2018


L'inganno sovranista

La questione non è essere favorevoli o contrari, semplicemente parliamo di una cosa irrealizzabile, fuori dal tempo


Si dice che stiamo andando verso un sistema sovranista, anzi che già abbiamo un governo sovranista.








«Padroni in casa nostra», «Prima gli italiani», «Dell'Europa me ne frego» sono alcuni degli slogan che hanno fatto la fortuna della Lega e dei Cinquestelle. E dire che abbiamo fatto tanto, anche delle guerre, per cacciare i sovrani e sostituire le monarchie con le repubbliche unite tra di loro attraverso istituzioni politiche ed economiche sovrannazionali.
Ora qualcuno vuole tornare indietro, ne ha facoltà e per certi versi la cosa affascina anche noi. Del resto chi non vorrebbe essere «padrone a casa propria». Ma la domanda, mi rendo conto un po' noiosa in questo torrido agosto, che dovremmo porci è la seguente: padroni di che cosa?
«Di tutto», sarebbe la risposta più ovvia e diretta. Ma è questa una risposta ottocentesca, buona per gli allocchi in campagna elettorale. Pensateci. Ieri è successa una certa cosa in Turchia e nel giro di pochi secondi la nostra economia e le nostre finanze sono crollate. Cosa c'entriamo noi con la Turchia - che non fa neppure parte dell'Europa - piuttosto che con i dazi che Trump mette alla Cina? Apparentemente nulla, ma in realtà molto e l'essere «padroni in casa nostra» non ci ha messo al riparo da danni enormi, né mai potrà farlo.
Le banche italiane sono sovrannazionali, non per l'azionariato ma perché hanno nei loro bilanci beni (azioni e titoli) sovrannazionali. Le nostre aziende più eccellenti, grandi e piccole, sono sovrannazionali perché l'ottanta per cento del loro fatturato lo fanno all'estero e uno starnuto a Mosca o a Pechino può fare loro più male, o bene, di una nuova tassa, in più o in meno, decisa a Roma. Possiamo essere noi «sovrani» di questi diabolici e ineluttabili meccanismi? Proprio no, non è possibile, neppure se Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sgolassero a urlarlo da qui all'eternità.
E ancora. Possiamo essere «sovrani» sulla rete Internet che veicola oggi in tempo reale l'80% dell'informazione, vera o falsa che sia? Possiamo esserlo sull'imporre alle donne italiane le regole della maternità quando appena fuori dai nostri confini è ammesso qualsiasi tipo di fecondazione? Possono i «sovranisti» fermare la tecnologia che tutto permette a tutti? La risposta è sempre la stessa: no.
Usciamo quindi dall'inganno sovranista. La questione non è essere favorevoli o contrari, semplicemente parliamo di una cosa irrealizzabile, fuori dal tempo. Io mi accontenterei di essere sovrano a casa mia, nel senso della mia famiglia. Ma anche lì ho non pochi problemi (e Salvini penso altrettanto).