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sabato 12 maggio 2018

Il "pop corn" di Matteo non è uno scherzo. Il Pd pronostica un Titanic

Renzi conosce i conti e prevede il naufragio economico M5s Lega. Promesse inattuabili

Il pop corn di Matteo Renzi è, come vuole il rito, associato a un film. Ma il soggetto non è il tira e molla su governo, premier e programmi che in questi giorni sta impegnando la coalizione giallo verde.







Anche se lo spettacolo effettivamente vale già molto. La pellicola alla quale l'ex premier ed ex segretario Pd sicuramente pensa e forse spera di assistere è un Titanic dei conti pubblici che, se il suo copione verrà rispettato, farà naufragare il governo di Matteo Salvini e Luigi di Maio.
Nell'arena estiva che si estende tra Palazzo Chigi, via XX settembre, il leader di fatto del Partito democratico immagina di rivedere tutti gli ostacoli che, quando era al governo, gli hanno impedito di fare quello che voleva, come voleva. Assisterà, da una comoda poltrona, alla caccia di risorse per evitare gli aumenti dell'Iva. A lui toccò e alla fine nella sua legge di Bilancio non restarono che briciole per lo «sviluppo».
Il nuovo esecutivo, se nascerà, dovrà subito staccare un assegno da 15,4 miliardi. È la somma delle famose clausole di salvaguardia. Un'assicurazione su una copertura ballerina sotto forma di aumento di accise e Iva. Stangata sui consumi che gli ultimi tre governi hanno evitato, rinviandolo di anno in anno. Poi le spese indifferibili, già contabilizzate nel Def.
Renzi sa bene che un governo di outsider, come quello di Lega e Movimento 5 stelle, potrebbe dovere affrontare la richiesta di una manovra extra. Anche perché è il risultato di scelte del suo governo. La richiesta di una correzione dei conti non è avvitava in primavera come si temeva, ma il conto da 3,5 miliardi potrebbe tornare in autunno.
Ma non è solo questo lo spettacolo al quale Renzi conta di assistere insieme ai suoi sostenitori, con il barattolo di pop corn in mano. Se il governo partirà - e Renzi spera sia così - presto dovrà fare i conti anche per il 2020, con altri 19 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare. Poi la spesa per investimenti.
Il governo Gentiloni e quindi il ministro Padoan, hanno previsto che diminuisca e si stabilizzi. Peccato che il Quantitative easing di Mario Draghi il prossimo anno sarà verosimilmente scomparso. E con lui, una lunga stagione di bassi tassi di interesse. Quindi nel 2019 più spesa per interessi da coprire.
Ma Renzi, ben consigliato dai suoi fedelissimi esperti di conti pubblici e anche dall'attuale ministro dell'Economia, sa anche che il prossimo governo avrà un surplus di conti da pagare. Le promesse elettorali non possono essere ignorate, sopratutto dopo una campagna elettorale come questa.
Ieri il sito di Bloomberg ha dedicato la notizia di apertura al «buco» nei conti pubblici che potrebbe aprire il governo M5S-Lega. E ha ricordato il costo delle promesse elettorali. Dai 15 miliardi di euro per cancellare la riforma Fornero delle pensioni, ai 40 miliardi per la flat tax, al reddito di cittadinanza, 17 miliardi. Al di la delle cifre, il servizio dell'importante agenzia stampa Statunitense dimostra come il governo Giallo Verde si vedrebbe stretto tra due fuochi. Da una parte l'opinione pubblica che fa pressione, dall'altro le preoccupazioni dei mercati internazionali e le pressioni dell'Ue.

Il giudice riabilita Silvio, l’ex Cavaliere è di nuovo candidabile

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Focus
Se fallissero le trattative per un governo Lega-M5S e si tornasse alle urne, Berlusconi avrebbe il diritto di presentarsi alla Camera o al Senato. Di nuovo candidabile. Da ieri. I giudice del tribunale di sorveglianza di Milano hanno concesso, con un mese di anticipo, a Silvio Berlusconi la “riabilitazione”. Una decisione – scrive il Corriere della Sera in edicola oggi – che di fatto cancella tutti gli effetti della condanna subita nell’ambito del processo sui diritti Mediaset nel 2013. Sentenza che aveva fatto scattare l’incandidabilità imposta dalla Legge Severino.
Quindi se dovessero fallire le trattative per un governo Lega-M5Se si tornasse alle urne, Berlusconi avrebbe il diritto di presentarsi alla Camera o al Senato. Berlusconi potrebbe anche concorrere per un seggio se ne dovesse rimanere vacante uno in un collegio uninominale, attraverso delle elezioni suppletive. Sulla decisione di ieri, però, la procura di Milano può ancora ricorrere in Cassazione.
L’orientamento della Cassazione sul quale si sono basati i giudici del tribunale di Milano prevede, anche in presenza di altre pendenze (per Berlusconi i processi per corruzione giudiziaria in seguito al processo Ruby da cui Berlusconi è stato assolto) la possibilità, una volta adempiute “le obbligazioni civili derivanti dal reato”, di vedersene cancellati gli effetti con la riabilitazione che estingue le pene accessorie.
I giudici hanno anche tenuto conto del fatto che dopo l’espiazione della pena (4 anni di reclusione di cui 3 condonati e uno svolto ai servizi sociali con l’impegno di assistenza agli anziani 4 ore alla settimana), Berlusconi ha dato “prove effettive e costanti di buona condotta” e di essersi reinserito nella comunita’ rispettandone nei limiti del possibile le regole. Sulla decisione assunta venerdì dal tribunale di sorveglianza, la procura generale di Milano ha la possibilità di ricorrere in Cassazione.

La vicenda a Strasburgo

Il ricorso dei legali dell’ex Cavaliere era stato presentato contro la legge Severino anche davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’udienza si è svolta il 27 novembre e la sentenza dovrebbe arrivare in autunno, ma con la decisione del tribunale di sorveglianza Berlusconi, in realtà, potrebbe non avere più bisogno almeno per quanto riguarda l’agibilità politica. La norma impediva a Berlusconi, dopo la condanna a 4 anni – di cui 3 coperti da indulto – per frode fiscale, di candidarsi. Ma secondo la difesa di Berlusconi la legge ha avuto un effetto retroattivo sulla sua posizione giuridica.
Una novità che potrebbe in qualche modo interferire nella trattativa tra Salvini e Di Maio. In caso di nuove elezioni, Forza Italia ora avrebbe una carta in più rispetto al 4 marzo, elezioni in cui il partito si era presentato in una posizione di particolare debolezza proprio perché Berlusconi non poteva candidarsi.

venerdì 11 maggio 2018

Chiederemo conto delle loro bugie elettorali, ogni giorno

Focus
Loro fanno il Governo. E noi l’opposizione. Si chiama democrazia.
Oggi tanti dicono: il governo Lega-CinqueStelle non piace all’Europa. Probabile, dico io. Aggiungo: non piace nemmeno a me, nemmeno a molti di noi. Ma dobbiamo parlarci chiaramente, amici: quello che conta non è ciò che piace a noi o alla Commissione Europea, ma ciò che piace agli italiani.
Il 4 marzo il popolo ha parlato. E se la democrazia è una cosa seria, adesso tocca a loro; altrimenti tanto varrebbe non votare.
Salvini e Di Maio hanno la maggioranza in Parlamento, con buona pace di chi diceva che il Movimento Cinque Stelle è un partito di sinistra. Devono rispettare le promesse folli e irrealizzabili che hanno lanciato e rilanciato sui social e nelle piazze: riusciranno a fare una sola aliquota al 15% (flat tax) e dare 1.680€ netti al mese alle famiglie senza lavoro con due figli? Cosa racconteranno a chi farà la fila per il reddito di cittadinanza? Proveranno davvero a rimpatriare 600.000 persone e chiudere Ilva, bloccare Tav e Tap, fermare le grandi Opere? Avranno la forza di cancellare Jobs Act, Buona Scuola, le nostre leggi sui diritti civili e sociali?
Hanno promesso tante cose. E su quelle promesse hanno vinto: chiederemo conto delle loro bugie elettorali, ogni giorno. Perché la democrazia non è uno scherzo e dopo questa esperienza di governo giallo-verde sarà chiara a tutti la differenza tra l’estremismo delle promesse a vuoto e il buon senso delle riforme. Sto ricevendo tante email di persone che hanno voglia di non arrendersi, di ripartire, di darci una mano. Teniamoci in contatto, amici, perché non sarà uno scherzo nemmeno la nostra opposizione, durissima. Diremo con forza NO quando si tratterà di dare la fiducia al Governo. Ma a differenza di altri lo faremo rispettando sempre le Istituzioni e il Governo della Repubblica. Perché noi siamo diversi da chi insulta, da chi odia, da chi illude. E lo dimostreremo anche dall’opposizione. Coraggio amici. Ci aspetta una strada lunga, facciamola insieme.

giovedì 10 maggio 2018

La svolta di Di Maio: "Il Cavaliere senza colpe. Nessun veto su di lui"

Interpellato sul veto contro il leader di Forza Italia, Di Maio ha stupito tutti commentando: "Berlusconi è il meno responsabile di questo stallo politico"

Dicono sia un vecchio detto democristiano: i muri isolano non soltanto chi li subisce, ma anche chi li alza.







La forza della trattativa (sempre e comunque) è l'unico motore valido per andare avanti. Ed è proprio alla virtù democristiana per eccellenza, la disposizione alla trattativa e al riposizionamento, che fa pensare la conversazione di ieri tra Di Maio e i cronisti alla Camera. Interpellato sul veto contro il leader di Forza Italia, Di Maio ha stupito tutti commentando: «Berlusconi è il meno responsabile di questo stallo politico». E per essere più chiaro aggiunge: «Non c'è alcun veto su Berlusconi. Rimane invece inalterata la voglia di dialogare con la Lega di Salvini». E il motivo è presto detto. «Noi vogliamo - spiega - fare un governo che preveda due forze politiche e non quattro. La nostra posizione resta questa. Se siamo arrivati fin qui non è per pura fatalità. Qui c'è la responsabilità di qualcuno». E il leader politico del Movimento 5 Stelle si diverte anche a stilare una persona classifica delle responsabilità. «Lo stallo e lo spauracchio del ritorno al voto - dice - sono dovuti principalmente a Salvini che ha scelto la fedeltà alla sua coalizione invece del cambiamento, poi a Renzi che ha ingannato il suo partito e l'opinione pubblica; poi c'è Martina che si è piegato a Renzi, e in fondo, ma solo in fondo alla lista, c'è Berlusconi. Sia Renzi che Salvini hanno deciso di rimanere legati al leader di Forza Italia. Bene, facciano come vogliono. Il vero grande tema quindi non è lui». Stoccata a Salvini ma anche no. «Non c'è alcun litigio con la Lega perché la trattativa non è ancora iniziata. È prevalsa la responsabilità, domani (oggi per chi legge ndr.) incontrerò Salvini».
Insomma nelle ore in cui si fa più fitta la trama dei contatti e in cui rinfocola l'ipotesi di un accordo Lega-Cinque Stelle, Di Maio scopre le virtù della mediazione e del riposizionamento. È facile, poi, sentirsi democristiani in un momento in cui il modello di Aldo Moro diventa un obiettivo alto. Sui social network lo stesso Di Maio spende per il segretario della Dc, barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse quarant'anni fa, parole non di circostanza (definendo Moro «una delle figure più importanti dell'Italia repubblicana»). E proprio come un democristiano continua a fare la spola da un forno all'altro, da una parola detta e una taciuta. Da un lato fa sapere che al Quirinale ha chiesto (d'accordo con Salvini) altre 24 ore («per problemi interni al centrodestra»), dall'altra conferma tutti i suoi impegni «elettorali». Salvo poi fare inversione a «U» perché in serata l'accordo per il governo pare a portata di mano. Così sbianchetta la sua agenda. Ma nel pomeriggio ha tenuto a dire che poteva onorare l'impegno preso: vale a dire iniziare il tour per la raccolta fondi per le prossime «iniziative elettorali». E guarda caso la prima tappa sarebbe stata Parma, città grillina e non grillina a un tempo. La città, cioè, amministrata (senza troppi disastri) dallo scomunicato Federico Pizzarotti. Lì si sarebbe tenuto il primo incontro pubblico per la raccolta fondi da utilizzare nei prossimi impegni elettorali. Una scelta anch'essa in perfetto stile ecumenico e democristiano. D'altronde, a poche ore da un'ormai probabile governo bicolore, Di Maio sente tutta la necessità di ammorbidire l'inclinazione populista. Insomma Di Maio può anche aggiustare il tiro nei confronti di Berlusconi. Il Di Maio di oggi è distante da quello di tre settimane fa quando, parlando da Campobasso, diceva: «Oltre certi limiti non possiamo andare e oggi quel limite si chiama Silvio Berlusconi, soprattutto dopo la sentenza di Palermo (la sentenza sulla trattativa Stato-Mafia, ndr)». In quella occasione, va ricordato, i grillini persero 12 punti percentuali rispetto alle politiche del 4 marzo.

mercoledì 9 maggio 2018

Quel piano di Berlusconi per far partire il governo

Un retroscena mette in luce le riflessioni di Forza Italia su uno schema che possa far nascere un esecutivo Lega-M5s senza la rottura col Carroccio

La trattativa si riapre? Secondo alcune indiscrezioni alcuni ambasciatori del centrodetra avrebbero chiesto al Qurinale più tempo prima del varo dell'eventuale governo di garanzia.







Come riporta l'HuffPost, Forza Italia avrebbe ragionato sull'ipotesi di un percorso che non ostacoli la nascita di un governo Lega-M5s. Un piano che potrebbe prevedere un sostegno che però non verebbe declinato con un appoggio esterno. Gli azzurri non farebbero aperta opposizione ad un esecutivo grillino-leghista e in questo modo eviterebbero la rottura nella coalizione. Un po' come accaduto già a parti invertite con i governi Letta e Monti, quando Forza Italia sosteneva gli esecuti e la Lega ne stava fuori senza però compromettere l'alleanza di coalizione.

E in questo quadro in cui le trattative non sarebbero al capolinea, arrivano le parole di Di Maio che sono distensive proprio con Berlusconi: "È il meno responsabile di questa impasse" e "su di lui non ci sono veti". Forza Italia potrebbe votare alcuni provvedimenti che fanno parte del programma del centrodestra come ad esempio la flat tax. Ma voterebbe contro il reddito di cittadinanza, come sostiene il "dietro le quinte" dell'Huff. Il Cav ieri sera ha ribadito il suo no ad un appoggio esterno ad un esecutivo Lega-M5s. Alle 17:00, l'ora X fissata dal Colle sapremo quali saranno le mosse del centrodestra e dei grillini...

domenica 6 maggio 2018

Il pollo allo spiedo

Prima cucinato da Salvini, poi caduto nel trappolone del Pd. Ora Di Maio si dispera

Diceva Fanfani che "quando uno è bischero è bischero anche da giovane". Come si attaglia bene a Giggetto il guappo


Prima, come un pollo, si è fatto cucinare a fuoco lento da Matteo Salvini che, ovviamente, non ha mai avuto intenzione di andare a fare la sua stampella mollando il centrodestra.







Poi è caduto mani e piedi nel trappolone che gli ha teso il Pd, abboccando come un pesce all'amo teso di un possibile «contratto di governo». E ora, rimasto a bocca asciutta, piange e si dispera come un bambino a cui i genitori, secondo lui cattivi, hanno tolto di mano il giocattolo. Questo è Luigi Di Maio, il grande sconfitto del dopo elezioni. Sono bastati sessanta giorni per misurarne le capacità e il risultato è un disastro.
In queste ore di disperazione per aver perso Palazzo Chigi, Di Maio parla di «traditori» e di «complotto», riferendosi alla legge elettorale e ai mancati accordi a destra e sinistra. È vero che la legge elettorale è una schifezza, ma è la stessa per tutti e non è piovuta in busta chiusa da Marte, bensì è stata (purtroppo) approvata dal Parlamento, che è luogo poco frequentabile per tanti versi, ma comunque di democrazia. In quanto alle mancate alleanze, non si capisce dove starebbe il «tradimento». Semmai Salvini e Renzi sono stati più furbi di lui: non ci vuole molto, ma è altra cosa.
Del resto, per vincere la sua scommessa, a Di Maio sarebbe bastato non mettere veti in casa d'altri e cestinare la buffonata del «contratto». I «contratti» si stipulano tra privati, in politica esistono alleanze politiche e programmatiche tra pari che presumono un accordo e la divisione, proporzionale alla forza di ognuno, di oneri e onori (questi ultimi intesi come poltrone, seggiole e sgabelli).
Di Maio voleva la botte piena e la moglie ubriaca, situazione interessante ma irrealizzabile. Ha preso il gol decisivo, dal Pd, allo scadere e ora, manco fosse Buffon, dice che gli avversari non hanno cuore e che la partita va rigiocata. O si torna a votare subito - come e quando lo decide lui - o porta via il pallone. È proprio vero che i fessi sono tali perché non fanno tesoro delle esperienze. Di Maio è stato sì tradito, ma solo dalla sua arroganza e dalla sua inesperienza. Anche perché nessuno, ma proprio nessuno, gli ha mai giurato fedeltà.