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martedì 8 ottobre 2013

Globalizzazione: Ultima Fregatura Per i Poveri


 Fausto Sangiorgi per l'Ass.ne "LA TUA MANO PER LA PACE"

 
Tempo fa, scrissi sulla mia agenda questo pensiero: "Il capitalismo si gloria per la caduta del comunismo, ma non sa che dovrà cadere anche lui, per ritrovarci tutti in un solidarismo". Riflettendo spesso su questo pensiero mi sono reso conto che un pò di verità c'è e che la globalizzazione dell'economia , della finanza, della cultura, dei servizi, del Mondo e di tante altre realtà sta preparando il terreno perché ciò si verifichi nella realtà. La globalizzazione e l'Europa delle Nazioni, che sta nascendo, spinge alla concentrazione e centralizzazione di tutto. Per affrontare le nuove sfide del mercato e della concorrenza stiamo assistendo a concentrazioni e fusioni di varie società che diventano sempre più grandi, sia in termini di potere finanziario sia economico e culturale. Si stanno cioè creando delle multinazionali con bilanci e mezzi finanziari stratosferici che avranno un potere di influenzare le scelte dei politici e dell'economia mondiale. Anche le mafie di tutto il mondo si stanno organizzando e coordinando fra di loro, per meglio svolgere i loro affari criminosi e di corruzione. Globalizzazione, ristrutturazione, razionalizzazione, centralizzazione, ecc. sono le parole che sentiamo citare sempre più spesso dai mass media e da chi detiene il potere politico-economico.
I risultati più eclatanti di questa politica sono:
1) licenziamento di migliaia di lavoratori
2) scomparsa della classe media e divario sempre più grande fra ricchi e poveri
3) scoppio di guerre etniche e religiose, con conseguente emigrazione di migliaia di persone verso i paesi ricchi, come ultima speranza di salvezza e per non morire di fame.
4) un rafforzamento della società dell'ego, che a parole parla di solidarietà, ma che nei fatti la pretende dagli altri.
5) le nuove tecnologie, dall'informatica alla robotizzazione, alla biotecnologia, non aiutano, anzi, producono sempre più squilibri rendendo l'uomo inutile o sempre meno importante per il ciclo produttivo.
Molti economisti e politici decantano i fatti positivi della globalizzazione, che tutti conoscono, e che anch'io condivido dal punto di vista teorico, credere però che la globalizzazione porterà a sconfiggere la povertà, la disoccupazione ecc. ecc, per creare un mondo di pace e solidale è un'utopia che non credo possibile e che non mi sento di sostenere.
Questa politica economica darà sicuramente dei risultati nell'immediato, ma nel medio lungo termine le cose cambieranno. Per chi sa guardare avanti, e agli sviluppi possibili, si rende conto che andiamo verso un disastro economico-finanziario di vastissime proporzioni e sicuramente globale perché la globalizzazione generalizzata e senza regole, sarà dominata dalle multinazionali e da chi detiene il potere finanziario di immensa liquidità che può spostare da un paese all'altro spingendo un semplice tasto su una tastiera di un computer. Le ragioni di questo sentire nascono dal fatto che non credo nella conversione dei ricchi alla solidarietà concreta, l'esperienza mi insegna che chi possiede molta ricchezza, difficilmente ha anche etica e fa scelte per il bene comune. Possiamo già vedere le prime avvisaglie di questa prossima realtà, ci basta osservare cosa sta accadendo nei mercati finanziari di tutto i mondo e nei paesi del sud-est asiatico: la Russia, Corea del Sud, Indonesia, e molti paesi dell'Africa sono sull'orlo del fallimento e morosità del debito estero. L'effetto domino si sta propagando agli altri paesi dell'area e ai paesi del Sud-America. Il debito estero sta strozzando le economie in espansione di tutti questi paesi che hanno perso il potere contrattuale e sono alla mercè dei creditori e degli Stati più forti che impongono condizioni capestro per dilazionare il debito e fare altri crediti. Questi paesi sull'orlo della bancarotta sono costretti ad immettere sul mercato sempre maggiori quantità di materie prime di cui sono molto ricchi perché è l'unico loro mezzo per pagare i debiti con la conseguenza di riduzione drastica dei prezzi. La maggior parte del prodotto interno lordo viene utilizzato per pagare gli interessi del debito estero con la conseguenza che non ci sono più risorse per lo sviluppo. I paesi ricchi comprano le materie prime a costi sempre più bassi e rivendono tecnologia ad alto valore facendosi pagare in valuta. E' diventato un circolo vizioso senza sbocchi con conseguenze ben immaginabili. Per quanto tempo sarà ancora possibile vivere alle spalle dei più deboli? Gli strateghi della globalizzazione presentano questa nuova realtà come un mezzo di sviluppo e ricchezza per tutti, ma la verità è un'altra, hanno cioè intravisto una possibilità per smerciare i propri prodotti e continuare a sfruttare le immense risorse di materie prime e di mano d'opera a bassissimi costi di questi paesi chiedendo e imponendo la liberalizzazione dei mercati, dei servizi ecc. ecc. La globalizzazione viene inoltre presentata dai mass media come l'età dell'oro per tutti, ma nella realtà è solo un modo per continuare a sfruttare i più deboli e per soddisfare i propri interessi egoistici. La maggioranza della popolazione del Terzo Mondo, saranno i nuovi schiavi dei paesi ricchi, qui sta la grande fregatura per i poveri.
Alcuni economisti saggi hanno già individuato soluzioni alternative, ma dubito che ciò accadrà e allora tutti saremo travolti da questa possibile e reale fattispecie che avrà come conseguenze: forti tensioni economico-finanziarie e politiche che metteranno a dura prova la stabilità di molti paesi con il pericolo di ricorso alla forza, licenziamenti in massa e disoccupazione a due cifre. Per sopravvivere, assisteremo ad una invasione di migliaia di persone che busseranno alle frontiere dei paesi ricchi perché hanno fame e sete e non gli importerà molto di morire perché non avranno nulla da perdere. Già oggi questo problema è reale e lo sarà sempre più se non si prenderanno dei provvedimenti per una vera e reale solidarietà.
La società dell'avere e dei controvalori, prenderà coscienza di questa realtà emergente, solo quando sarà caduta. La fregatura per i poveri di tutto il Mondo, è la strategia ben confezionata dai ricchi e da guru dell'ipocrisia e della menzogna per continuare a vivere nell'opulenza e alle spalle dei più deboli. Si stanno creando le condizioni per una nuova rivoluzione: "La rivoluzione dei poveri"
Questa rivoluzione è già incominciata, sarà purtroppo violenta per colpa dei ricchi e di proporzioni globali. Questo è il futuro prossimo, ma quante lacrime dovranno ancora scorrere su questa terra, prima che l'uomo prenda coscienza che siamo tutti fratelli, che dobbiamo amarci ed essere solidali fra di noi come Dio ci ha chiesto?
 
 

Berlusconi forse uscira' di scena, ma la sua eredita' no

 


Marco F. Cavallotti
Lunedì, 07 Ottobre 2013
Contrariamente a quello che si sta proclamando da più parti, il berlusconismo non è morto, se per berlusconismo non vogliamo riferirci semplicemente all'uomo Berlusconi, vittima di una strategia di attacco che di "politico" in senso stretto ormai ha ben poco. Il berlusconismo, anzi, ha fatto prevalere a livello nazionale uno stile ed una concezione della politica - ad esempio, l'idea della necessità di un leader, una certa propensione ad evitare le eccessive "mediazioni della politica" con una corrispondente spinta verso "le piazze" e verso "la gente", tutte cose che in fondo appaiono ragionevoli reazioni al partitismo imperante del periodo precedente -; e ha dato forma in Italia ad una tendenza generale delle democrazie a cavallo fra XX e XXI secolo, quella alla personalizzazione della politica, che è arrivata fino alla creazione di vere e proprie "dinastie repubblicane" - come negli USA per citare l'esempio più evidente e clamoroso. Sono tratti caratteristici che ormai in buona parte appaiono propri anche dello stesso principale contendente da "sinistra" di Berlusconi, il giovane Renzi: non voler tenere conto di questa realtà è un tratto tipico di buona parte della cultura politica nazionale, formatasi sostanzialmente nella stessa temperie di quella che commise un analogo errore nell'immediato dopoguerra: non ha mai saputo e voluto fare i conti con un passato che pure ha improntato di sé molti tratti del presente.
Il carattere vincente e insieme il limite del berlusconismo "berlusconiano" – certi tratti del berlusconismo sono diventati generali, come si è visto, e corrispondono a una tendenza internazionale – sta nella sua stessa ragione fondativa: la chiamata alle urne e l'unione di tutti coloro che non avrebbero mai voluto al potere un partito postcomunista e le sue frange. Così fu inaspettatamente sconfitta la "gioiosa macchina da guerra" di Occhetto.
Su questo schema in pochi mesi si formò un analogo opposto schieramento. Due schieramenti che avevano in comune poco più che il contrasto con l'avversario, e che svilupparono ben presto un odio manicheo e tremendamente superficiale, visto che ogni polo, in casa sua, manteneva senza risolverle una serie infinita di posizioni contrastanti e di contraddizioni.
Così in nome dell'anticomunismo hanno polemizzato e si sono battuti insieme (almeno in parte e con varia convinzione) postfascisti, liberali, postdemocristiani, cattolici in libertà, ex-radicali e socialdemocratici; e in nome di una sinistra variopinta e vaga come poche altre volte – eredi del Pci, figliocci della sinistra Dc, radicali di sinistra, verdi e verdi-rossi –, il centrodestra con Berlusconi in più, visto che esso era cresciuto intorno a un capo carismatico. Ma si tratta di schieramenti che spesso agitano bandiere le quali, oltre ad essere scarsamente compatibili, sono anche vecchie e superate dalla storia, offrendo per i problemi d'oggi soluzioni e prospettive ormai davvero improponibili.
Insomma, abbiamo due formazioni composite, potenzialmente pronte allo scontro al loro interno, che vivono un bipolarismo tutto basato su una contrapposizione paradossalmente immobilizzante proprio per la logica con cui si sono formate.
Con questo non voglio dire che non esista più il “comunismo” – come un po' pittorescamente, ma con sicuro effetto evocativo, lo chiama Berlusconi. Anche ammettendo che una svolta ci sia stata con la caduta di Bersani e con la liquidazione di buona parte della sua generazione, formatasi nel Pci, non esiste più solo se non si vogliono trovare le sue tracce nello statalismo esasperato che si nasconde in molte prese di posizioni sindacali, in una concezione della Giustizia del tutto particolare e settaria, nell'odio pregiudiziale per il “privato” e nella predilezione per il pubblico anche quando si rivela rovinoso e a volte perfino banditesco, come si è visto nella “battaglia per l'acqua pubblica”; nell'avversione ideologica verso le “partite iva”, verso la libera imprenditoria, verso il merito non egualitario... Ma propensioni ed atteggiamenti analoghi hanno potuto riscontrarsi anche nelle file del centrodestra, ed hanno spesso prevalso sulle componenti vagamente liberali o liberiste presenti nel Pdl.
Berlusconi non ha potuto né saputo risolvere queste contraddizioni, come non c'è riuscito alcun altro, sull'un fronte o sull'opposto. La mancanza nel loro seno di un confronto serio e di un dibattito aperto ha portato al rischio di esplosione in entrambi i fronti.
Ci sarebbe da augurarsi che la situazione si chiarisca in una discussione generale... mentre Letta continuerà ancora per qualche mese a tessere piccoli compromessi ed a lanciare grandi annunci sotto gli occhi benevoli di chi confonde la stabilità con l'immobilismo e la putrefazione. È una discussione che aspettiamo da oltre mezzo secolo, e forse questo potrebbe essere il momento buono. Ma proprio i molti e complessi legami che soprattutto la sinistra ha stretto nella sua corsa al potere con organi dello Stato, con molti media e con buona parte della grande imprenditoria superstite in Italia, renderanno il processo difficile, lento e impacciato. Tanto da far temere che ancora una volta, da quella parte, non si possa cominciare davvero a cavare gli scheletri dagli armadi.

lunedì 7 ottobre 2013

Pirro a Palazzo Chigi

 

   
 

Gianni Pardo
Domenica, 06 Ottobre 2013
Potrebbe. Ma non è detto che lo sia. La crisi che abbiamo appena attraversato somiglia allo scontro professionale di alcuni medici che si affannano intorno al letto di un illustre malato: “Va curato in questo modo, no, va curato in quest’altro modo”. E quando alla fine si accordano e tutto pare calmarsi, non per questo il malato sta meglio. Non sappiamo se la cura comincerà e ancor meno sappiamo se sarà efficace. L’Italia è lo stesso organismo tetraplegico di prima, con la stessa prognosi infausta. L’ottimismo solenne con cui si cerca di anestetizzarci impera soltanto perché la sinistra è al governo e i giornali la sostengono a prescindere. Ma ciò non cambia i fatti.
Trascurando le sfumature intermedie, gli scenari sono due: o questo governo compie il miracolo di rilanciare l’economia e di uscire dalla recessione, o si realizzano le peggiori previsioni. Nel primo caso - che ci auguriamo tutti - il Pdl si intesterà il merito dell’impresa, a pari titolo col Pd. Se invece si verificherà l’ipotesi negativa - una recessione senza fine o perfino il default e lo “scoppio” dell’euro - la colpa sarà data al Pd ed anche al Pdl ma con la significativa eccezione di Berlusconi e dei suoi “falchi”. Questi potranno sempre dire che il governo Letta non esprime la loro volontà ma soltanto quella del Pd e dei “traditori”: di coloro che si sono imposti al Pdl ed hanno fallito, mentre loro, i falchi,  avrebbero salvato il Paese. Quando serve, posano tutti a profeti del passato. Con un nuovo governo avrebbero impedito a Letta di fare tutti i danni che ha fatto e forse nei fiumi sarebbe scorso latte e miele.  Naturalmente in queste affermazioni ci sarebbe molta demagogia, ma in politica ciò è normale. Forse che il Pd, genuflettendosi dinanzi alla “stabilità”, non era pronto a dare al Pdl la colpa delle nostre difficoltà economiche, se il governo fosse caduto?
In politica l’attacco feroce all’animale ferito è la regola. Alfano e i suoi amici hanno cinicamente approfittato della buona occasione per esautorare il leader, e se domani gli andasse male i “lealisti” ne approfitterebbero cinicamente, a loro volta,  per dargli la colpa del disastro nazionale. Un Capezzone, una Santanché, un Brunetta direbbero certamente: “Noi l’avevamo previsto”. “Noi l’avremmo evitato”. “La colpa è vostra”.
Se sarà ancora in politica, in questo futuro Berlusconi cadrà sempre in piedi: o come socio del governo vincente o come oppositore del governo perdente. Tutto ciò perché ha avuto la cinica genialità di farsi ridere dietro concedendo la fiducia a quel governo che voleva in ogni modo far cadere. Letta lo ha dato per morto troppo presto.
Ma questa è solo politica, ciò che importa è la salute del malato: e qui non c’è da gioire. Il governo ha davanti a sé un compito semplicemente impossibile. Molti dicono che dovrebbe investire nell’occupazione, che dovrebbe rilanciare l’economia e fanno finta di dimenticare che questa operazione richiede denaro. Non solo lo Stato non ha i soldi per fare tutto ciò, ma è costituzionalmente inadatto a salvare l’economia. Qualcosa in più potrebbe ottenere se, invece di parlare di “investire nell’occupazione”, tagliasse drasticamente le imposte sulle imprese. Perché sono i privati che assumono i lavoratori. Ma per tagliare le imposte lo Stato dovrebbe essere in grado di fare a meno di quel gettito e oggi ciò gli è assolutamente impossibile. Fra l’altro, nella mentalità corrente c’è eventualmente la tendenza opposta: quella ad aumentarle le imposte alle imprese, come s’è visto quando s’è parlato di evitare l’assurdo aumento dell’Iva o di eliminare l’Imu. E come forse si vedrà in futuro.
In Italia non si vuole avere nessuna nozione della curva di Laffer per cui, a partire da un certo livello di pressione fiscale, il gettito diminuisce invece di aumentare. Semplici ovvietà ignote alla maggioranza degli italiani. Tutti chiedono l’impossibile al governo e nel frattempo gli vietano quei provvedimenti che potrebbero migliorare la nostra economia. La situazione è senza uscita e l’ottimismo ufficiale è una moneta falsa. C’è da trasecolare sentendo parlare di “primi segni di ripresa”. Ma forse è meglio così. Se proprio bisogna andare a sbattere, tanto vale guardare di lato il panorama, e non la roccia verso cui si corre.
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domenica 6 ottobre 2013

La Costituzione e la legge e' uguale per tutti, ma non per Berlusconi


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