sabato 4 luglio 2009
Chiudere il CGIE. La stampa "terrorista".
venerdì 3 luglio 2009
Le radici del'odio
giovedì 02 luglio 2009
Affermare che Silvio Berlusconi politico è un’anomalia, è un’ovvietà. Con altrettanta onestà andrebbe detto che tale anomalia è la diretta conseguenza di un’altra: la “pulizia etnica” per via giudiziaria di un’intera classe politica che, tra luci ed ombre, aveva guidato il paese durante la ricostruzione del dopoguerra, l’impetuoso sviluppo economico degli anni sessanta e l’assalto dell’eversione brigatista e delle frange fasciste degli anni settanta e ottanta. Garantendo libertà, democrazia e benessere. Qui non è in discussione se l‘azione dei Magistrati fosse giusta, e probabilmente lo era, o se abbiano travalicato dai loro compiti, e probabilmente lo fecero, o se l’aver graziato i comunisti fosse giusto, lo ritengo difficile, o funzionale ad un progetto che il partito dei PM intendeva attuare.
Qui interessa rimarcare che senza la scelta del Cavaliere di "darsi alla politica", Mani Pulite avrebbe consegnato il paese ai comunisti senza colpo ferire.
La scelta di Berlusconi fu dettata da interessi personali? E’ possibile, anzi probabile ma questa scelta intercettò l’ansia della maggioranza degli elettori che non avevano alcuna intenzione di consegnarsi mani e piedi ai comunisti proprio mentre il comunismo collassava in tutta Europa.
L’aver frustrato non una volta, ma per ben tre volte il sogno dei comunisti e degli ex comunisti di prendere il governo del paese, rappresenta probabilmente la causa prima, il primum movens, dell’odio della sinistra verso l’attuale Premier.
Il Cavaliere, poi, ci ha messo del suo, eccome, per non farsi non dico amare, ma almeno sopportare dai circoli intellettuali e dalle elite progressiste.
Certi atteggiamenti francamente sopra le righe, una vita anche privata che è apparsa quanto meno spericolata, il mantenere un profilo pochissimo, anzi per niente, istituzionale, gli ha procurato l’insofferenza di molti e al tempo stesso il consenso delle masse popolari che lo comprendono al volo e, sebbene ricchissimo, lo sentono vicino, uno dei loro, molto di più di quanto non lo sia, non dico, un Rodotà o un Violante, ma neppure Veltroni e D’Alema.
E’ questa la seconda radice: la rabbia, l’impotenza che nascono dal non sapersi capacitare come un tipo così, uno psiconano, un venditore di tappeti, uno che ignora la grammatica politica e istituzionale, un puttaniere, uno che va con le minorenni, possa guidare il paese e raccogliere un così largo consenso.
A questa domanda, a sinistra rispondono con un’interpretazione semplice e rassicurante: perché ha le televisioni.
E con le televisioni non solo controlla l’informazione, censurando le voci contrarie, ma fa qualcosa di più e di peggio: manipola le menti, crea una sottocultura che abitua a non pensare, enfatizza e pubblicizza modelli deteriori, inquina il pensiero delle masse.
E’ la terza radice dell’odio, che ignora, o finge d’ignorare che la televisione commerciale vende i prodotti che sono desiderati dalle masse. Che se le masse volessero cultura, rete4 programmerebbe Sofocle e Mozart invece che il Grande Fratello e i Cesaroni. E ignora che i format televisivi trash non sono una specificità italiana, anzi sono nati nel Regno Unito o negli USA. Basta possedere una parabola TV per vedere che dall’Europa, all’America al Medio Oriente, la televisione si è ormai omologata e molti, se non gli stessi programmi sono declinati in Italiano, Inglese, Giapponese, Spagnolo ed Arabo.
C’è poi la quinta ed ultima radice dell’odio.
L’Italia è un paese bellissimo, gli Italiani persone geniali. Eppure nella cultura, nella ricerca ed in tanti altri campi, siamo il fanalino di coda d’Europa. Perché? Perché non c’è concorrenza, perché esistono elite che vivono bene, ed a spese della massa, con privilegi e rendite di posizione, e si oppongono fieramente ad ogni cambiamento e perché sicuri che nessuno ha avuto, ha, ed avrà la forza di cambiare le cose.
Oggi un po’ meno sicuri, perché, per la prima volta dal dopoguerra c’è un uomo che ha un grande potere in Parlamento e un larghissimo consenso nel paese, che potrebbe (sottolineo potrebbe) cambiare le cose.Forse non lo farà, ma potrebbe. Sono preoccupati e non dormono la notte. E per questo odiano.
giovedì 2 luglio 2009
La forza della leadership.
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Nel suo libro Leadership e potere, Joseph Nye Jr sostiene che esistono due tipi di leader: quelli «eventful», il cui emergere dipende strettamente dal cambiamento repentino del contesto sociale, politico ed economico in cui si trovano; e quelli «event making», capaci di modificare essi stessi, con la loro intraprendenza, il corso delle cose. Silvio Berlusconi, forse, è l’unico caso in cui entrambi i modelli confluiscono. E' stato «eventful» nel 1994, quando entrò con energia in un contesto politico nel quale i liberali e i moderati non avevano più un punto di riferimento credibile, visto che tutti i partiti erano stati spazzati via dal ciclone di Tangentopoli. E’ stato «event making» nell’autunno del 2007: il governo Prodi boccheggiava alle Camere sotto la morsa di Di Pietro e della sinistra radicale; ogni volta sembrava cadere ma rimaneva aggrappato al ciglio del burrone grazie ad una furba politica del «contentino». In quello scenario, Berlusconi (forte di una spinta popolare proveniente sia dalla manifestazione romana del 2 dicembre dell’anno prima e da una campagna –gazebo che vide milioni di italiani lanciarsi nell’attivismo politico) piantò il faro che avrebbe illuminato la strada vero un unico, grande partito liberldemocratico, la prima forza del Paese. E lo fece con un gesto emblematico, di «rottura», il discorso pronunciato sul predellino di un'automobile, in mezzo alla gente, a Milano in Piazza S. Babila. Ma Berlusconi è stato un «creatore di eventi» anche in queste ultime settimane. Il Presidente del Consiglio, proprio in un momento di grande popolarità, è stato reso bersaglio di un'offensiva inedita nei contenuti ma gà vista negli strumenti e nella tempistica. Un'aggressione di tal portata a colpi di gossip, infatti non si era mai vista contro il premier. Ma l'insistenza di certa stampa su teoremi fasulli e conclusioni sballate, costruite in prossimità di una scadenza elettorale e di un appuntamento internazionale, è roba a cui gli italiani erano già purtroppo abituati dal 1994. Come lo erano alla tempestività di certa sinistra nel mettersi a traino di questa cattiva stampa per rivendicare un improbabile monopolio sui valori, sentendosi stavolta depositaria anche del diritto, vagamente stalinista, di guardare attraverso il buco della serratura altrui. E il Berlusconi «event making» ha reagito nel modo che gli elettori apprezzano di più, proseguendo in maniera spedita il suo cammino del fare, concentrato sulle emergenze che il Paese sta fronteggiando da mesi e su ciò che si aspettano dal governo le famiglie e le imprese. E rilanciando l'immagine dell' Italia in ambito internazionale sia nell'incontro alla Casa Bianca con Obama, sia al vertice Russia – Nato di Corfù. E' l'esempio di come una leadership vera sia una forte garanzia di governabilità. E' l'esempio - l'ennesimo – di un dialogo privilegiato con l'elettorato che la sinistra, dalla caduta del Muro di Berlino, non è più riuscita a costruire, e tenta di riallacciare da quindici anni attraverso la sistematica demonizzazione dell'avversario. A qualsiasi costo, anche quello di trascinare il Paese in una deriva polemica che rischia di disorientare l'opinione pubblica, minando in maniera spregiudicata la coesione sociale, addirittura in un momento di crisi. Le ideologie sono finite. Le distinzioni nel mondo politico, oggi, si effettuano solo in base alla capacità e al coraggio di realizzare le riforme. La sinistra, però, si ostina a dividere il mondo in «buoni» e «cattivi», utilizzando degli schemi da antiquariato. E' per questo che vede la leadership come un incubo. Ed è per questo che, da troppo tempo, non riesce a trovare quella sintesi con se stessa ed il proprio elettorato talmente credibile da poter esprimere una guida forte. Un conto, infatti, sono candidati frutto di compromessi con realtà collaterali al mondo politico (leggi: poteri forti). Un conto sono i leader, che oltre ad essere i centravanti di una sfida elettorale devono anche indicare la via identitaria di una forza politica. |