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lunedì 16 novembre 2015

Non vinceranno mai

Non vinceranno mai. Legioni di fondamentalisti fanatizzati possono sfregiare la nostra vita, ma non potranno mai vincerla. Il solo modo che abbiamo per perdere lo scontro con questo esercito della demenza è perderci. Smarrire la consapevolezza di quel che siamo. Perdere la memoria di quel che ci è accaduto.
Noi vinceremo e loro perderanno. Ci costerà, in termini di libertà e civiltà, ma l’esito è scontato, non ci sarà alcuna soccombenza, se solo ricorderemo chi siamo “noi” e chi sono “loro”
Noi non siamo la cristianità, non siamo una fede, noi siamo il frutto di una storia che (anche grazie al modo in cui è vissuta la religiosità) ha generato il fiore più bello: lo Stato laico. Non lo Stato dio, che quello fu il sogno degenere di comunisti e nazisti. La casa comune dei credenti in tutte le fedi e dei non credenti

Una casa in cui a ciascuno è riconosciuto il diritto di credere in quel che vuole e di professare fedi e convinzioni, ma a nessuno è riconosciuto il diritto di violare la legge.

Convenzione senza pretese eterne, ma non violabile dai contemporanei. Loro non sono gli islamici, sono islamici invasati e fondamentalisti, convinti di condurre una guerra santa. Per ciò stesso sono dei bestemmiatori del loro dio
L’essere disposti a morire non distingue una loro superiore forza, ma un destino che è bene favorire e accelerare (ricordiamoci del terrorismo interno, degli errori commessi supponendoli “sedicenti” comunisti, lo erano, quando fu chiaro si poté combatterli meglio, anche se disponevano di personale fanatizzato e pronto a morire per un’ideologia, e se non li si arrestò li si accontentò). Se il loro dio esiste, sarà l’occasione per far cambiare loro idea. Ma la cosa non ci riguarda, perché per noi saranno morti.
La visita, in Italia, del presidente iraniano, Rohani, è stata rinviata. Immagino ci siano comprensibili ragioni di sicurezza. Quel che non si può rinviare è il dovere di capire e pensare: quando il komeinismo fece la sua comparsa, coccolato da una Francia che favoleggiava di liberazione dallo Scià, erano loro i peggiori fondamentalisti sulla piazza, né risparmiarono sceneggiate e violenze a sfondo truculento e medioevale; ora il panorama è cambiato, e in quanto sciiti sono il principale bersaglio dei fondamentalisti sunniti (Is); hanno perso lo scettro dei peggiori, anche se ci vuole fantasia per accoglierli fra i migliori. La questione religiosa, quindi la guerra interna al mondo islamico, non è però il solo elemento da considerare. C’è la storia, la geografia, l’equilibrio fra potenze aggressive. Insomma, il lavoro da farsi è molto, ma sarà bene fare una premessa (lo scrivevamo ancora ieri, prima che Parigi fosse attaccata): chi vuole avere rapporti con noi escluda di utilizzare la forza nell’attaccare oltre i confini delle democrazie, a cominciare da Israele. 
Si scanneranno ancora, statene certi, seguiremo con partecipe attenzione, ma se punti un’arma contro di me la tua migliore sorte sarà morire prima di respirare.
Ci costerà. Attaccandoci in questo modo ci costringono a modificare la condotta del nostro Stato laico. Ci costringono a guardare dentro le scuole islamiche, per impedire il diffondersi dell’infezione mentale e morale del fondamentalismo. Sarà un prezzo alto. Ma possiamo pagarlo, se solo evitiamo di concedere troppo: i più imbecilli fra loro credono d’essere protagonisti di una guerra santa, ma gli imbecilli di parte nostra, che credono altrettanto, noi li riconosciamo come tali. 
Noi non abbiamo nessuna guerra santa da fare. 
E’ in corso una guerra contro il nostro mondo, che è diverso da quello che loro vorrebbero proprio perché è aperto, tollerante, libero. Questa guerra la vinciamo di sicuro, se restiamo quel che siamo: aperti, tolleranti, liberi. Ci costringono a stringere i confini della libertà e della tolleranza. Pessima cosa, ma motivo in più per cancellarli. Ci riusciremo, sicuramente, se solo ricorderemo perché lo stiamo facendo: per difendere il nostro mondo e le nostre migliori conquiste, non per il gusto di schiacciare loro, spurgo di una storia  che ripugna alla civiltà di chiunque. Islamici compresi.

La difesa dell'indifendibile

Diciamo che quel "Bastardi islamici", che campeggiava sabato scorso sulla prima pagina di Libero all'indomani della notte di terrore vissuta da Parigi, era un titolo che poteva anche essere, per così dire, limato. Ma, nel contempo, ci fanno veramente sorridere (amaramente) tutti quei nostrani benpensanti che si ostinano, in occasioni simili, ad accusare quelli dell'altro schieramento di speculazione politica, di salvaguardia degli interessi elettorali, di razzismo e chi più ne ha più ne metta.

Piaccia o non piaccia, i fatti hanno il sopravvento su certe chiacchiere intrise di un buonismo maleodorante: l'Europa è sotto attacco e a sferrarlo sono certi ceffi marcati I.S.. 
Di invasione islamica si parla e tutto il resto è fuffa di boldriniana memoria
Non a caso, in certi social network, c'è anche chi se la prende con la riproposizione di alcuni scritti di Oriana Fallaci, una di quelli (pochissimi per la verità) che aveva intuito cosa sarebbe potuto accadere alla società occidentale e le cui previsioni si stanno puntualmente avverando
Per chi è in grado di leggere (magari togliendo quei paraocchi che sembrano far parte di un abbigliamento stereotipato) si consiglia di dare almeno uno sguardo, per esempio, a "La rabbia e l'orgoglio". Sarebbe il caso che, di fronte ad un pericolo tangibile, si facesse quadrato intorno al proprio Paese: il razzismo non c'entra, l'evitare che accada il peggio invece sì.
In molti non hanno il coraggio di ammettere che siamo di fronte ad una vera e propria guerra santa e, mentre in Europa c'è chi chiude/controlla le proprie frontiere nazionali fottendosene di Schengen e del suo trattato, qui da noi esiste invece ancora chi si ostina a difendere l'indifendibile: e a cosa ci riferiamo è davanti agli occhi di tutti.

Er padre de li santi

Roma, monumento in onore di Giuseppe Gioacchino Belli, 1913
Giuseppe Gioachino Belli è uno dei più celebri poeti in dialetto romanesco: nato a Roma nel 1791, dopo aver sposato una ricca vedova poté permettersi di vivere una vita agiata e ricca di viaggi ed esperienze.
Dopo avere conosciuto Carlo Porta, il più famoso poeta in dialetto milanese, cominciò anche lui a scrivere in dialetto, naturalmente in quello che gli era più familiare e cioè il dialetto di Roma. Fra il 1827 e il 1863, anno della sua morte, scrisse più di duemila sonetti che, nelle sue intenzioni, dovevano diventare "un monumento alla plebe" della Roma papalina dell'Ottocento: i temi delle sue composizioni erano numerosi, talvolta biblici, altre volte legati alla quotidianità, altre volte ancora di piccola filosofia della vita, altre volte veri e propri scherzi. Il dialetto però li rendeva sempre fortemente espressivi e coloriti.
Prima della morte il Belli scrisse nel suo testamento che i manoscritti dei suoi sonetti avrebbero dovuto essere distrutti perché non corrispondevano più ai suoi reali sentimenti. Questo non avvenne e, anche se parecchi anni dopo la sua scomparsa, la prima edizione dei suoi scritti fu pubblicata in sei volumi verso la fine del secolo.
Fra i sonetti scherzosi, uno dei più noti è "Er padre de li Santi"
 
 
Er padre de li santi
Er cazzo se po di' radica, ucello,
Cicio, nerbo, tortore, pennarolo,
Pezzo-de-carne, manico, cetrolo,
Asperge, cucuzzola e stennarello.

Cavicchio, canaletto e chiavistello,
Er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
Attaccapanni, moccolo, bruggnolo,
Inguilla, torciorello e manganello.

Zeppa e batocco, cavola e tturaccio,
E maritozzo, e cannella, e ppipino,
E ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.

Poi scafa, canocchiale, arma, bambino.
Poi torzo, crescimmano, catenaccio,
Minnola, e mi'-fratello-piccinino.

E tte lascio perzino,
Ch'er mi' dottore lo chiama cotale,
Fallo, asta, verga e membro naturale.

Quer vecchio de spezziale
Dice Priapo; e la su' moje
pene,
Segno per dio che nun je torna bene.


Giuseppe Gioachino Belli, Roma, 6 dicembre 1832

Facile previsione

  

Che il “clero” sarebbe stato il peggior nemico di Papa Francesco l’avevo subito previsto appena dopo la sua elezione del 13 marzo 2013.

Qui sotto il mio articolo del 20 marzo 2013 pubblicato sui giornali australiani di lingua italiana “La Fiamma” e “Il Globo”, su alcuni giornali on-line e sul mio blog www.itamondo.blogspot.com.au

 

Papa Francesco

Giampiero Pallotta

mercoledì 20 marzo 2013


Sono arrivato su questa terra lo stesso giorno che Papa Pio XI ritornava alla casa del Padre. Lui saliva, io scendevo. Nella mia vita ho visto passare ben sei Papi: Pio XII (1939-1958); Giovanni XIII (1958-1963); Paolo VI (1963-1978); Giovanni Paolo I (1978-1978); Giovanni Paolo II (1978-2005); Benedetto XVI (2005-2013). Quest’ultimo, Papa Francesco, è il settimo.
Quando una persona va al potere, di qualsiasi natura esso sia, se ne parla solo bene, così come quando se ne parla bene alla sua morte. Ma nell’intervallo si può dire quel che si vuole. Parliamone, allora, con tutto il bene possibile anche se “affiorano” già certe voci d’oltre oceano che “stuzzicano” l’innata curiosità del popolo.
Gli italiani sono ormai abituati a ragionare secondo schemi politici e già corre l’interrogativo: ma il nuovo Papa è di destra o di sinistra? E’ una“degenerazione” mentale del nostro Paese. Certo che la sua elezione ha sorpreso tutti e, tra i centocinquantamila fedeli di Piazza San Pietro, molti si sono chiesti: “Chi è costui”?
C’e’ stata un po’ di delusione di non vedere in lui un volto che “buca lo schermo” come quello dello “show man” Papa Giovanni Paolo II.  In un’epoca in cui dominano i “mass media”, la fotogenia è necessaria anche in campo spirituale. Personalmente preferisco le persone “modeste”. Ma c’è anche un altro elemento che il popolo si aspetta: “L’autorevolezza”.  
Il Potere si esercita con il “comando”. Il comando presuppone “autorità”. L’autorità presuppone la capacità di conseguire “efficacia”. Il popolo oggi, così nella politica come nella guida spirituale, ha bisogno di “uomini forti”, non “autoritari” ma “autorevoli”. E’ un’innata esigenza umana quella di vedere, nell’uno e nell’altro campo, una “figura paterna” che unisca l’amore paterno alla “necessaria autorevolezza”. Il popolo ha bisogno di questo.
La delega del potere che, in modo diretto o indiretto, il popolo dà alla persona che lo rappresenta, deve dare risposta alle varie esigenze, siano esse spirituali che politiche. Chi è stato delegato a “comandare” deve farlo con “capacità” e “fermezza” per risolvere le esigenze del popolo.
Il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi “Francesco”, il primo nella storia dei Papi. Un nome molto impegnativo. La stampa e i Tg nazionali l’hanno subito denominato Il Papa dei poveri”. Ma qui bisogna intendersi.
Francesco D’Assisi era povero per scelta e per missione, ma a quei tempi non c’erano le esigenze di oggi. Non c’era la Tv, gli elettrodomestici, le automobili, gli smartphone… insomma non c’era nulla di quelle comodità che oggi sono diventati “indispensabili” (almeno alcune) e non più un lusso. Giusto, quindi, che l’uomo aspiri a un certo benessere. Allora, che senso ha promuovere il culto della povertà? Se con questo s’intende costringere gli esseri umani a essere più “sobri” siamo d’accordo. Se si tratta di rinunziare al “normale” benessere, non siamo d’accordo Se, invece, s’intende che sia la Chiesa a “rinunciare” a perseguire la ricchezza, allora non solo siamo d’accordo, ma attendiamo “segni concreti”.

Il clero è una “casta” delle peggiori che non segue gli insegnamenti di Gesù’ Cristo. Vive nel lusso e nell’abbondanza ignorando i “diseredati”. Dovrebbe rinunciare a molti privilegi e smettere di “addobbarsi” con crocefissi, catene e anelli d’oro (il crocefisso di Papa Francesco è di ferro), di vestire abiti costosi, di vivere in palazzi sfarzosi e viaggiare con auto lussuose. Avete notato che, per lo più, i vescovi e i cardinali (ma anche qualche prete) sono ben “pasciuti” e “rubicondi” per il ben mangiare e il meglio bere? La Chiesa è la più grande, potente e ricca “multinazionale” del mondo. Possiede capitali immobiliari, e non solo, in tutti i Paesi del globo. Ha proprietà anche nel più piccolo villaggio. E’ diventata ricca e potente per la “carità” ricevuta dai suoi fedeli. La Chiesa chiede la “carità”, ma non ne fa se non la minima parte.

Papa Francesco ha detto che la “misericordia cambia il mondo”. Mi attendo che imponga alla Chiesa di diventare più “sobria” e “caritatevole” per diminuire di molto (se non eliminare) la povertà nel mondo.
La Chiesa può farlo. Di soldi ne ha tanti anche troppi.

Ma vedrete che la potente e spregiudicata “casta” del clero farà del tutto per impedirglielo.

Speriamo soltanto che a Francesco non gli capiti la stessa sorte di Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo I.


domenica 15 novembre 2015

Oriana Fallaci e la sua profezia


Oriana Fallaci e quella profezia sull'Islam: "Parigi è persa"

Oriana Fallaci e quella profezia sull'Islam:

"Parigi è persa: qui l'odio per gli infedeli, è sovrano e gli imam vogliono sovvertire le leggi laiche in favore della sharia". È una delle "profezie" più inquietanti e apocalittiche, di Oriana Fallaci. Subito dopo le nuove stragi a Parigi, su Facebook in molti hanno condiviso i passaggi più duri di alcuni tra i libri e i discorsi della giornalista toscana, fiera oppositrice (controcorrente) dell'Islam e delle sue pulsioni fanatiche e radicali, soprattutto dopo l'11 settembre 2001

"Islam contro ragione" - "Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l'Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l'affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. 
Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione
Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l'arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. 
Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell'Avvenir è contro Ragione
E contro Ragione anche sperare che l'incendio si spenga da sé grazie a un temporale o a un miracolo della Madonna".

Il Corano e i cani infedeli - "Il Corano non mia zia Carolina che ci chiama «cani infedeli» cioè esseri inferiori poi dice che i cani infedeli puzzano come le scimmie e i cammelli e i maiali. È il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e predica la Guerra Santa, la Jihad. Leggetelo bene, quel «Mein Kampf», e qualunque sia la versione ne ricaverete le stesse conclusioni: tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e contro sé stessi viene da quel libro. È scritto in quel libro". La rabbia e l'orgoglio.

La Guerra Santa - "Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente cioè d'apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime
Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci. 
Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà
E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. 
E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri".