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venerdì 2 ottobre 2015

Saviano, Fazio, i talk e la caduta degli dei

La caduta degli déi è come uno stagno prosciugato in cui improvvisamente i Paladini della Verità si ritrovano in una condizione non diversa dalla famosa pancia nuda di Paolo Villaggio che si tuffa con scioltezza nella marmorea piscina vuota del Secondo Tragico Fantozzi. Stomp. La caduta degli dèi, oggi, coincide con un fenomeno che solo a un osservatore distratto potrebbe essere sfuggito e che riguarda l’Italia radical pop dei martiri della libertà, rappresentata magnificamente fino a qualche mese fa dai Roberto Saviano e dai Fabio Fazio e da tutta la tribù degli intoccabili dei salottini progressisti.
Un’Italia che per anni si è fatta utilizzare dalla gioiosa macchina da guerra della sinistra nannimorettiana come un ariete utile a sfondare l’Italia guidata dal Caimano, e che improvvisamente ora si ritrova sola e abbandonata come Fantozzi sul fondo della piscina. Il format, in fondo, era collaudato e funzionava più o meno così: prendi un Saviano o un Fazio, piazzagli accanto un Dario Fo o un Gustavo Zagrebelsky, metti in circolo l’idea che l’Italia sia un posto invivibile, di merda, in cui le uniche persone degne di non essere crocifisse sono quelle impegnate nella distruzione semantica dell’Italia berlusconiana, cita a caso qualche articolo della Costituzione, sostieni che la democrazia sia in pericolo, miscela tutto con un po’ di intercettazioni, un po’ di allusioni al bunga bunga, un po’ di ironia alla Littizzetto, amalgama il tutto e il risultato, almeno nelle intenzioni, doveva essere quello di dar vita a una grande e stabile e invincibile egemonia culturale. Format perfetto e a lungo persino di successo, ma con un unico difetto. E che, adesso, è costretto a una nuova consapevolezza: la macchina della nuova presunta egemonia culturale non solo non ha disintegrato Berlusconi, ma ha contribuito a far nascere Renzi. Si spiega anche alla luce di questo il fatto che il più intoccabile dei paladini della libertà, Saviano, nei giorni del pelo e contro pelo del Daily Beast (al plagio, al plagio!) sia stato lasciato solo, senza neppure un post-it del popolo viola o un appello dei girotondi in difesa della libertà d’espressione. Si spiega anche alla luce di questa (nuova) consapevolezza che in prima serata il fabiofazismo tiri meno rispetto al passato (esordio stagionale basso basso, nove per cento).
Si spiega anche alla luce di questa consapevolezza che di fronte a molti talk-show oggi esista un pregiudizio naturale nella testa del telespettatore: perché mai devo guardare un programma che per fare ascolti utilizza ancora la stessa miscela inutile e dannosa – la democrazia in pericolo, la Costituzione a rischio – adottata negli anni della lotta dura e pura contro il Caimano? La realtà di oggi ci dice che il vecchio salottino della sinistra televisiva non esiste più, è finito in uno stagno, e nella testa dell’elettore-telespettatore c’è una convinzione diversa, la stessa probabilmente che si trova dietro la nascita del renzismo. Sintetizziamo. Il format delle cinquanta sfumature di vaffa ha creato una bolla in cui ad aver perso la propria identità non è solo la politica di sinistra, ma anche la cultura progressista; e i danni provocati da quella bolla sono così grandi che chi li ha prodotti si ritrova oggi in una situazione di solitudine, in cui, per semplificare, a non accendere più la tv non sono solo i nemici storici dei Saviano e dei Fazio, ma anche tutti coloro che, con un certo ritardo, hanno capito una cosa semplice: i Paladini della Verità hanno dato una spinta fatale per far provare alla sinistra la stessa piacevole sensazione di Fantozzi in quella piscina vuota. La pancia della sinistra.

Il Dieselgate

L'industria automobilistica tedesca si è sviluppata e si è imposta nel mondo, facendo leva su due punti di forza: lo sviluppo dei motori diesel  ed il controllo delle emissioni. Ricorderò che le prime auto a gasolio sono state le Mercedes nel 1936: questo tipo di motore era stato sempre utilizzato in veicoli differenti o in natanti. Anche il controllo delle emissioni delle automobili con motori a benzina – divenuto necessario con l'impiego della benzina così detta "verde" (ricca di aromatici) – è stato sviluppato in Germania e l'industria di quel paese ha fatto buoni profitti con la cessione di brevetti.
Il motore diesel sulle auto ha avuto scarsa fortuna nei suoi esordi: lento, rumoroso, inquinante, poco "performante", non era adatto alla trazione delle auto. Aveva però due buone carte da giocare: il suo migliore rendimento (minori consumi) e la possibilità di usare un combustibile meno raffinato, ed utilizzato dai grandi veicoli commerciali. Ebbero inizio così, a partire dagli anni '60, una gran quantità di studi tendenti a valorizzare  il diesel attraverso  un miglioramento delle caratteristiche.  

Giocava a favore di uno sviluppo di questo tipo di motore la continua evoluzione dei materiali: questo fatto avrebbe permesso di controllare meglio una dei punti deboli, ovvero le elevate temperature e pressioni da raggiungere in alcune parti del motore. Senza addentrarmi in una disquisizione tecnica – non essendo questa la sede adatta – dirò semplicemente che il diesel è arrivato ad avere eccellenti prestazioni. Va però detto chiaramente che esso è per sua natura più inquinante del motore a benzina. Questa caratteristica viene combattuta  con l'uso di filtri e di dispositivi per abbattere gli inquinanti. I maggiori sono di due tipi: il "particolato" e gli ossidi di azoto. Entrambi sono favoriti (si formano in ogni combustione) dalla temperatura particolarmente elevata; attraverso adatte regolazioni si può giungere ad un compromesso, mentre la cattiva regolazione della "iniezione" porta ad ingrandire l'uno o l'altro. Quando si vede del "fumo nero" uscire dal tubo di scarico di una macchina, si tratta della emissione di "particolato" in gran quantità a causa di una cattiva regolazione della iniezione. Il "particolato", cioè quell'inquinante del quale si disquisisce continuamente quando si parla di ecologia è un tipico prodotto dei diesel. Nei documenti USA viene indicato  come "diesel particulate matter".
L'altro punto di forza dell'industria germanica è stato lo sviluppo di motori "puliti", cioè poco inquinanti. Si è lavorato in due direzioni, con obbiettivo comune: migliorare la combustione ed abbattere gli inquinanti, depurando i gas di scarico. Nel caso dei motori a benzina gli inquinanti più pericolosi sono forse gli idrocarburi aromatici incombusti, che vengono resi innocui dal catalizzatore che si trova nel tubo di scarico.
Come sempre accade in questi casi, quando cioè un'industria diviene leader del mercato tende a favorire l'emanazione di leggi sempre più complicate e stringenti da parte delle autorità che controllano i suoi prodotti, al fine di sbaragliare la concorrenza, che non sempre è in grado di "saltare" sempre più in alto.
E' quanto è accaduto, ad esempio, all'industria farmaceutica, che, con una continua complicazione delle procedure per registrare nuovi farmaci, è rimasta un'area popolata da poche gigantesche multinazionali, essendo scomparse tutte le aziende di medie dimensioni. Così, in tutto il mondo, ed in Europa in particolare, anche per pressione concomitante degli ambientalisti, sono state emanate direttive contenenti dati sempre più stringenti sugli inquinanti. Da Euro 1 siamo arrivati ad Euro 6. Di buon grado l'industria tedesca si è adeguata fino ad arrivare – nel caso dei motori diesel – a situazioni tecnicamente insostenibili, a meno – forse – di rinunziare a prestazioni ritenute indispensabili dagli automobilisti. In sostanza, avere buone prestazioni dal diesel evitando un po' di inquinamento è una missione impossibile.
Di fronte a questa difficoltà insormontabile è naufragata la Volkswagen; ha pensato – non si sa bene chi, se la dirigenza od il reparto che si occupa di questi problemi – di risolvere la questione come avrebbe fatto il grande Totò in uno dei suoi  film. In un certo senso, la VW si è impiccata al capestro preparato per gli altri
E' probabile che il danno  prodotto dalle macchine "truccate" non sia poi stato così devastante per l'ambiente, ma la vicenda dovrebbe spingerci a qualche riflessione. Per combattere l'inquinamento non si sceglie la via maestra, che sarebbe quella di usare auto elettriche nelle città ed impedire l'ingresso a mostri inquinanti come i SUV da 500 cavalli; piuttosto si continua a pretendere dalla tecnologia la scoperta della pietra filosofale in grado di soddisfare contrastanti esigenze.