La
“casta” politica “sfrutta” il popolo. “Pretende”
il suo consenso, ma in cambio lo “turlupina”. I rappresentanti delle
molteplici “confraternite politiche” (Parlamentari, Regioni, Provincie,
sindacati, aziende municipalizzate, presidenti di enti fasulli ecc.) si
riciclano sistematicamente. Non abbandonano le poltrone, i “superstipendi”,
i “privilegi”, sono incollati al potere e hanno completamente perso di
vista la “realtà quotidiana del vivere”. Sono lontani “anni luce”
dai problemi della gente, dalle notti insonni di chi non sa come affrontare un
nuovo giorno, da chi non riesce più a sorridere ai propri figli, da chi non
riesce più a gestire la propria esistenza. Le persone non sanno piu’ come fare
per vivere una “vita normale”. Sembra che essere “normali” sia
una colpa. La persona normale dà fastidio alla politica, a chi detiene il
potere, a coloro che sono stati abituati a fare tutto quello che vogliono in “barba
alla legalità”, alla giustizia, al buon senso, al rispetto pubblico e
privato. Chi rispetta le regole e’ ritenuto uno “fesso”. La politica e’
diventata una “abominevole” guerra di poltrone. Non e’ piu’ considerata “servizio”
al cittadino, e’ diventata preda di gente “senza scrupoli” e di “lobby”
che “manovrano” e “manipolano” la volontà popolare. Il popolo e’
spettatore, tagliato fuori dalle decisioni che lo riguardano. Gli e’
impossibile avere un contatto diretto con chi lo rappresenta, ma tuttavia
qualcuno riesce a trovare delle “comode connivenze” che gli permettono
di sopravvivere. Mentre le persone “normali” si dibattono nei suoi mille problemi quotidiani,
quelli delle varie “caste” parlano di lavoro, in molti casi senza aver
mai lavorato. Parlano ai lavoratori, a coloro che partono la mattina presto, ai
cassintegrati, ai vecchi con pensioni da fame, agli ammalati costretti a tirar
fuori i denti per sopravvivere, ai giovani che non trovano lavoro, a tanta
gente ignara di come sarà l’alba del nuovo giorno, e lo fanno per “abbonire”
il popolo che ha “fregato” per continuare a mantenere ciò che hanno “rubacchiato”
un po’ di qua e un po’ di là. La democrazia italiana e’ democratica “solo in
apparenza”, di fatto e’ una somma di “oligarchie” di “lobby”.
Il diritto di voto può cambiare qualcosa? Forse la coalizione di governo, ma
non le persone che gestiscono la macchina governativa. Non importa se nominati
o eletti con le preferenze, molti saranno i “farabutti” a farsi
eleggere. Ci sono deputati e senatori che hanno trascorso tutta la vita nei “palazzi”,
eppure sono ancora lì, perché quei palazzi sono diventati le loro “case di
riposo dorate”. La politica deve
potersi “rinnovare”, deve sottoporsi a controlli e
valutazioni. Il popolo deve tornare a essere il “vero sovrano” delle
grandi decisioni del Paese. Per fare questo pero’ deve smetterla di “chiedere
favori”, di “diventare cliente” di personaggi senza arte né parte,
abilissimi nel “manipolare” il cuore e la mente delle persone. I
cittadini devono ritrovare la propria “onestà”. La politica deve essere
aperta a tutti, ma soprattutto a chi se la merita, giovani o meno giovani non
importa. Certamente bisogna favorire i giovani ma che non abbiano gia’
acquisito i difetti dei “marpioni” che li hanno allevati. Chi rappresenta
il popolo, prima di tutto, deve essere “competente”, avere il senso del
dovere, integrità
morale, capacità intellettive e umane, correttezza e rispetto cioè “onestà”.
Questi sono i “pilastri” sui quali occorre ricostruire la politica. La
politica deve generare certezze, garanzie, fiducia e speranze. Una vera
democrazia ha bisogno di persone “perbene”, di uomini e donne che
sappiano essere “esempi positivi” per tutti ma, soprattutto, per le
nuove generazioni. Persone che sappiano interpretare i bisogni della gente per
permettergli di vivere dignitosamente. Per fare questo occorre un cambiamento
epocale che deve avere come protagonista il popolo che dovrà scegliere a
rappresentarlo soltanto chi coerentemente ha mantenuto intatta la propria “onestà”.
martedì 2 ottobre 2012
Come deve essere il politico secondo Aristotele, Erasmo da Rotterdam, Nicolo' Macchiavelli e Benedetto Croce.
Aristotele, il filosofo greco
vissuto tra il 383 a.C. ed il 322 a.C., ha scritto un libro “La politica”
che contiene la frase famosa: “l'uomo e’ per natura un animale politico”.
Per natura l’uomo sente il bisogno di avere una vita sociale: la “polis”,
termine dal quale deriva la parola “politica”. Vi
e’ una spontanea voglia di stare insieme. L’uomo tende quindi ad “aggregarsi”
in modo naturale: ogni uomo e’ un “atomo” nella società. Aristotele vede
nella “polis” (politica) l’ultimo gradino del processo di “aggregazione”,
prima c’e’la famiglia, poi il villaggio e, quindi, la “polis”. La
famiglia e’ la società naturale nata prima di ogni altra “aggregazione”.
La famiglia e’ il “nucleo primario” non solo sul piano degli affetti, ma
anche sul piano “economico”. Anche nella famiglia ci sono diversi
rapporti di autorità. Il padre (il “pater familias” in latino) ha
autorità sulla moglie, sui figli e sugli schiavi (come c’erano ai tempi di
Aristotele). Il rapporto nei confronti dei figli e’ temporaneo e dura finché
essi non crescono. Il rapporto nei confronti degli schiavi (oggigiorno
impersonati dai cittadini) e’ permanente. Aristotele dice che la schiavitù e’ un
qualcosa di naturale e necessario perche’ esistono individui per “natura
liberi” ed altri per “natura schiavi”. C’e’ una parte dell’umanità
capace a mettere in pratica le sue “capacità mentali” e una parte che
non e’ capace: non sa fare scelte razionali. Se e’ così, dice Aristotele, e’
meglio non solo per i padroni, ma anche per gli schiavi stessi essere “schiavi”.
Una persona incapace di governarsi autonomamente trae solo benefici dall'essere
governata da qualcun’altro “capace” e molto “competente”. Aristotele
e’ stato anche il fondatore della “scienza economica”. Uno dei concetti
fondamentali da lui elaborati e’ la “concezione del denaro” e delle sue
funzioni. Per lui esistono due modi per usare il denaro, una “legittima”
l'altra “illegittima”. L'economia e’ il “governo della casa”, il
processo con cui si procurano i beni per far funzionare bene la casa (intesa
anche come Nazione). Le idee di Aristotele sul denaro verranno addirittura
riprese da Marx. Per Aristotele l’uso del denaro e’ “legittimo” se viene
usato per fare acquisti (bei necessari per la collettività), ma diventa “illegittimo”
se lo si usa non “come mezzo” ma “come fine”, quando cioè non lo
uso più per fare acquisti ma per “accumularlo” a fini personali.
Aristotele condanna l’accumulo del denaro come un uso “contro natura”.
La natura del denaro e’ quella di essere “mezzo di scambio”. Passando
poi all’analisi di come fare “politica” distingue forme di governo “negative”
e “positive”. E’ “positiva” se chi governa governi per “l'interesse
pubblico”, se tende a governare per “interesse personale” e’ “negativa”.
La “monarchia” e’ la forma di governo dove il singolo governa per il
bene di tutti (ma non sempre). La “tirannide” quella dove il singolo
governa per il proprio interesse. “L’oligarchia” (com’e’ quella dei
partiti italiani) e’ simile alla tirannide. La “democrazia” e’ il
governo della maggioranza. La “politeia” e’ la forma di governo per
eccellenza perche’ non e’ solo il governo dei più (della maggioranza), ma di
tutto il “demos” (popolo). Aristotele condanna la “democrazia”
perché e’ il governo della maggioranza popolare che tende a governare per il
proprio interesse, varando leggi “a proprio interesse” e non per tutti i
cittadini. Aristotele aggiunge che tutti accetteremmo che fosse uno solo a
governare se egli avesse più virtù di tutti gli altri messi insieme: sarebbe il
miglior governo, ma e’ pura “utopia”. Nella “politeia”, pur se la
maggior parte delle persone ha qualità mediocri, tutto sommato mettendole
insieme riusciranno a far funzionare il governo. Ma i politici devono essere “onesti
e sinceri”, non devono “ingannare” e non “approfittarsi” del suo ruolo per “interessi
personali”, non devono “corrompere” né lasciarsi corrompere. Per
loro l’onestà (dal latino honestus = onore) e’ proprio “una questione
di onore” e di “dignità” personale. Ma “l’onestà” e’ vista in
modi diversi da due noti filosofi della prima metà del Cinquecento. Secondo
Erasmo da Rotterdam, teologo, umanista e filosofo olandese, “l’onesta’
assoluta” e’ una specifica qualità dell’uomo di governo. Nicolo’
Machiavelli, filosofo e politico fiorentino sostiene, invece, che l’onesta’ sia
“incompatibile” in politica. L’uomo di governo, per raggiungere finalità
sociali che si impongono come “necessarie a tutto il popolo” (e non “personali”)
e’ obbligato talvolta a comportamenti contro la morale comune, come l’inganno,
l’astuzia, la slealtà. Infine il filosofo abruzzese/napoletano Benedetto Croce,
più vicino al nostro tempo (1866/1952), minimizza il valore del’onestà,
esaltando invece il valore della “competenza”. Al politico, afferma,
come pure all’ingegnere, al medico, all’elettricista, all’idraulico o ad altri
professionisti in genere, non si chiede che siano “onesti” ma “competenti”,
altrimenti causerebbero gravi danni alla collettività. Purtroppo scopriamo che
gli odierni politici italiani (di ogni partito d’ordine e grado), salvo qualche
lodevole eccezione, non sono ne’“competenti” e neppure “ onesti”.
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