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giovedì 18 gennaio 2018

Vittorio Feltri: tra forconi e razza bianca, Fontana ha già vinto le elezioni

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Vittorio Feltri: tra forconi e razza bianca, Fontana ha già vinto le elezioni
Abbiamo capito che il candidato leghista del centrodestra, Fontana, vincerà a mani basse le elezioni e diventerà governatore della Lombardia. La sua battuta sulla razza bianca in estinzione è arrivata dritta al cervello (non alla pancia) dei cittadini che l' hanno pienamente condivisa, nonostante abbia suscitato scandalo negli ignorantoni - politicamente corretti - progressisti. I quali, come ha sottolineato Alessandro Sallusti sul suo Giornale, sono talmente buzzurri da non aver letto la Costituzione che, all'articolo 3, recita: «Tutti hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza (già, di razza), di lingua, di religione, di opinioni politiche». Se per la Carta, adorata dalla sinistra, la razza è meritevole di essere citata, non si comprende perché non possa essere citata da Fontana, cui, malgrado gli insulti ricevuti dai "compagni", vanno le nostre congratulazioni per essere stato schietto e sincero, dicendo quello che ogni persona sensata pensa.
L' invasione degli stranieri è una minaccia per la civiltà occidentale. E va osteggiata, regolamentata, onde evitare che snaturi le tradizioni delle quali siamo depositari.
Ormai il Pd e similari fanno la guerra al vocabolario e trascurano i problemi autentici della società. Siamo di fronte a una prova indiscutibile di imbecillità collettiva. La cosa più paradossale è che i signorini liberal sostengono: le razze non ci sono, e oltre a non leggere la Costituzione trascurano pure di consultare i dizionari di lingua italiana; se lo facessero, scoprirebbero, invece, che tali razze fanno parte della realtà.
Non è un mistero che le persone non sono tutte uguali: bianchi, neri, gialli, rossi costituiscono una umanità varia. D' altronde se esistono i razzisti, significa che esistono le razze. Perché si può dare del razzista a un leghista e poi negare le razze, nonché il diritto di salvaguardare quella bianca? Ma che ragionamento scemo è? Sono in grado di farlo solamente i fessacchiotti di sinistra per motivi polemici senza costrutto. Poiché la gente normale ha più giudizio di chi, per posa, si sbraca sul politicamente corretto (e insulso), è facile prevedere che Fontana trionferà alle urne, essendosi dimostrato in perfetta sintonia con la maggioranza dei lombardi, stanchi morti del piagnisteo buonista e della sgangheratezza delle istituzioni patrie, serve dei migranti e di chi specula su di loro senza requie.
Il candidato governatore deve solo continuare sulla linea della chiarezza, non facendosi intimidire dai tromboni. E all' alba vincerà alla loro faccia di ipocriti. Forza Fontana, siamo con lei.
di Vittorio Feltri

mercoledì 17 gennaio 2018

Berlusconi: "Io non sarò nel governo, farò il suggeritore e vigilerò"

Berlusconi a Matrix: "Con la vittoria dei Cinque Stelle può crollare l'Italia". Fissa gli obiettivi: "FI al 25% e coalizione al 45%"

"Il primo avversario? Un partito pauperista, ribellista e giustizialista che si chiamaCinquestelle". Silvio Berlusconi, ospite di Matrix, il talk show condotto da Nicola Porro, mette nel mirino i pentastellati e lancia un messaggio chiaro agli elettori in vista del voto del prossimo 4 marzo: "È il partito della protesta, della ribellione.







Mi ricorda il partito di un mio amico della Repubblica ceca. Io gli consigliai di fare il partito degli arrabbiati che arrivò secondo e lui diventò premier".

Poi il leader di Forza Italia lancia l'allarme: "Se vincono i Cinque stelle - aggiunge - crolla l’Italia. I grillini sono portatori del vecchio comunismo, non hanno mai lavorato. I Cinque stelle diventa un’agenzia di collocamento per i disoccupati. Non è un partito vero, è una setta. Continuano a cambiare posizione sui vari argomenti, basta guardare Di Maio sui vaccini. Sono persone che non hanno valori nè principi, non sono un partito democratico". 

Il Cvaliere a questo punto fissa l'obiettivo per gli azzurri: "Il 25% dei voti per Forza Italia e il 45% per l'intero centrodestra".

Sugli scenari post-voto, Berlusconi non ha dubbi: "Non faremo il governo insieme al pd. Troppi distanti sui valori e sui programmi. Il centrodestra avverrà maggioranza alla Camera e al Senato. Il premier dovrà essere apprezzato da tutti. Sarà Forza Italia che avrà più voti ad indicarlo". 

Berlusconi parla anche del segretario del Pd, Matteo Renzi: "Ho sperato che potesse essere una novità in una classe politica stantia, poi invece sono rimasto deluso. Oggi purtroppo per lui e anche per noi ha un gradimento del 22%". 

Poi il Cav parla anche dei suoi alleati che lo affiancheranno in questa corsa elettorale verso le urne: "Si tratta di quattro cavalli bravi con esperienza alle spalle e tanto buon senso. Alla fine ci si mette d'accordo anche rapidamente, siamo sulla stessa linea anche sui programmi...". 

Infine sul suo ruolo afferma: "Io non sono candidabile, non sono al governo. Il regista è una parola grossa. Caso mai potrò da fuori suggerire e vigilare che il governo del centrodestra porti avanti il programma che abbiamo concordato".

Migranti, Fontana zittisce le polemiche: "Le razze sono anche in Costituzione"

Il candidato alla Regione Lombardia: "Il termine razza è inopportuno ma è in Costituzione". E sull'accoglienza: "Mi vergogno di vedere i migranti in case abbandonate"


La sinistra si indigna, sbraita e insulta. È la solita ipocrisial radical chic. A farne le spese, questa volta, è Attilio Fontana, candidato governatore alla Regione Lombardia per il centrodestra, fino al centro di una polemica senza fine per aver detto che "la razza biancarischia di estinguersi" perché gli immigrati ci stanno invadendo (guarda il video).










"Io ammetto di aver usato una espressione inappropriata - ha commentato oggi in una intervista a Tgcom 24 - però dobbiamo cambiare anche la Costituzione perché è la prima a parlare di 'razze'". Fin dall'inizio l'ex sindaco di Varese ha detto di aver usato "un'espressione inopportuna". Però, il principio rimane: l'invasione degli immigrati, che dall'Africa continuano ad arrivare in Italia, rischia di annientare la nostra cultura e la nostra identità.
Fontana non ci sta a passare per razzista. Perché non lo è. La sinistra lo dipinge così per un mero calcolo elettorale. Ma la sua storia dice il contrario. Non è affatto un estremista. "Purtroppo non sono giovanissimo - spiega a Tgcom 24 - ho una storia che parla in questa direzione. Se fossi come mi hanno dipinto, avrei dovuto dimostrarlo in qualche modo, non potevo mistificare la mia realtà". E a chi lo accusa di non essere un moderato, replica seccato: "Credo di poter dire con grandissimo orgoglio di essere rispettosissimo di tutti e di chi ha bisogno. Varese in questi anni ha fatto molto per le politiche sociali, più di molte città di sinistra". Anche nell'intervista rilasciata ieri a Radio Padania il candidato al Pirellone voleva evidenziare che "un discorso lasciato al caso rischia di essere devastante""Io, da cittadino italiano - rimarca oggi - mi vergogno di vedere immigrati che vivono nella case abbandonate o costretti per sopravvivere ad entrare nella malavita".
Fontana si pone come garanzia di continuità a Palazzo Lombardia e come argine alla possibilità che l'avvento della sinistra possa "smantellare" quanto fatto negli anni di "buon governo" del centrodestra. Dopo due mandati come sindaco di Varese, aveva ricominciato a lavorare nel mio studio da avvocato. Ha detto di "sì" a Matteo Salvini "perché - spiega lui stesso - l'amministrazione e la politica sono malattie dalle quali è difficile guarire""Credo che il buon governo (di Roberto Maroni) debba essere riconfermato", insiste il leghista spiegando che, oltre all'accordo con il governo sull'autonomia, i due temi che ha intenzione di implementare sono i finanziamenti alla ricerca e l'estensione del provvedimento "nidi gratis" ad altre fasce sociali.

Filippo Facci, il rischio estinzione della razza bianca è reale: ecco i numeri che lo dimostrano

Filippo Facci
La frase «la razza bianca è a rischio» è sbagliata solo tecnicamente, nel senso che il concetto di «razza» non ha più un fondamento scientifico e si parla soltanto di differenze tra etnie umane e di diverse classificazioni antropologiche dell’Homo sapiens sapiens. Dopodiché Attilio Fontana, leghista e candidato governatore della Lombardia, può scegliere se ribadire, correggere o rettificare la frase che ha generato il vespaio: «Dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate». Può scegliere per ragioni politiche o d’altro tipo, a noi interessa relativamente, ma su una cosa non c’è dubbio: sul merito ha ragione. Ha tecnicamente ragione, sia per l’Italia che per l’intera Europa. 
Si può discutere di tempi e proporzioni, ma che sia in atto una sostituzione lo dicono i numeri. Cominciamo dall’Italia. Dal 2008 al 2016 mezzo milione di italiani si sono trasferiti all’estero per lavoro, mentre molti più stranieri immigrati (regolari e non) li hanno frattanto sostituiti qui in Italia. Il primo dato è stato reso noto l’anno scorso dal rapporto “Il lavoro dove c’è” presentato a Roma dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro: gli italiani si sono spostati soprattutto in Germania (20mila nel solo 2015) e Gran Bretagna (19mila) ma anche Francia (oltre 12mila). A complicare il calcolo c’è che non sono stati solo gli italiani ad abbandonare la penisola: tra il 2008 e il 2016 anche 300mila cittadini dell’Est Europa sono tornati in patria, e questo perché trasferirsi da noi «non era più giustificato dai redditi da lavoro percepiti». C’è di che pensare.
Ma passiamo al secondo dato, quello sul numero di immigrati presenti in Italia dal 2008, dato peraltro di non facile computazione: Istat, Eurostat, Ministero dell’Interno, Ismu e molte altre fonti hanno il loro daffare nel distinguere tra migranti regolari o irregolari, clandestini, rifugiati, richiedenti asilo, profughi, apolidi, sfollati o altre categorie. Però c’è una certezza: costoro sono molti di più dei 509mila italiani che hanno lasciato il Paese.
La sostituzione è tutta qui, anche se non ha equivalenza per status lavorativo: le “occupazioni” degli italiani che vanno all’estero e quelle degli stranieri che vengono in Italia sono decisamente differenti tra loro. In Italia, infatti, è in atto non solo una sostituzione, ma anche una “proletarizzazione” fondata sui famosi mestieri che gli italiani non vogliono più fare, sia legali sia illegali. Insomma, gli occupati stranieri continuano a crescere e quelli italiani invece decrescono: +22.000 i primi rispetto al 2012, -501.000 i secondi nello stesso periodo.
Un altro dato interessante sarebbe quello della scuola: gli alunni con cittadinanza non italiana sono in crescita e ora sono circa 9 per cento della totalità gli studenti.
I MORTI SUPERANO I VIVI
Se i dati del nostro Paese non bastassero (o risultassero troppo intossicati dalla campagna elettorale) si può tornare ai dati del 2015 secondo i quali, attenzione, i morti in Europa hanno superato i vivi: ed era la prima volta che succedeva da quando l’Eurostat nel 1961 si incaricò di contare gli uni e gli altri. Per farla breve: nel 2015 sono nate 5,1 milioni di persone e ne sono morte 5,2 milioni, eppure la popolazione europea è complessivamente aumentata, cioè è passata da 508,3 milioni a 510,1 milioni. Che cosa non quadra? Ovvio, gli immigrati. Sono aumentati (circa 2 milioni in un anno) mentre gli europei residenti lentamente diminuivano, o, per dirla male, alla Attilio Fontana, ci si rese conto per la prima volta che era in atto una sostituzione.
Lenta finché volete, ma c’è. Forniamo qualche altro numero, così, anche solo per curiosità: l’Italia è notoriamente il Paese europeo in cui nascono meno bambini (tasso di natalità dell’8 per mille) mentre nel Nordeuropa ci danno dentro di più: Irlanda 14 per mille, Francia e Gran Bretagna 12, Portogallo 8,3, Grecia 8,5.
In Italia l’anno scorso sono morte circa 650mila persone, ma il nostro tasso di mortalità (10,7) non è lontano dalla media europea che è di 10,3. Poi ci sono Paesi come la Bulgaria (15,3) e la Lettonia e la Lituania (14,4) dove si schiatta molto di più. La Germania ha 82 milioni di persone, la Francia 66, la Gran Bretagna 65, l’Italia 60. Non ci fosse la sostituzione di cui andiamo parlando, il caso europeo sarebbe un esempio quasi perfetto di controllo delle nascite: più morti che vivi sarebbe una buona notizia in un Pianeta brulicante e bisognoso di sempre nuove risorse. E gli immigrati, come detto, dovevano impiegarsi nei famosi lavori che gli europei non vogliono più fare: indirettamente ci avrebbero anche pagato le pensioni, quasi fossero una sorta di popolo di ricambio.
IL PREZZO DELL’ACCOGLIENZA
La realtà si è rivelata diversa. Molti immigrati (non stiamo enumerando quelli irregolari) mandano i soldi rigorosamente nel Paese d’origine e li sottraggono al ricircolo economico, programmando peraltro di andare a svernare nella terra dei loro natali quando l’età della pensione l’avranno raggiunta loro; alcuni - soprattutto orientali - tengono in piedi autentiche economie parallele che sono impermeabili o quasi alla nazione che li ospita, e soprattutto al fisco. Questo per quanto riguarda gli immigrati più fisiologici e maggiormente integrati, e lasciando da parte l'ampia parte che lavora in nero per una ragione o per un’altra.
Poi c’è un’altra copiosa parte di immigrati (certo non solo profughi o rifugiati) che produce poco o nulla e si candida a impossessarsi dello status che tanti europei non possono più avere: quello degli assistiti, dei mantenuti, epicentro di un neo-welfare che in tutta Europa deve fronteggiare i bisogni e le emergenze di ondate ingestibili di migranti.
C’è infine una terza categoria di immigrati, purtroppo: quelli che si muovono da un Paese all’altro con l’intento specifico di ingrossare attività criminali (sappiamo quali: molti europei non vogliono più fare neanche quelle) oppure che finiscono per caderci dentro per forza di cose, grazie a quelle autentiche scuole di formazione che le carceri rappresentano: gli immigrati, come è noto, sono in crescita anche lì, e di conseguenza anche i loro costi di mantenimento.
Ecco, i numeri e le spiegazioni che Eurostat dovrebbe fornire - non che sia facile - sono anche queste: che cosa fanno questi due milioni di immigrati neo europei, sino a che punto rappresentano una risorsa e quanto invece un “costo” economico e sociale non affrontabile all’infinito. Quanti, poi, sono in galera, quanti dovrebbero starci, e quanto, ancora, potrà durare l’autoctona e demodé “popolazione europea” propriamente detta. È una buona domanda, ma durante una campagna elettorale italiane è proibito porsela.
di Filippo Facci

martedì 16 gennaio 2018

Anche Occhetto rivaluta il Cav: "Da lui capolavoro politico"

Amarcord dell'ex segretario del Pds che ora ammette l'abilità di Berlusconi alle elezioni politiche del '94


Benvenuto Occhetto. Dopo la Merkel, Scalfari, Emmott dell'Economist, Le Monde, tempio dei radical chic francesi, si allunga la lista dei ravveduti sulla via di Arcore.







Quelli che il «caimano» in fondo poi non è così male. O almeno sempre meglio dei grillini. Nonostante gli anni di militanza barricadera e in alcuni casi prezzolata tra le fila dell'antiberlusconismo più truce.
E chi meglio di Achille Occhetto, a pensarci bene, poteva rivalutare e ammettere le capacità politiche di Silvio Berlusconi. Proprio lui che alle elezioni politiche del 1994 vide sfumare sul più bello il sogno degli ex comunisti al potere. 
Occhetto, l'ultimo segretario del Pci, traghettatore della «svolta della Bolognina», capo del Pds e infine leader sconfitto della «gioiosa macchina da guerra». L'ammenda del vecchio compagno è contenuta nel libro «Respubblica», uscito da poco in libreria per Castelvecchi, del giornalista e scrittore Giampiero Marrazzo. 
Un viaggio nella prima Repubblica attraverso interviste esclusive ad alcuni protagonisti di quella stagione. Da Ciriaco De Mita a Emanuele Macaluso, da Claudio Signorile a Paolo Cirino Pomicino, fino a Ugo Intini e, appunto, Achille Occhetto. Quest'ultimo dice, parlando del suo tonfo del '94: «L'elemento che ha determinato la nostra sconfitta fu la capacità di Berlusconi di mettere insieme il populismo montante, determinato dalla rabbia suscitata da Mani Pulite, incarnato poi da due suoi alleati, Msi e la Lega, con i maggiori responsabili della Prima Repubblica».
Insomma, l'abilità di coalition-maker riconosciuta al Cavaliere un po' da tutti anche in questa campagna elettorale. Ma, Occhetto, che nell'intervista per «Respubblica» prova ad autoschermarsi con le accuse di «populismo», va comunque oltre e definisce l'operazione berlusconiana del '94 come «un capolavoro politico». Un'impresa, quella del centrodestra di allora, che costò la carriera politica al segretario del Pds, talmente sicuro di vincere da non badare nemmeno all'abbigliamento durante il famoso primo «braccio di ferro» televisivo condotto da Enrico Mentana, rimasto nella storia per la brillantezza del Cavaliere e l'insignificante completo marrone indossato da Occhetto. Che poi divenne simbolo, lui e l'abito, di una sinistra traumatizzata dall'inaspettata e secca vittoria del Polo.
L'«assalto al Palazzo d'Inverno» dei post-comunisti era stato preparato da Mani Pulite e dal conseguente azzeramento per via giudiziaria dei partiti della Prima Repubblica, Pci escluso. L'ex segretario è revisionista anche su questo punto: «Poi, che la loro attività (del pool di Milano ndr), così ficcante e più forte di quanto la magistratura italiana sapesse fare, possa essere stata facilitata anche da interventi esterni che gli hanno messo sul piatto i dati, non è da escludere. In particolare da chi aveva intenzione a svolgere una qualche funzione destabilizzatrice».
Prosegue Occhetto, incalzato da Giampiero Marrazzo: «Mani Pulite ha comunque rappresentato una difficoltà per la svolta ragionata...». E un'altra ammissione sui finanziamenti erogati da Mosca al Pci: «Esistevano e sono stati chiaramente dichiarati». Il leader della fu «gioiosa macchina da guerra» ritratta ancora sulle elezioni del '94: «Non avremmo potuto vincere perciò non mi sono candidato a premier, se avessero retto i popolari avremmo portato Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi». E invece ci andò Berlusconi, forte di quel «capolavoro politico» ammesso anche dall'ennesimo avversario.