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martedì 2 ottobre 2012

La politica e' servizio al cittadino, competenza, senso del dovere e integrita' morale.

La “casta” politica “sfrutta” il popolo. “Pretende” il suo consenso, ma in cambio lo “turlupina”. I rappresentanti delle molteplici “confraternite politiche” (Parlamentari, Regioni, Provincie, sindacati, aziende municipalizzate, presidenti di enti fasulli ecc.) si riciclano sistematicamente. Non abbandonano le poltrone, i “superstipendi”, i “privilegi”, sono incollati al potere e hanno completamente perso di vista la “realtà quotidiana del vivere”. Sono lontani “anni luce” dai problemi della gente, dalle notti insonni di chi non sa come affrontare un nuovo giorno, da chi non riesce più a sorridere ai propri figli, da chi non riesce più a gestire la propria esistenza. Le persone non sanno piu’ come fare per vivere una “vita normale”. Sembra che essere “normali” sia una colpa. La persona normale dà fastidio alla politica, a chi detiene il potere, a coloro che sono stati abituati a fare tutto quello che vogliono in “barba alla legalità”, alla giustizia, al buon senso, al rispetto pubblico e privato. Chi rispetta le regole e’ ritenuto uno “fesso”. La politica e’ diventata una “abominevole” guerra di poltrone. Non e’ piu’ considerata “servizio” al cittadino, e’ diventata preda di gente “senza scrupoli” e di “lobby” che “manovrano” e “manipolano” la volontà popolare. Il popolo e’ spettatore, tagliato fuori dalle decisioni che lo riguardano. Gli e’ impossibile avere un contatto diretto con chi lo rappresenta, ma tuttavia qualcuno riesce a trovare delle “comode connivenze” che gli permettono di sopravvivere. Mentre le persone “normali” si dibattono nei suoi mille problemi quotidiani, quelli delle varie “caste” parlano di lavoro, in molti casi senza aver mai lavorato. Parlano ai lavoratori, a coloro che partono la mattina presto, ai cassintegrati, ai vecchi con pensioni da fame, agli ammalati costretti a tirar fuori i denti per sopravvivere, ai giovani che non trovano lavoro, a tanta gente ignara di come sarà l’alba del nuovo giorno, e lo fanno per “abbonire” il popolo che ha “fregato” per continuare a mantenere ciò che hanno “rubacchiato” un po’ di qua e un po’ di là. La democrazia italiana e’ democratica “solo in apparenza”, di fatto e’ una somma di “oligarchie” di “lobby”. Il diritto di voto può cambiare qualcosa? Forse la coalizione di governo, ma non le persone che gestiscono la macchina governativa. Non importa se nominati o eletti con le preferenze, molti saranno i “farabutti” a farsi eleggere. Ci sono deputati e senatori che hanno trascorso tutta la vita nei “palazzi”, eppure sono ancora lì, perché quei palazzi sono diventati le loro “case di riposo dorate”. La politica deve potersi “rinnovare”, deve sottoporsi a controlli e valutazioni. Il popolo deve tornare a essere il “vero sovrano” delle grandi decisioni del Paese. Per fare questo pero’ deve smetterla di “chiedere favori”, di “diventare cliente” di personaggi senza arte né parte, abilissimi nel “manipolare” il cuore e la mente delle persone. I cittadini devono ritrovare la propria “onestà”. La politica deve essere aperta a tutti, ma soprattutto a chi se la merita, giovani o meno giovani non importa. Certamente bisogna favorire i giovani ma che non abbiano gia’ acquisito i difetti dei “marpioni” che li hanno allevati. Chi rappresenta il popolo, prima di tutto, deve essere “competente”, avere il senso del dovere, integrità morale, capacità intellettive e umane, correttezza e rispetto cioè “onestà”. Questi sono i “pilastri” sui quali occorre ricostruire la politica. La politica deve generare certezze, garanzie, fiducia e speranze. Una vera democrazia ha bisogno di persone “perbene”, di uomini e donne che sappiano essere “esempi positivi” per tutti ma, soprattutto, per le nuove generazioni. Persone che sappiano interpretare i bisogni della gente per permettergli di vivere dignitosamente. Per fare questo occorre un cambiamento epocale che deve avere come protagonista il popolo che dovrà scegliere a rappresentarlo soltanto chi coerentemente ha mantenuto intatta la propria “onestà”.

Come deve essere il politico secondo Aristotele, Erasmo da Rotterdam, Nicolo' Macchiavelli e Benedetto Croce.


Aristotele, il filosofo greco vissuto tra il 383 a.C. ed il 322 a.C., ha scritto un libro “La politica” che contiene la frase famosa: “l'uomo e’ per natura un animale politico”. Per natura l’uomo sente il bisogno di avere una vita sociale: la “polis”, termine dal quale deriva la parola “politica”. Vi e’ una spontanea voglia di stare insieme. L’uomo tende quindi ad “aggregarsi” in modo naturale: ogni uomo e’ un “atomo” nella società. Aristotele vede nella “polis” (politica) l’ultimo gradino del processo di “aggregazione”, prima c’e’la famiglia, poi il villaggio e, quindi, la “polis”. La famiglia e’ la società naturale nata prima di ogni altra “aggregazione”. La famiglia e’ il “nucleo primario” non solo sul piano degli affetti, ma anche sul piano “economico”. Anche nella famiglia ci sono diversi rapporti di autorità. Il padre (il “pater familias” in latino) ha autorità sulla moglie, sui figli e sugli schiavi (come c’erano ai tempi di Aristotele). Il rapporto nei confronti dei figli e’ temporaneo e dura finché essi non crescono. Il rapporto nei confronti degli schiavi (oggigiorno impersonati dai cittadini) e’ permanente. Aristotele dice che la schiavitù e’ un qualcosa di naturale e necessario perche’ esistono individui per “natura liberi” ed altri per “natura schiavi”. C’e’ una parte dell’umanità capace a mettere in pratica le sue “capacità mentali” e una parte che non e’ capace: non sa fare scelte razionali. Se e’ così, dice Aristotele, e’ meglio non solo per i padroni, ma anche per gli schiavi stessi essere “schiavi”. Una persona incapace di governarsi autonomamente trae solo benefici dall'essere governata da qualcun’altro “capace” e molto “competente”. Aristotele e’ stato anche il fondatore della “scienza economica”. Uno dei concetti fondamentali da lui elaborati e’ la “concezione del denaro” e delle sue funzioni. Per lui esistono due modi per usare il denaro, una “legittima” l'altra “illegittima”. L'economia e’ il “governo della casa”, il processo con cui si procurano i beni per far funzionare bene la casa (intesa anche come Nazione). Le idee di Aristotele sul denaro verranno addirittura riprese da Marx. Per Aristotele l’uso del denaro e’ “legittimo” se viene usato per fare acquisti (bei necessari per la collettività), ma diventa “illegittimo” se lo si usa non “come mezzo” ma “come fine”, quando cioè non lo uso più per fare acquisti ma per “accumularlo” a fini personali. Aristotele condanna l’accumulo del denaro come un uso “contro natura”. La natura del denaro e’ quella di essere “mezzo di scambio”. Passando poi all’analisi di come fare “politica” distingue forme di governo “negative” e “positive”. E’ “positiva” se chi governa governi per “l'interesse pubblico”, se tende a governare per “interesse personale” e’ “negativa”. La “monarchia” e’ la forma di governo dove il singolo governa per il bene di tutti (ma non sempre). La “tirannide” quella dove il singolo governa per il proprio interesse. “L’oligarchia” (com’e’ quella dei partiti italiani) e’ simile alla tirannide. La “democrazia” e’ il governo della maggioranza. La “politeia” e’ la forma di governo per eccellenza perche’ non e’ solo il governo dei più (della maggioranza), ma di tutto il “demos” (popolo). Aristotele condanna la “democrazia” perché e’ il governo della maggioranza popolare che tende a governare per il proprio interesse, varando leggi “a proprio interesse” e non per tutti i cittadini. Aristotele aggiunge che tutti accetteremmo che fosse uno solo a governare se egli avesse più virtù di tutti gli altri messi insieme: sarebbe il miglior governo, ma e’ pura “utopia”. Nella “politeia”, pur se la maggior parte delle persone ha qualità mediocri, tutto sommato mettendole insieme riusciranno a far funzionare il governo. Ma i politici devono essere “onesti e sinceri”, non devono ingannare” e non “approfittarsi” del suo ruolo per “interessi personali”, non devono “corrompere” né lasciarsi corrompere. Per loro l’onestà (dal latino honestus = onore) e’ proprio “una questione di onore” e di “dignità” personale. Ma “l’onestà” e’ vista in modi diversi da due noti filosofi della prima metà del Cinquecento. Secondo Erasmo da Rotterdam, teologo, umanista e filosofo olandese, “l’onesta’ assoluta” e’ una specifica qualità dell’uomo di governo. Nicolo’ Machiavelli, filosofo e politico fiorentino sostiene, invece, che l’onesta’ sia “incompatibile” in politica. L’uomo di governo, per raggiungere finalità sociali che si impongono come “necessarie a tutto il popolo” (e non “personali”) e’ obbligato talvolta a comportamenti contro la morale comune, come l’inganno, l’astuzia, la slealtà. Infine il filosofo abruzzese/napoletano Benedetto Croce, più vicino al nostro tempo (1866/1952), minimizza il valore del’onestà, esaltando invece il valore della “competenza”. Al politico, afferma, come pure all’ingegnere, al medico, all’elettricista, all’idraulico o ad altri professionisti in genere, non si chiede che siano “onesti” ma “competenti”, altrimenti causerebbero gravi danni alla collettività. Purtroppo scopriamo che gli odierni politici italiani (di ogni partito d’ordine e grado), salvo qualche lodevole eccezione, non sono ne’“competenti” e neppure “ onesti”.