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venerdì 19 agosto 2016

Io voglio essere l'"uomo del dopo"

Nella vita bisogna essere sempre "quello di dopo" non mai "quello di prima"


 Il cambiamento del sottotitolo del mio giornale, è piaciuto a moltissimi. Non erano pochi quelli che lo attendevano. Mi sono giunte lettere significative di simpatia, soprattutto dalle trincee.

Il grosso pubblico non ha l'obbligo di sapere che da parecchi mesi io avevo deciso di togliere l'etichetta inutile e quindi pericolosa. Coloro che mi leggono non sono stati sorpresi, non potevano esserlo. Ricordate il mio articolo di primo maggio: «Il fucile e la vanga»? Non era che il preludio dell'ultima «Novità». Solo i disgraziati che non hanno vibrazioni intellettuali, solo gli impotenti che sono negati alla gioia divina della creazione spirituale, solo gli ignavi che rifuggono da ogni sforzo quando segni una variazione nella loro consacrata e idiotissima routine, solo questi lamentevoli mezzi uomini che hanno bisogno di riempire col tritume dei vecchi clichés il loro cranio minuscolo, solo costoro potevano e dovevano abbozzare la smorfia inintelligente o sibilare la loiolesca malignazione.
Pietà per costoro e galera, se occorre!
Da tempo io domandavo a me stesso: che cosa è il socialismo sotto la specie delle dottrine economiche, filosofiche e politiche? Che cosa è il socialismo sotto l'aspetto della sua attività pratica e quotidiana? Esiste ancora un socialismo? O come opina l'amico mio Lanzillo in un vient de paraître presso «La Voce» e del quale mi occuperò fra poco, è quella subita dal socialismo politico europeo una grande, irreparabile disfatta? Per quanto capace di lunghe meditazioni, io non trovavo una risposta soddisfacente a queste domande. Credo che i socialisti stessi, quelli che portano la tessera nel portafoglio, accanto ai bigliettoni di grosso taglio guadagnati talvolta colle forniture di guerra, non sappiano trovarla. Il punto interrogativo rimane. Subordinatamente io mi chiedevo: sono socialista? Prima di rispondere: no, ho dovuto colla fredda ragione soffocare i richiami nostalgici del sentimento, oscurare il «chiaro di luna» dei ricordi della famiglia e della giovinezza, passare oltre gli scogli che sembravano insuperabili, nel mare di tante memorie, spezzare definitivamente un'abitudine mentale.
Mi sono persuaso che, per me, la parola «socialista» era vuota di significato. Un uomo intelligente non può essere una cosa sola. Non può - se è intelligente - essere sempre la stessa cosa. Deve mutare. Non si può essere sempre socialisti, sempre repubblicani, sempre anarchici, sempre conservatori. Lo spirito è soprattutto «mobilità». L'immobilità è dei morti. Un uomo che non cambia mai la direzione del suo pensiero, che non cambia mai l'espressione del suo pensiero, non è un uomo di nervi, è un macigno. Peggio ancora! Poiché le ultime ricerche scientifiche hanno rilevato delle manifestazioni di sensibilità - quindi di vita - anche nelle molecole delle pietre inerti. Per certi uomini le formule sono dei cinti di castità spirituale. Noli me tangere. Ma o il pensiero che è maschio li spezza, oppure è la condanna orribile al zitellonaggio mentale. Voi li conoscete, certamente, i zitelloni dello spirito. Acidi, noiosi, maldicenti e, alla fine, insopportabili. Si sente subito che manca loro qualche cosa. Che sono degli incompleti. La vita passa col suo corteo tumultuoso e trionfale di dolori e di gioie, di uomini e di maschere, demolitrice e costruttrice, sempre varia, sempre «imprevista», sempre adorabile anche quando per conquistarla bisogna morire e i rimasticatori delle formule brontolano cupamente e plumbeamente nella malinconia rassegnata o rabbiosa dei vinti. Quell'etichetta che io ho cancellato, non mi legava, ma tuttavia oggi mi sento più libero. Libero di essere a volta a volta me stesso, soltanto me stesso, niente altro che me stesso. «Tu non sei più quello di prima» mi grida dall'angolo, il «salutista» della coerenza cadaverica! Ma tu mi fai il più grande elogio, mio piccolo filisteo. Nella vita bisogna essere sempre «quello di dopo» non mai e non soltanto «quello di prima». Se tu rimarrai sempre quello di prima, t'accorgerai di aver vissuto un solo istante della tua vita, o una sola vita delle mille che tu avresti potuto vivere. Ti accorgerai di essere rimasto fermo, mentre avresti potuto camminare dai monti agli oceani, per strade e sentieri, verso ai quattro orizzonti, nell'ampia terra che ti avrebbe offerto, prodigalmente, i tesori della sua bellezza. Ti accorgerai di aver rinunciato, mentre potevi ghermire.
Infelice mortale! Mi permetterai di non invidiare la tua sorte e soprattutto di non seguire il tuo esempio. Io ci tengo ad essere l'uomo del «dopo». In altri termini l'uomo che anticipa. La collezione di questo liberissimo, personalissimo, indipendentissimo e strafottentissimo giornale è là a dimostrare - clamorosamente - che parecchie volte ho «anticipato». Sono stato cioè l'uomo del dopo, mentre gli altri, quasi tutti, erano rimasti gli uomini del prima. Ho scritto contro la strategia passiva, quando tutti la ritenevano una utilità o una necessità. Oggi, su altre questioni, sono già al «dopo». Quelli che si afferrano alle vecchie etichette, mi danno l'idea di naufraghi aggrappati ai rottami di una nave affondata. I rottami si chiamano: socialismo, liberalismo, repubblicanesimo, elezionismo, riformismo. Credono, aggrappati a questi rottami, di giungere in porto, e di ricominciare. Quello che avviene da quattro anni, non li tocca. 
Siamo nel 1918 e gli zitelloni parlano ancora il linguaggio del 1913. Come quel tal frate, reduce dalla lunga captività fra i mori, anch'essi credono di poter riprendere in predica il punto interrotto con un semplice heri dicebamus. Eh no. Noi li rovesceremo dal pulpito e profaneremo, colle nostre violenze, la loro chiesa. Non permetteremo che la lettera uccida lo spirito. 
Saremo - non sembri un bisticcio - non quello che fummo, né quello che siamo, ma quello che saremo e vorremo essere.
Sia detto una volta per tutte.
11 agosto 1918

mercoledì 17 agosto 2016

Sfida di Parisi per la crescita: basta coi mandarini di Stato

 La ricetta di Mr. Chili per rilanciare l'economia: guerra alla burocrazia per favorire gli investimenti privati

Mandarini di Stato. Ecco i principali nemici di Stefano Parisi, ormai lanciato nella corsa a leader del centrodestra
L'ex amministratore delegato Fastweb ha un chiodo fisso: sburocratizzare il Paese. Per lui l'economia italiana è al palo non perché Renzi non riesce a strappare uno zero virgola in più per flessibilità. «Problema mal posto - ripete anche in questi giorni - la questione non è avere qualche soldo in più da spendere ma favorire gli investimenti privati». E per Parisi nessuno investe in Italia perché il polipo burocratico ha tentacoli letali. Eccolo il principale nemico, altro che Merkel e austerità. Il problema è che tutti sanno che la zavorra sta lì, ma un conto è il dire un altro il fare: come tagliare, quindi, le unghie ai burocrati, senza l'appoggio dei quali ogni riforma è destinata all'aborto? Parisi giura che ce la farà perché in fondo lui arriva da lì. Conosce stanze e corridoi dei ministeri, conosce la macchina della pubblica amministrazione bullone per bullone.
Nel 1984 è stato capo della segreteria tecnica del ministero del Lavoro; quattro anni dopo era alla vicepresidenza del Consiglio dei ministri; poi alla Farnesina fino al 1991. L'anno dopo era a capo del dipartimento per gli affari economici della presidenza del Consiglio dei ministri. Insomma, un ex mandarino di Stato che vuole sbucciare proprio i mandarini di Stato. E proprio mentre il governo è sotto scacco per il pressing dei sindacati sul rinnovo del contratto degli statali, Parisi promette che non guarderà in faccia nessuno perché «se anche bisognerà mandare a casa centinaia di migliaia di statali, poi arriveranno milioni di nuovi occupati». Privati. Ecco perché Parisi ha l'appoggio di ampi settori di Confindustria ma soprattutto di Berlusconi che vuole veder portata a termine la «sua» rivoluzione liberale. Parisi lavora pancia a terra, cerca sponsor, seleziona volti nuovi e soprattutto schiva le scaramucce del dibattito agostano che derubrica a «chiacchiericcio di politici di professione».
Il problema è che il centrodestra vince solo se è unito e l'unità per ora pare una chimera. Salvini, al quale Parisi ha più volte teso la mano, è più propenso a morderla che a stringerla. Vero che il capo della Lega era davanti alla sua «pancia» ma in quel di Ponte di Legno è stato pungente come un alveare: «Parisi chi? So solo che il Milan ha comprato Lapadula». Il segretario del Carroccio avverte Mister Chili: «Non ho ancora capito cosa vuole fare e dove vuole andare. Ma non è che non ci dorma la notte». E poi piazza i suoi paletti: «Se ci vuole proporre accordi con i Cicchitto e i Verdini non ci interessa e non ci metteremo con chi oggi sta con Renzi (Ncd e altri), con chi voterà Sì al referendum, e con chi ha cambiato sei volte poltrona». E ancora: «I cittadini non mi chiedono cosa ha in testa Parisi ma come abbassare le tasse». Insomma, siamo ancora ai messaggi a distanza, altro che unità della coalizione. Tuttavia Salvini non esclude alleanze e chiama tutto il centrodestra a Firenze per il prossimo 12 novembre per una «grande manifestazione per mandare via Renzi, Boschi, Boldrini e Alfano». Linea dura per «dare lo sfratto al governo Renzi. E per far questo ci vuole un nuovo Fronte di liberazione nazionale». Risponderanno tutti in coro all'appello? Non è dato sapere. Di sicuro si aprirà il dibattito se riproporre o meno la «fotografia di Bologna» ma soprattutto con quali soggetti nell'obiettivo. E, non ultimo, chi comanderà.

Perche' all'Italia conviene uscire sall'Euro

Su Libero di lunedì 15 agosto Paolo Becchi e Fabio Dragoni hanno spiegato, in 50 punti, perché l'Italia deve lasciare l'euro. Qui di seguito eccone alcuni.

PERCHÉ NON È VERO CHE USCIRE DALL'EURO SIGNIFICHI USCIRE DALL'UE

Vi sono Paesi quali, ad esempio, la Svezia, l'Ungheria, la Danimarca ecc. che pur non avendo l'euro fanno comunque parte dell'Unione Europea e guarda caso stanno meglio. Una rielaborazione del Centro Studi Unimpresa sui dati della Banca d'Italia mostra che nel periodo 2008-2015 i Paesi dell'Eurozona hanno perso 3,238 milioni di posti di lavoro mentre quelli dell'Unione con propria moneta nello stesso periodo di tempo hanno creato 1,068 milioni di posti di lavoro

L'Eurozona è un'autentica macchina di distruzione del lavoro. 


PERCHÉ FUORI DALL'UNIONE EUROPEA SI STA COMUNQUE MEGLIO

Mentre i Paesi senza euro ma dentro l'Ue stanno meglio dei cugini che hanno scelto la moneta unica, così i Paesi che stanno fuori dall'Unione vivono molto meglio dei vicini condomini dell'Unione Europea. Il Pil pro-capite medio dell'Efta (l'accordo di libero scambio fra Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera) è infatti pari a 62.534 dollari, mentre quello dell'Unione Europea è pari a 37.800 dollari. In altre parole un cittadino dell'Unione mediamente guadagna il 60 per cento del cugino che sta fuori. I dati sono riferiti al 2015 (Fonte Cia factbook). A riprova di quanto detto sia l'Islanda che la Svizzera hanno di recente ufficialmente abbandonato il progetto di adesione all'Unione Europea

Un tempo si facevano carte false per entrare nell'Unione, ora se puoi la eviti.

PERCHÉ NON È VERO CHE ABBANDONANDO L'EURO TORNEREMO AI VECCHI MILIONI E MILIARDI

Sono in molti quelli che spesso - in cattiva o buona fede - fanno confusione fra tasso di conversione e tasso di cambio. L'Italia uscendo dell'euro potrà scegliere di convertire la propria nuova moneta con un tasso di conversione "convenzionale" rispetto all'euro. Cioè frutto di una deliberata scelta tecnica. Può essere 1 lira per ogni euro e quasi sicuramente così sarà per semplicità. Dopodiché il prezzo della lira sarà libero di fluttuare nel mercato valutario e quasi sicuramente svaluterà del 20 per cento - 30 per cento circa rispetto alle altre monete. Questo è il cosiddetto tasso di cambio. Ma ciò non deve destare preoccupazione. Per caso qualcosa nella vostra vita è drammaticamente cambiato da quando l'euro ha pesantemente svalutato rispetto al dollaro? Due anni fa con un euro acquistavamo 1,35 dollari mentre oggi ne acquistiamo 1,10 circa. Ovviamente nulla è cambiato nella vita quotidiana di ciascuno di noi per il semplice motivo che non facciamo la spesa al supermercato di Cleveland.

PERCHÉ NON È VERO CHE USCENDO DALL'UNIONE EUROPEA PERDEREMMO I FINANZIAMENTI UE

È vero l’esatto contrario. Lasciando l'Unione Europea risparmieremmo un sacco di soldi. Per l’esattezza 25 milioni di euro al giorno. Questo è quanto ci costa l'Unione Europea. Dal 2001 al 2014 l'Italia ha versato nelle casse dell'Unione europea 70,9 miliardi di euro in più di quanti ne abbia ricevuti. E questo - sia chiaro - nell'ipotesi che tutti i soldi ricevuti fossero effettivamente spesi. La fonte è la Ragioneria Generale dello Stato. A tutto questo si aggiungano i circa 60 miliardi di euro che nel 2014 avevamo prestato in varie forme agli altri Stati dell’Unione europea (la Grecia, l’Irlanda, la Spagna) affinché restituissero i crediti che le banche francesi e tedesche avevano loro incautamente prestato. Crediti che oggi sono in massima parte inesigibili e che avremmo invece potuto prestare alle nostre imprese. 

Ergo, in 14 anni sono stati spesi 130,9 miliardi di euro. Cioè, per l’appunto, 25 milioni di euro al giorno. Se uscissimo di sabato dall’Unione europea per rientrare il lunedì dopo risparmieremmo più di quanto il presidente del Consiglio Matteo Renzi sostiene che si possa tagliare con la sua revisione costituzionale del Senato della Repubblica.