Il Natale, che
dovrebbe essere un importante momento di “raccoglimento”, e’ diventato da
tempo la più grande di tutte le “farse”. E’ la festa dello “spreco”, del “superfluo”,
della “ipocrisia”. In pochi riescono a sfuggire a questa convenzione sociale
del tutto “pagana”, mentre dovrebbe essere la festa della “cristianità” per
eccellenza. Il problema non sono i “regali” in sé, ma tutte le
complicazioni che questa mentalità dello “sperpero” ci ha imposto. Che regalo
fare, dove andare a prenderlo, quanti soldi spendere, quante ore di coda…..
Senza considerare l’imbarazzo che si crea quando se ne riceve uno di cui non si
ha assolutamente bisogno o che, semplicemente, non ci piace. Vogliamo parlare
di quei bambini che, dopo aver ricevuto in un quarto d’ora i regali “che si dovrebbero ricevere nell’arco dei primi
diciotto anni di vita”, riempiono di “allegria” natalizia la casa con dei
“laceranti
pianti isterici” perche’
voleva un giocattolo diverso?
Non c’e’ nulla di male
scambiarsi regali il giorno di Natale, ne’, in fondo, di avere il piacere di
fare il presepe (per chi ancora lo fa), addobbare l’albero, porte e finestre. Fa
parte dei nostri usi, delle nostre tradizioni. Lo si e’ sempre fatto. Ma
rendiamoci conto che “abbiamo passato il limite”
tappezzando intere città (e soprattutto interi centri commerciali) di fiocchi
di plastica, di luci decorative già dall’inizio di
Novembre. E’ pazzesco! Non e’ decisamente troppo in anticipo? Ma chi l’ha deciso?
Il fatto d’iniziare a parlare di Natale due mesi prima riduce l’intensità della
gioia e della “magica” atmosfera che si dovrebbe provare durante le feste. Ma
per fortuna “sembra” che sia iniziato il “rigetto” a questo “sfrenato”
ed “insensato”
consumismo: quest’anno le vendite non saranno ai livelli degli anni
precedenti. Ma sarà vero? Sarebbe un buon
segnale. In questo modo riusciremo forse a ridare il giusto valore non solo ai
“doni”, ma al Natale stesso per quello che
rappresenta a livello religioso. Ci aiuterà a capire che lo scambio del dono
dovrebbe essere un piacere, un gesto spontaneo, non una forzatura. Dovrebbe poi farci ricordare dei poveri
soli e’ abbandonati, per lo piu’ anziani, che ogni giorno sono sempre di piu’.
Visitate una qualsiasi casa di riposo e vi accorgerete quanti ce ne sono. Non
e’ di “moda” oggi parlare dei poveri. Eppure sappiamo tutti quanto sia grande il
dramma della povertà nel mondo. Per noi cristiani dovrebbe essere uno “scandalo”
insopportabile. E se la povertà e’ uno scandalo, oggi lo e’ in maniera “imperdonabile”.
Nella storia umana, infatti, non ci sono mai stati tanti poveri come oggi,
eppure mai il mondo e’ stato così ricco. Gesù
usava il termine “fratello” solamente riferendosi ai “discepoli”
e ai “poveri”
e disse: “Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto
a me”. A che serve la tavola sovraccarica di tanto ben di Dio quando
c’e’ chi patisce o muore di fame? Cominciamo a “saziare” gli affamati,
soprattutto quelli bisognosi di “affetto” perche’ soli ed abbandonati e poi, quello che ci
resterà, sarà piu’ che sufficiente.
In un brano del
Vangelo di Matteo Gesu’ dice: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare”
e in una parabola e’ stato detto: “i poveri hanno bisogno della parola e non solo di
aiuto: date col pane la vostra parola…” Si, c’è bisogno di parole e di amicizia
e così il povero lo sentiremo nostro
familiare, un familiare che si trova nel bisogno. Certo i poveri non sono “attraenti”,
anzi normalmente “imbarazzano”. E spesso accade che allunghiamo il passo quando
vediamo un povero che chiede aiuto. Eppure i poveri devono essere il
“metro di giudizio” della civiltà che abbiamo creato. Avere vera
attenzione dei poveri, non come si fa con i mendicanti cui si getta una
monetina pensando di mettere a posto la propria coscienza, significa vedere nel loro volto quello di Gesu’. E’, infatti, nei
poveri, nelle loro concrete storie, che Gesu’ si e’ identificato. E’ ai poveri
che Gesu’ ha rivelato cose che ha taciuto ai sapienti e ai potenti della terra.
Infatti Gesu’ conosce i poveri “per nome”, come si legge in una parabola:
“….il
Signore narrando di un povero e di un ricco, dice il nome del primo e tace
quello dell’altro, se non per dimostrare che Dio conosce gli umili ed e’ vicino
a loro, mentre non riconosce i superbi”. I poveri sono “fratelli” come li
considerava Gesu’. Ecco perché cristiani sono coloro che hanno “un
povero per amico” e non ambiscono all’amicizia dei potenti, dei ricchi,
belli e famosi. Si, essere “cristiano” vuol dire dare amicizia ad un “povero” e invitarlo spesso a
tavola soprattutto a Natale. Questa sarebbe la maniera per festeggiare “cristianamente”
la nascita del “povero” di Betlemme”.