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venerdì 11 marzo 2011

Il CGIE inutile e sprecone. I nuovi "partigiani". Il 17 marzo festa dell'Italia unita.

Il Globo & La FiammaAustralia

Venerdi 11 marzo 2011

L’altro fine settimana, per l’ennesima volta, si e’ tenuta l’indegna e “vergognosa” rappresentazione a Sydney della “ammuina” del CGIE sezione anglofona. I “soliti noti”, insieme agli amici e gli amici degli amici vecchi e nuovi, si sono riuniti “festosamente” in un “lussuoso” hotel di Sydney per parlare, come sempre, del NIENTE assoluto. E questa “manfrina” continua da vent’anni a spese di noi italiani nel mondo. I “magnifici” (leggi: membri del CGIE) da un ventennio girano “allegramente” l’intero globo GRATIS e non ne provano alcun “turbamento”, anzi, qualcuno se ne vanta e lo scrive pure. Queste “sanguisughe” fanno parte della “casta” abituata a vivere, senza “pudore” alcuno, sulle spalle della gente prendendola per i fondelli: vogliono farci credere che “lavorano” per il nostro bene. E’ da tempo che scrivo che i cosiddetti “organi rappresentativi” degli italiani nel mondo, ossia il CGIE (Comitato Generale Italiani all’Estero), i COMITES (Comitati Italiani Esteri) e i 18 parlamentari eletti all’estero non sono serviti mai a “niente” e non hanno mai rappresentato “nulla e nessuno” hanno soltanto “bruciato” oltre 100 milioni di euro per i loro comodi. Scrissi questo anche alcuni mesi fa e fui “inondato” da e-mail di molti “magnifici” che mi “intimavano” di cancellare il loro indirizzo dalla mia mailing list, c’e’ anche chi mi promise “legnate”. Visto che, bontà loro, si erano “scomodati” a scrivermi, perche’ non hanno colto l’occasione per allegare il “bilancio consuntivo” delle loro spese, che da tempo “legittimamente” richiedevo (e qui rinnovo la richiesta), magari con l’elenco dei “risultati” che, secondo loro, hanno raggiunto a favore di noi italiani nel mondo? Macché, mafiosamente continuano ad essere “omertosi”: e’ cosa loro e a noi non e’ dato metterci “becco”! Insomma, si può sapere chi rappresentano i “magnifici” se il 99% degli italiani nel mondo “neppure sanno che esistono” o se lo sanno non capiscono a che cosa servono? Il loro e’ un “club snob esclusivo” e “autoreferenziale” che tiene conto esclusivamente di loro stessi, delle persone del loro “ristrettissimo” cerchio. E’ auspicabile che il governo cancelli al piu’ presto questi inutili e “parassitari” pseudo “organi rappresentativi”. Spudoratamente “sprecano” ingenti somme di denaro pubblico che potrebbero essere impiegate piu’ opportunamente per le “vere esigenze” degli italiani nel mondo.

** Domani 12 marzo scenderanno in piazza in molti contro il governo Berlusconi e ci saranno anche gli studenti. I discendenti dei “sessantottini” dicono che:“Non siamo pericolosi comunisti, ci definiamo Partigiani della Conoscenza e del sapere pubblico. Perché crediamo nella scuola pubblica, nello spirito sancito dalla nostra Costituzione”. Questi “partigiani” sono dei faziosi che si scagliano contro Berlusconi che ha difeso il diritto al libero pensiero e al libero studio e alla dignità degli insegnati. Quello che sconcerta e’ leggere il blog “Informazione Libera” dove sono riportate alcune proposte dei collettivi universitari tra cui: “l’idea di una grande manifestazione che risponda al grido di rivolta che attraversa il Mediterraneo e che mostri come anche qui nel nostro paese, in Europa, è possibile riprendere in mano il proprio presente in nome di un futuro diverso”. E’ tutto chiaro, la manifestazione di piazza di domani e’ il “pretesto” per collegarsi alle rivolte in Egitto, Tunisia e Libia. Vogliono paragonare le loro manifestazioni con le sommosse arabe. Berlusconi non e’ Gheddafi. E’ al governo per aver vinto “democraticamente” le elezioni. Non ha preso il potere 40 anni fa con un golpe. Ha l’appoggio del Parlamento. Governa secondo le leggi e non con i carri armati. Non ha usato l’aviazione per mitragliare i manifestanti. In Tunisia, il regime di Ben Ali ha impedito che le immagini e le notizie delle sommosse fossero divulgate. In Italia Berlusconi non impedisce che Santoro, Floris, Lerner, Repubblica, Il Fatto e tanti altri parlino giornalmente male di lui, lo calunniano e mettono in piazza persino la sua vita privata. In Egitto lo stato d’emergenza e’ in vigore da trent’anni e ogni sommossa, o anche solo dissidenza, e’ stata soffocata crudelmente. Lì era impossibile trovare anche un solo giudice che “osasse indagare” un presidente, i ministri, i deputati o qualunque altro funzionario. Figuriamoci mettere sotto “osservazione” le abitazioni private del presidente per intercettare le conversazioni e pubblicarle sui giornali. Sarebbe finito impiccato nella pubblica piazza. In Italia le televisioni ed i media forniscono abbondanti informazioni sulle proteste e non vengono censurati. In Italia non esiste alcuno stato d’emergenza né il coprifuoco, fatte salve le emergenze nazionali per frane, alluvioni o terremoti. La polizia non attua arresti “preventivi”, anzi, gli è difficile tener dentro i delinquenti: li arresta e, regolarmente, i magistrati li liberano. Nonostante tanti problemi l’Italia e’ ben lontana dall’essere una dittatura, anche se a qualcuno, che non e’ Berlusconi, l’idea gli piacerebbe e molto! Dietro l’idea “stupida” di collegare contesti sociali “imparagonabili” tra loro, c’e’ il continuo tentativo dell’opposizione a voler “rovesciare” ad ogni costo e con ogni mezzo il “tiranno” Silvio. Vogliono accostare la figura del Premier ad uno qualsiasi dei dittatori spodestati negli ultimi giorni e di far sentire un “eroe” rivoluzionario chi scende in piazza. Ma possibile che questi “partigiani” non abbiano ancora capito che queste “pretestuose” manifestazioni, come anche quella ridicola “inscenata” l’8 marzo dalla Filef di Sydney, non per celebrare la festa delle donne ma contro Berlusconi, fanno ridere persino i polli?

** Francesco Pappalardo, autore del saggio “L’Unità d’Italia e il Risorgimento”, sostiene che la nazione italiana esisteva già da un millennio, come "unità culturale, pur nella diversità delle sue componenti, e si è formata, all’interno della Cristianità occidentale, nei secoli dell’Alto Medioevo, sulla base di una preziosa eredità romana, a sua volta maturata in un complesso mosaico di lingue e di stirpi”. Pappalardo scrive che l’Italia e’ stata un “campionario” di Stati, da quello dei “comuni” ai ducati, dai principati alle repubbliche regionali aristocratiche, dalla monarchia elettiva dello Stato Pontificio alle repubbliche “marinare” senza territorio ma con vasti domini. Un pluralismo che ha reso possibile la fioritura di innumerevoli centri di cultura e di prosperità. Dopo il fallimento, nel 1857 a Sapri, dei trecento rivoluzionari di Carlo Pisacane (Eran trecento, eran giovani e forti, e son morti!) che intendevano far sollevare il popolo meridionale contro i borboni, nel 1860 Garibaldi viene scelto come l’uomo adatto per guidare la spedizione per la conquista del regno delle Due Sicilie. Alle armi ed alle navi pensano la Società delle Nazioni e la massoneria del Grande oriente d’Italia. Dallo sbarco a Marsala (11 maggio 1860) fino a Napoli, Garibaldi e le sue camice rosse vincono tutte le battaglie, quasi senza combattere, grazie agli ufficiali borbonici che, tra tradimenti e inettitudini, non hanno fatto nulla per bloccare l’avanzata dei garibaldini. Con lo storico incontro a Teano (Caserta) tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II di Savoia, avvenuto il 26 ottobre 1860, si conclude la spedizione dei Mille che, di fatto, annetteva al regno d’Italia il regno delle Due Sicilie. Successivamente, tramite “plebisciti”, vennero annessi i Ducati di Parma e Modena ed il Granducato di Toscana, mentre la Romagna, le Marche, l’Umbria, Benevento e Pontecorvo vengono tolti alla Chiesa. Nel gennaio 1861 si tennero le elezioni del primo Parlamento. Su quasi 26 milioni di abitanti, il diritto a votare fu concesso solo a 419.938 persone (circa l’1,8%). Soltanto 239.583 si recarono a votare. I voti validi furono 170.567. Vengono eletti 85 fra principi, duchi e marchesi, 28 ufficiali, 72 fra avvocati, medici ed ingegneri. Il 18 febbraio avviene la prima convocazione del Parlamento italiano e il 17 marzo avvenne la proclamazione dell’”Italia unita” (o quasi). Nel 1866, a seguito della terza guerra di indipendenza, vengono annessi il Veneto (che allora comprendeva anche la Provincia del Friuli) e Mantova sottratti all’Impero Austro-Ungarico. Nel 1870, con la presa di Roma, viene annesso il Lazio, togliendolo definitivamente allo Stato della Chiesa. Roma diventa ufficialmente capitale d'Italia (prima lo erano state Torino 1861 e Firenze 1864). Sono passati 150 anni dal 17 marzo 1861 in cui l’Italia ottenne la tanto desiderata unità “politica”, considerato che quella “culturale” c’era già da oltre mille anni. Si e’ raggiunto questo obbiettivo dopo aspre lotte ed il sacrificio di milioni di uomini e di donne che hanno pagato con il sangue per vedere l’Italia unita. Eppure dopo 150 anni ci ritroviamo a far festa per un Paese ancora “disunito” dilaniato politicamente da “feroci” guerre intestine e con una grave crisi dei valori. Allora cosa avremo da gioire il 17 marzo? Come dovremmo festeggiare e soprattutto perché? La risposta e’ semplice: perche’ l’Italia e’ la nostra Patria e dobbiamo amarla nel bene e nel male.

domenica 6 marzo 2011

Renzo De Felice. Dalle macerie del dopo guerra ad oggi. La riforma della scuola Gelmini per rimediare ai disastri del "Sessantotto".

Il Globo & La FiammaAustralia

Venerdi 04 marzo 2011


Durante gli anni degli studi (terminati nel 1959) ho visto, e ancor di piu’ negli anni successivi, tanti “deficienti” che marciavano a braccio teso, ma erano piu’ numerosi quelli che marciavano con il pugno chiuso. Chi e’ nato dopo il fascismo (oramai quasi tutti) ha potuto capire qualche cosa del “ventennio” solo leggendo Renzo De Felice. La retorica della “resistenza” e dell’antifascismo ha nascosto la verità storica, rendendo quasi “inspiegabili” gli anni precedenti. Una volta appeso a testa in giù il dittatore a Piazzale Loreto, i piu’ preferirono cancellarne la memoria, mentre una minoranza di “nostalgici” continuavano a “ostentare” il saluto fascista e si rasavano le loro teste di cavolo. De Felice e’ nato nel 1929 (deceduto nel 1996) ed e’ stato lo storico considerato il massimo esperto del fascismo. Iscritto al PCI (Partito Comunista Italiano), nel 1956 fu tra i firmatari del celebre “manifesto dei 101”, sottoscritto da intellettuali dissenzienti all’appoggio del PCI all’invasione sovietica dell’Ungheria. Insieme a molti dei firmatari del manifesto (Giorgio Napolitano e tutti gli attuali dirigenti del Pd ex PCI non lo firmarono), De Felice lasciò il PCI per iscriversi al Partito Socialista Italiano. Nel 1968 fu professore ordinario presso l’Università’ di Salerno. Nel 1970 fondò la rivista “Storia Contemporanea”. Nel 1972 professore all’Università’ de “La Sapienza” di Roma, dove insegnava storia dei partiti politici. Nel 1986 ebbe la cattedra di storia contemporanea. I suoi studi, indirizzati inizialmente verso la storia moderna, si concentrarono poi su quella contemporanea da li scaturì l’interesse che caratterizzò la sua carriera di storico della dittatura fascista. Al di là degli elogi e delle critiche, l’interpretazione che De Felice da della dittatura mussoliniana ha comunque il merito di aver suscitato l’interesse di studi e riflessioni sul fascismo. Quando De Felice pubblicò il primo volume della monumentale biografia di Mussolini, la cultura e la politica italiana erano ancora “ferocemente” divise (e lo sono tuttora). Le sue ricerche, riconosciute da buona parte degli accademici come serie e scrupolosamente documentate, furono spesso interpretate dalla destra per negare le responsabilità storiche del fascismo, mentre la sinistra lo accusavano di giustificare il fascismo. Gli antifascisti reagirono violentemente considerando “blasfema” la sua opera e De Felice subì il “boicottaggio” universitario e culturale. Lui se ne “fregò” e continuò il suo lavoro assolutamente “scientifico” e non affatto “revisionista”. Pubblicò alcuni suoi articoli su “Il Giornale” e sul “Corriere della Sera” ed ebbe il merito di aprire il dibattito sul fascismo a un pubblico non di soli specialisti. La nostra democrazia, la nostra libertà e la nostra Repubblica le dobbiamo ad un avvenimento a cui nessun italiano partecipò: gli accordi di Yalta. Per nostra fortuna l’Italia venne assegnata all’Occidente. Certo, una minoranza (erano 8000 i partigiani, dopo il 1945 “divennero” – miracolo!- oltre 500mila) combatté contro il nazi-fascismo, ma il PCI, diventato “egemone”, avrebbe voluto sostituire la dittatura fascista con quella comunista. La liberazione dell’Italia e’ stata conquistata con il sacrificio di tutti gli italiani, nessuno escluso. Non può essere rivendicata esclusivamente dal “ristrettissimo” movimento partigiano che ha avuto l’arroganza di “appropriasi” del merito dell’esclusiva “liberazione” dell’Italia dal fascismo e della scrittura della Costituzione. Dalle macerie belliche, affrontando enormi sacrifici e con l’emorragia di milioni di persone emigrate in tutti i Paesi dei cinque continenti, nei primi anni ’60 l’Italia raggiunse un straordinario“miracolo economico”. I consumi si diffondono anche tra gli strati sociali inferiori, in precedenza esclusi. I giovani iniziano a vivere in un’epoca di “vorticosi” mutamenti e stanno molto meglio delle generazioni che li aveva preceduti. La loro visione del mondo e’ diametralmente opposta ai loro padri. Vogliono una vita con piu’ valori umanitari e piu’ “permissiva”. Sono critici di una scuola di massa che non garantisce sbocchi lavorativi adeguati. Sono contro la cultura capitalista. Pensano che il significato della vita sia nell'arte, nella scienza, nella filosofia, nell'amore, nella solidarietà, nell'avventura. Credono in un diverso rapporto uomo-donna e a una diversa ripartizione dei ruoli in seno alla famiglia. E, infatti, l’evoluzione e l’affermazione del femminismo subiranno una forte accelerazione dopo il “Sessantotto”. Credono nella convivenza di razze diverse. Sono contro il materialismo imperante. Usano le manifestazioni come strumenti di mobilitazione dell’opinione pubblica. Sul finire del febbraio 1968 iniziarono le “occupazioni” delle universita’ “esautorando” gli insegnati per dar vita a seminari “autogestiti” ed esami di gruppo. Sono una minoranza, ma godono di appoggi politici e dei mass media. Il “Sessantotto” durerà per una decina d’anni influenzando, per lo piu’“disastrosamente”, la nostra storia. Una parte degli studenti vuole vivere completamente fuori dal sistema dando vita al fenomeno degli “hippy”, i figli dei fiori, fate all’amore no la guerra, ma facevano, molte volte, uso della droga. La protesta e la contestazione giovanile si fonde con le lotte operaie di fede “marxista”. Nel 1969, le lotte del cosiddetto “autunno caldo” vedono protagonisti, fianco a fianco, studenti e operai che vagheggiano una rivoluzione comunista sul tipo della rivoluzione culturale cinese di “Mao”. Danno vita a formazioni extraparlamentari rissose e anarchiche. Una parte della contestazione sessantottina degenererà nel “terrorismo” e l’Italia vivrà gli “anni di piombo” delle “brigate rosse” e l’assassinio (1978) di Aldo Moro. Era difficile prevedere un buon futuro in Italia per i miei cinque figli, e cosi’, nel 1982, li portai in “salvo” in Australia. Visti i risultati da loro raggiunti fu un’ottima decisione, ma per mia moglie e per me costituì un “regresso”. Il movimento studentesco “sessantottino” diventa “palestra politica” dove si affinano le abilità “retoriche” e di comando e si formano le nuove classi dirigenti. Molti leader della contestazione fanno parte attualmente della classe politica dirigente, sono professori di scuole superiori, docenti universitari e magistrati. Ecco che si spiegano tante cose. Nelle fabbriche si diffonde il “sabotaggio” delle macchine e della produzione. Si pratica spesso lo sciopero “selvaggio” per rivendicazioni salariali. Il “Sessantotto” diventa una rivoluzione “autolesionista”. Gli obiettivi sono vaghi, esclusivamente ideologici, poco concreti e lontani dalla realtà: una “utopia”. I valori religiosi ed umani vanno in crisi o scompaio del tutto. Il “Sessantotto” fu un vero terremoto, un movimento di grande energia innovativa, ma con moltissime “nefandezze” che durano tuttora e che hanno profondamente “condizionato” la vita politica, economica, culturale e sociale di questi ultimi decenni. Si diffuse la consapevolezza dei “propri diritti” trascurando l’obbligo dei “propri doveri”. In quell’epoca avevo trent’anni e quattro figli da sostenere: soltanto “doveri” per me. Il “Sessantotto” rallentò e mise in crisi lo sviluppo industriale del Paese. Diede origine ad una guerra civile “permanente” (che in parte continua) che causò una drammatica scia di sangue con morti e feriti. Provocò lo “sfacelo” della scuola, generò un certo “lassismo” nella pubblica amministrazione e una certa ”ineducazione” di comportamenti nella vita quotidiana. Scrive lo scrittore Giampaolo Pansa nel fare un bilancio di quell’epoca: “Straordinaria stagione di grandi slanci, di enormi sciocchezze e di terribili errori”. E’ tempo di uscire dalla “influenza deleteria” del “Sessantotto” salvando i pochi aspetti positivi e gettando via quei molti di piu’ negativi. La riforma della scuola, recentemente approvata, e’ l’inizio, ma la sinistra e l’opposizione, come al solito, la contestano e polemizzano per una recente dichiarazione di Berlusconi proprio sulla scuola: “Il mio Governo ha avviato una profonda e storica riforma della scuola e dell'Università, proprio per restituire valore alla scuola pubblica e dignità a tutti gli insegnanti che svolgono un ruolo fondamentale nell'educazione dei nostri figli in cambio di stipendi ancora oggi assolutamente inadeguati. Questo non significa non poter ricordare e denunciare l'influenza deleteria che nella scuola pubblica hanno avuto e hanno ancora oggi culture politiche, ideologie e interpretazioni della storia che non rispettano la verità e al tempo stesso espropriano la famiglia dalla funzione naturale di partecipare all'educazione dei figli. Le mie parole, perciò non possono essere in alcun modo interpretate come un attacco alla scuola pubblica, ma al contrario come un richiamo al valore fondamentale della scuola pubblica, che presuppone libertà d'insegnamento ma anche ripudio dell'indottrinamento politico e ideologico”. E per essere piu’ chiaro aggiunge:“Educare i figli liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli educandoli nell'ambito della loro famiglia”. Un Paese “democratico”, se vuole veramente salvaguardare la sua “Democrazia” e che si rafforzi, deve avere una scuola “apolitica”. I cittadini che ne verranno formati dovranno essere consapevoli del bene e del male della storia del loro Paese per essere, sempre e comunque, orgogliosi ed onorati di essere italiani. La scuola deve insegnare la storia per quello che realmente e’ stata, obbiettivamente e senza imbarazzi, per questo non deve mettere al “bando” storiografi come Renzo De Felice.