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sabato 2 giugno 2018

Cambiamento? Coerenza?


Manovre, tradimenti e pressioni internazionali: abbiamo visto di tutto e non ci abbiamo capito niente. Continuiamo a non capire come si sia potuti passare in 24 ore da scenari di golpe all'unità nazionale. Ogni mattina un premier incaricato si svegliava e sapeva che doveva correre più veloce dei cambiamenti di umore di Mattarella. Ogni mattina Mattarella si svegliava e sapeva che il suo ultimatum se lo sarebbe rimangiato entro sera. Il governo del cambiamento e’ appoggiato soprattutto da giovani che si propongono diversi, freschi e nuovi, ma altro non sono che degli intolleranti con la presunzione di essere migliori dei “vecchi” che hanno accumulato esperienza e conoscenza. Il loro “nuovo” e’ il “nulla” che chiamano “svolta". Nella bozza di accordo Lega-M5s c'e’ la soluzione del debito pubblico: chiedere alla BCE la cancellazione di 250 miliardi. Nel governo del “cambiamento” spuntera’ il “genio” che proporrà di trasformarlo in surplus. Per realizzare tutto quello che hanno promesso c’e’ bisogno che il governo del “cambiamento” sia pieno di “geni” e di “fenomeni”. Si spera che non siano come Roberto Fico, dai centri sociali alla presidenza della Camera. Mani in tasca durante l'inno nazionale e con la storia della sua colf fatta passare come amica della moglie. Tutti i componenti del nuovo esecutivo sono arrivati al Qurinale a piedi o col taxi ma sono usciti tutti con l’auto di stato e la scorta. Per ora nessun “cambiamento” da quelli che li hanno preceduti e che loro per anni hanno “ferocemente” criticatio. In tre mesi di “nullafacenza” i parlamentari hanno incassato circa 40mila euro di stipendio. E avrebbero dovuto andare al voto?

Curriculum, penultimatum e selfie sul tetto che scotta

Dai cowboy che giocano all'impeachment alla Jaguar di Conte. La nostra «House of cards» è una commedia

Se c'è un risultato di questi tre mesi surreali, è che non avremo mai più bisogno di guardare House of cards: a parte l'omicidio, il reality show di questo inizio Legislatura somiglia a un thriller politico.







Manovre, tradimenti e pressioni internazionali: abbiamo visto di tutto e non ci abbiamo capito niente. Urge perciò un dizionario semiserio, un bugiardino - mai termine fu più appropriato - per interpretare questa crisi da Repubblica dei Carciofi (le banane sono poco sovraniste): continueremo a ignorare come si sia potuti passare in 24 ore da scenari di golpe centrafricano all'unità nazionale, ma almeno non lo capiremo col sorriso.
A
Aventino. Il Pd ci sta passando le vacanze dal 4 marzo. È bassa stagione, ma dopo essere stati esodati dagli elettori Renzi & C. non hanno altri impegni oltre la villeggiatura. Bagni di umiltà e scorpacciate di polemiche. Piatto tipico, il carrello dei leader bolliti.
B
Bugie. Se hanno davvero le gambe corte, con tutte le promesse irrealizzabili e le giravolte di questi giorni, sta per essere varato un governo da Paralimpiadi. La madre di Di Maio però giura che il figlio non sa dirle. Infatti lo sgamano subito.
C
Curriculum. Ormai conta più della Costituzione. Quello taroccato di Giuseppe Conte ha appassionato più delle Notti magiche di Italia '90 e ha diffuso autostima a pioggia. Ogni tassista ora si sente campione di F1, ogni imbianchino un pre-raffaelita. La Repubblica fondata sulla mitomania.
D
Debito. Un falso problema, tipo le scie chimiche al contrario. Nella prima bozza di accordo Lega-M5s c'era la soluzione: cancellare col bianchetto 250 miliardi. Si attende il genio che proporrà di cambiare il - in un + per trasformarlo in surplus.
E
Euro. Tutta la campagna elettorale a parlare di fascismo e ius soli. Poi si va al governo e spunta l'idea di tornare ai sesterzi e al baratto. Le pensioni saranno commutate in orci di vino, ma qualche economista eurocatastrofista ha già preso qualche sorso di anticipo...
F
Fico. Duro e puro, dai centri sociali alla presidenza della Camera. Mani in tasca durante l'inno e golf d'ordinanza (o era la colf?).
G
Germania. In un mese si è passati dal «contratto alla tedesca» firmato da SalviMaio alla Merkel nuova Hitler con meno baffi. Non usciremo mai dal «voi mangiate i wurstel con la marmellata e noi vi rubiamo le mogli al mare». Andiamo a Berlino, Beppe! Ma speriamo che Oettinger non giochi la finale...
H
Hashtag. #senzadime, #primagliitaliani, #ilmiovotoconta, #nonèilmiopresidente. Ci lamentavamo del politichese e finiamo a fare i comizi con l'iPhone. Ridateci i «governi balneari».
I
Impeachment. Ultima moda d'importazione dopo Halloween e il Black friday. Facciamo che il Quirinale è la Casa Bianca e Mattarella è Nixon. Noi siamo i cowboy, ma se la mamma chiama per la merenda a Palazzo Chigi si fa la pace, eh.
J
Jaguar. Automobile estinta. L'ultimo esemplare era quello del professor Conte, che sfrecciava con la pochette al vento. Il pauperismo grillino l'ha costretta alla rottamazione, sostituita da un più popolare taxi. 5 stelle di nome, utilitaria di fatto.
K
Kgb. Le inchieste raccontavano che dietro il successo di Salvini e Di Maio c'erano siti e spie russe. Poi quelli vincono e Putin li lascia col cerino in mano, a giocare a Mosca cieca.
L
Like. Alle prossime elezioni si conteranno al posto dei voti. Salvini si arrabbia con un post, Di Maio aderisce con un pollicione via facebook e tutti i siti titolano a caratteri cubitali. È la figura dello statista nell'epoca dei bimbiminkia.
M
Maratona Mentana. Vediamo più lui di mogli e fidanzate. Come i tossici, siamo passati dai tg quotidiani di mezz'ora alle overdose di pomeriggi interi tra lui e la Sardoni. Legalizzala.
N
No. La parola dell'anno. No alla Bernini, no a incontrare Berlusconi, no alla Tav, no al soccorso esterno, no a Savona, no alla Ue, no ai tecnici. Manca solo il no al no.
O
Ottantotto giorni. La crisi dei record ha avuto tempi bizantini: a Bergamo ci impiegano meno a tirar su un quartiere. Qui dopo tre mesi c'erano ancora tre premier in corsa, tipo Master Chef. Chi va piano va lontano. Sul sano - soprattutto di mente - meglio non sbilanciarsi.
P
Paghetta. Chi lo dice che aspettare logora? In tre mesi di nullafacenza i parlamentari hanno incassato 40mila euro di stipendio. E avrebbero dovuto dimettersi per andare al voto? «Follow the money»...
Q
Quantitative easing. Come il boma quando gareggiava Luna Rossa: tutti ne parlano, nessuno sa esattamente cosa sia. Ma finché c'è, siamo tutti più tranquilli.
R
Reddito di cittadinanza. Sparito dalla discussione, non dalle speranze degli elettori grillini. Ecco spiegato lo «sguardo concentrato» di Toninelli al tavolo delle trattative: immaginava 11 milioni di creditori sotto la sede della Casaleggio Associati per chiedere il sussidio. Governo del cambia(le)mento.
S
Savona. Quando Salvini lo ha proposto a Di Maio, Luigino ha aperto subito Google Maps per orientarsi. Dalla Riviera di Ponente agli Affari europei, più centrale di Washington sullo scacchiere internazionale. Avanti Savona!
T
Tetti. Trattative di governo condotte sopra le righe e sopra le tegole. Salvini, a forza di riprendersi in diretta dalle terrazze come i ragazzini che fanno parkour, tra capriole e giravolte è arrivato pure in cima al Viminale. E senza felpa.
U
Ultimatum. Ogni mattina un premier incaricato si sveglia e sa che dovrà correre più veloce dei moniti di Mattarella. Ogni mattina Mattarella si sveglia e sa che il suo ultimatum se lo rimangerà entro sera come aperitivo.
V
Voto. Per il Pd meglio luglio, i leghisti preferiscono settembre, ai grillini non dispiace ottobre. Le elezioni anticipate come il calendario di Anna Falchi.
X
X In ogni trattativa che si rispetti arriva sempre il momento del «Mister X». Peccato che poi si comincino anche a fare i nomi. E lì si passa allo Xanax.
Z
Zainetto. Arrivato come uno Zuckerberg sul Colle, Cottarelli è rimasto premier soltanto 72 ore. Soggiorno breve, per il cambio di biancheria non serviva la valigia.

Dietro i giovani, il nulla

La vera offesa, la vera intolleranza sono nella presunzione di essere migliori, nel proporsi come diversi, freschi e nuovi, senza rispetto per gli altri e per la esperienza, bollati come il «vecchio».







Il disprezzo per il vecchio è una espressione di mentalità fascista. I vecchi vanno rispettati, venerati, protetti. E invece i finti giovani si vantano di essere nuovi e della loro inesperienza. Si vantano di una storia che sarebbe solo loro, e di un programma che sarebbe «approfondito» solo perché è il loro, mentre il nostro sarebbe «fantasioso». Bene, noi siamo per i vecchi, per l'esperienza, per la fantasia. Solo loro sono nuovi, solo loro sono giovani. Chissà perché allora io che sono vecchio vedo «persone», non giovani o vecchi, non uomini e donne, non eterosessuali o omosessuali; ma uguali. Ecco: noi siamo anche uguali. Uguali. Non diversi. E non distinguiamo il mondo in giovani e vecchi. Ma in bravi e incapaci, in esperti e inesperti. Il nuovo in sé non è un merito. Come non lo è essere giovani. E non è una colpa essere vecchi. È nuovo chi si autoproclama nuovo, senza neppure essere giovane? Diverso, essendo uguale? A noi importano esperienza, conoscenza, amore. Il loro nulla si chiama «nuovo». Il loro vuoto si chiama «svolta». Per noi conta la Storia, non le svolte. L'uguaglianza, non la diversità. Il rispetto della tradizione, che loro chiamano «il vecchio». Ai migliori, ai nuovi, ai diversi, voglio rispondere con i versi di un grande poeta, Sandro Penna: Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune.

venerdì 1 giugno 2018

Governo del "CAMBIAMENTO"?

Mattarella, in qualche modo, ha potuto rimediare e dato il via al governo del “cambiamento”. Per il bene dell’Italia mi auguro che sia p.er il “meglio”, ma quello che mi preocupa e’ che mai una “utopia” si e’ trasformata in realta’. I grillini e la Lega sono al governo, ora per loro comincia una nuova epoca e dovranno cambiare “pelle” perche’ sono partiti di governo e non più di lotta. Un conto essere all’opposizione e dire che tutto e’ sbagliato e criticare “ferocemente” chi e’ al governo, ben altra cosa e’ essere al governo. Ora saranno loro ad essere giudicati  e criticati e lo saranno ferocemente, come loro hanno fatto. Lo dico sinceramente: vorrei sbagliarmi, ma sara’ il governo della piu’ “grande delusione”. Lasciamoli lavorare, diamogli il tempo necessario (se ne avranno) e vedremo se ridicolizzeranno i governi che li hanno preceduti o se ci li faranno rimpiangere.

mercoledì 30 maggio 2018


Governo, Salvini stoppa Di Maio: ​"Riapre? Non siamo al mercato"

Il grillino vuole tornare a trattare con Mattarella. Ma il leghista lo gela: "Io ho una dignità e una serietà". E sfida il Colle a trovare la soluzione

Luigi Di Maio torna a tendere la mano a Sergio Mattarellasperando ancora in un governo gialloverde.







Ma Matteo Salvini lo gela tempo zero: "Riaprire a chi? A che cosa? Non è che siamo al mercato". Camminando per il mercato di Pisa, dove ha incontratto i cittadini che fra due settimane voteranno per il nuovo sindaco, il leader del Carroccio chiude a qualsiasi ipotesi di tornare a trattare con il Quirinale. "L'unica cosa da fare a questo punto è chiedere al presidente della Repubblica la data delle elezioni, prendere una marea di voti e governare per conto nostro".
Nessuna trattativa. Le possibilità di tornare a parlare di esecutivo politico scemano nel giro di una notte. "Io ho una dignità e una serietà - mette in chiaro - abbiamo rinunciato a posti, poltrone, presidenze, ministeri per mantenere la parola data agli italiani, ci hanno detto 'no, no, no'". Adesso tocca a Mattarella spiegare agli italiani come uscire da questo pantano. "Noi ci mettiamo a disposizione per accompagnare il Paese al voto il prima possibile", ribatte il leader del Carroccio chiudendo a qualsiasi ipotesi di rimettersi al tavolo per formare un governo targato Lega e Movimento 5 Stelle"Ci abbiamo lavorato un mese - replica secco - ci hanno detto questo ministro non va bene, quell'altro ministro non va bene, deve essere simpatico alla Merkel, a Macron, ai commissari europei. Ragazzi, l'Italia non è un paese schiavo di nessuno - continua - i tedeschi si facciano gli affari dei tedeschi, i francesi gli affari dei francesi che all'Italia pensiamo noi".
A questo punto, per Salvini, la palla resta in mano a Mattarella. È a lui che tocca sbrogliare la matassa. "L'appello che posso fare al presidente della Repubblica - scandisce - è dare agli italiani la data delle elezioni". La parola d'ordine, dunque è: andare al voto il prima possibile. Meglio se a metà settembre e non a fine luglio, come proposto dal Pd"Perché ci sono le sacrosante ferie". Il resto del compito toccherà agli italiani: "Saprano fare giustizia in cabina elettorale di quello che è successo in queste settimane". E, per quanto riguarda le future alleanze, chiarisce che la Lega andrà al voto "insieme a chi sostiene il nostro programma""Perché - conclude - l'Italia non può essere il paese che continua solo a dire 'signorsì' all'Europa".

Nel caos totale, ecco le ipotesi in campo

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Focus
Salvini: “Elezioni presto ma non a luglio”. Di Maio. “O Conte o voto”
Carlo Cottarelli, dopo aver incontrato alla camera rappresentanti di Lega e M5s, sta verificando nuove ipotesi. In ambienti vicini al presidente del consiglio incaricato  si fa osservare: “Durante l’attività del presidente del Consiglio incaricato per la formazione del nuovo Governo sono emerse nuove possibilità per la nascita di un Governo politico. Questa circostanza, anche di fronte alle tensioni sui mercati, lo ha indotto – d’intesa con il presidente della Repubblica – ad attendere gli eventuali sviluppi”.
Questo governo politico – secondo alcune indiscrezioni – potrebbe essere guidato da un esponente della Lega: e il pensiero va subito a Giancarlo Giorgetti. Nella confusione generale, Luigi Di Maio propone un ritorno di Giuseppe Conte, ipotesi davvero improbabile visto che il professore è stato già “bruciato” solo pochi giorni fa.
Ma è spuntata anche la voce di una “fiducia tecnica” al governo Cottarelli, magari sottoforma di astensione concordata. Per portare l’Italia alle urne a fine settembre. E intanto da Pisa Salvini parla di “elezioni presto ma non a luglio”.
Come si vede, il quadro è complicatissimo. Non si sa quando Cottarelli tornerà al Quirinale ma è verosimili che incontri il capo dello Stato nel pomeriggio.
L’unico dato che al momento sembra emergere è quello di un affievolimento delle possibilità di andare alle urne a fine luglio, l’ipotesi su cui si era chiusa la convulsa giornata di ieri.

Il Colle medita l'inversione a U Si cerca un governo politico

Di Maio: "Ritentiamo, collaboreremo col Quirinale". E la Meloni: "Pronta a rafforzare la maggioranza Lega-M5s"

E la richiesta di impeachment. E le minacce di morte. E lo spread schizzato oltre quota 300. E il caso Savona.








E la contromanifestazione grillina del due giugno. E il fallimento del governo politico Jamaica. E ora pure le difficoltà di mettere in piedi un banale esecutivo balneare. Ieri il capo dello Stato si è girato e ha scoperto che dietro a lui non c'era nessuno. Nessuna maggioranza, niente appoggio del Pd, zero speranze di costruire un accordo parlamentare per arrivare almeno in autunno. E nel frattempo era sparito persino Carlo Cottarelli, convocato al Colle per ufficializzare e la sua squadra tecnica e uscito di soppiatto mezz'oretta dopo «per approfondire la lista».
In realtà forse quello che vuole approfondire è proprio il presidente. Pare, dicono, sembra, che Mattarella starebbe meditando di cambiare cavallo e di dare un mandato politico, forse proprio a Matteo Salvini, o a Giancarlo Giorgetti. Un ritorno di fiamma improvviso, una seconda chance. Un colpo di scena, ma del resto perché meravigliarsi, in tre mesi ne abbiamo viste di tutte. Pure stasera se ne vedono parecchie. Luigi Di Maio che in due ore passa dall'impeachment all'offerta di «collaborare con il presidente per risolvere la crisi». I due leader di Lega e M5s che riaccendono il forno e si incontrano. Giuseppe Conte, premier in pectore per cinque giorni, a dispetto del curriculum, in preda a una crisi di astinenza da riflettori, passeggia sorridente con una misteriosa cartellina in mano davanti alla gelateria Giolitti inseguito dai cronisti. Chissà, il prof aveva nostalgia. Oppure sa che sta per essere richiamato in campo. E siccome non vogliamo farci mancare nulla, qualcun altro parla di un Silvio Berlusconi garante di un esecutivo Jamaica in formato ridotto, cioè senza Paolo Savona. Ma nella giornata delle voci e delle stranezze, prende quota anche un'ipotesi B, e cioè un mandato sì a Salvini però nel quadro di un'alleanza di centrodestra.
Ieri in serata un ennesimo colpo di scena da parte di Giorgia Meloni che lancia un video messaggio su facebook al presidente Mattarella: «Provi a fare l'unica cosa che non ha fatto sinora, dare un incarico a chi era arrivato primo alle elezioni, al centrodestra, per formare un governo e verificare se in aula c'è la possibilità di formare un governo. O in subordine, c'è comunque una maggioranza che si è formata in queste settimane: era la maggioranza che metteva insieme la lega e il M5s. Noi siamo stati critici però arrivati a questo punto siamo anche disponibili a rafforzare quella maggioranza con Fratelli d'Italia». Le fa eco Giggino Di Maio, che è saltato dal «rivoluzionario voglio la testa di re Sergio» a un pragmatico «siamo sempre disponibili». Il leader grillino lancia il suo ultimo accorato appello al Colle: «Una maggioranza c'è in Parlamento. Fatelo partire quel governo ma di mezzucci basta. Perché di governi tecnici, istituzionali, non ne vogliamo. Perché quelli traseno e si mettono e chiatte, come diciamo noi a Napoli. La maggioranza in Parlamento c'è». Per lui, forse è l'ultima occasione prima di essere fagocitato da Alessandro Di Battista, per questo non si fa scrupoli a rimangiarsi tutto in un giorno, a cominciare dalla richiesta di stato d'accusa nei confronti di Mattarella. «Un conto - spiega ai suoi - è portare avanti una battaglia politica, anche dura, criticando il Colle su un piano politico. Un altro è l'impeachment, che sposta la questione su un piano di scontro istituzionale». E Matteo Salvini invece dice di voler votare presto, subito, immediatamente, ma che non intende «disturbare gli italiani» ad agosto.
Comunque vada a finire il feuilletton, al Quirinale per ancora un bel po' ci sarà sempre lo stesso inquilino. Ragionamenti simili deve averli fatti il segretario del Carroccio, che si tiene pronto ad ogni evenienza. Chissà, forse il gialloverde torna di moda, o il centrodestra avrà il suo agognato incarico. Chissà. Intanto il Viminale si sta già attrezzando per votare il 29 luglio.

Giallo al Quirinale: Cottarelli chiede tempo. Il Pd per lo scioglimento delle Camere

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Focus
Verso il voto a luglio?

Un colpo di scena inaudito. Un giallo. E’ tutto rinviato a domani. Una cosa mai vista quella capitata oggi pomeriggio al Colle: Cottarelli ha incontrato Mattarella ma ha immediatamente lasciato il Quirinale ed è tornato alla Camera senza rilasciare dichiarazioni. Nessun governo, quindi, almeno per ora. Il Capo dello Stato riceverà nuovamente il presidente incaricato domani.
L’ipotesi più probabile è che il governo Cottarelli non vedrà mai la luce, anche se fonti del Quirinale smentiscono possibili rinunce da parte del premier incaricato. Cottarelli, fanno sapere dal Colle, avrebbe solo bisogno di più tempo per approfondire alcuni nodi legati alla lista. Notizia confermata anche dal diretto interessato che entrando alla Camera ha spiegato che si stanno “approfondendo alcune questioni sulla lista dei ministri ma non ci vorrà molto”.
Se così non fosse, a Mattarella non resterebbe che sciogliere le Camere e mandare il paese al voto a luglio; i tecnici del Viminale sarebbero già al lavoro per verificare l’ipotesi di un eventuale voto il 29, l’ultima domenica del mese. Con il governo Gentiloni a gestire le elezioni. Tutto è ancora possibile. L’unica cosa certa è che siamo davanti agli ultimi miasmi di una mini-legislatura da incubo.
Ma cosa è successo questo pomeriggio? Difficile dirlo. E’ possibile che, come spiegato da Cottarelli e dalle stesse fonti del Quirinale, ci sia semplicemente bisogno di ulteriore tempo per completare la lista dei ministri, ma certo sarebbe una cosa davvero paradossale dopo che lo stesso Cottarelli aveva chiesto e ottenuto di poter salire al Colle per sciogliere la riserva.
Ma forse c’è dell’altro. Nelle ultime ore in ambienti parlamentari si è molto rafforzata l’idea di un voto molto più ravvicinato del previsto. L’accelerazione trova d’accordo il Pd, che anzi l’ha esplicitamente perorata con il capogruppo Andrea Marcucci e il ministro della Giustizia Andrea Orlando. E a quanto pare anche Luigi Di Maio sarebbe d’accordo. Molto meno, presumibilmente, Matteo Salvini che contava di attivare le commissioni parlamentari, pur in assenza di un governo nella pienezza delle sue funzioni, per far partire qualche provvedimento del mitico “contratto”.
D’altra parte, l’aria di campagna elettorale già ammorba il climapolitico. Fin nelle aule parlamentari: al Senato sono già andati in scena una serie impressionante di comizi, da Toninelli a Centinaio, con la presidente Casellati costretta a richiamare il capogruppo grillino a non tirare in ballo il capo dello Stato contro il quale il pentastellato si stava scagliando. Il tutto in una giornata resa più nevrastenica dalla improvvida uscita del commissario Oettinger.

lunedì 28 maggio 2018

A Di Maio in crisi di nervi sono spuntati i capelli bianchi

Focus
Il capo politico del M5s soffre la concorrenza di Di Battista e soprattutto la leadership dei populisti di Salvini.
Luigi Di Maio ha avuto un crollo nervoso. Una crisi di nervi. L’aplomb dell’affittacamere si è dissolto, le occhiaie sono diventate più nere, appare persino un filo di sudore, cosa per lui inedita, e qualche incertezza nelle consecutio – questa sì già vista. E spunta qualche capello bianco, al ragazzo, segno di uno stress che la giacchetta avvitata e il nodo ben fatto non riescono a coprire.
Già, sul palco di Fiumicino ieri sera il ragazzo di Pomigliano è parso smarrirsi un pochettino, forse perché aveva alle spalle quel diavolo di Dibba, più descamisado che mai e dunque perfetto nella parte del rivoluzionario de’ noantri ma di certo più in palla del Capo politico. Il quale in poche settimane si è visto prima a palazzo Chigi, poi al ministero del lavoro, poi niente: come quei liceali che sognano una gran fidanzamento con la più bella della scuola e poi si svegliano madidi per correre a scuola. 
Di Maio ha fatto la figura del cameriere di Salvini. Che si è rivelato molto più leader di lui. E che con ogni probabilità toglierà voti al ragazzo di Pomigliano, perché se sei veramente sovranista, antieuropeo, anti-istituzionale e anche un po’ xenofobo quello fa per te è la Lega. Non Cinquestelle. Tantomeno Cinquestelle formato Tecnocasa à la Di Maio.
Il M5s è inopinatamente sulla soglia di una potenziale crisi. Che spazio ha fra la Lega lepenista e le forze democratiche e europeiste? E che futuro politico ha, Luigi Di Maio, l’enfant prodige che ha portato il Movimento in questa palude?
Sono domande a cui presto il futuro darà risposte. Intanto lui, Giggino, farebbe bene a darsi una calmata. Ché la parola “impeachment” non la pronuncia neanche tanto bene. Lasci stare.

Fuori dall’ Euro la Germania crolla (e l’Italia vola).Questa è la verità! Theo Waigel

Fuori dall’ Euro la Germania crolla (e l’Italia vola).A dirlo e l’ex ministro delle finanze tedesco Theo Waigel.L’Euro conviene solo ai tedeschi,
ecco perchè ci siamo dentro, e perchè la Merkel farà di tutto per non farci uscire, per non far cadere l’Euro. Siamo tutti ostaggio della Germania…


Theo Waigel è stato per dieci anni Ministro delle Finanze di Helmut Kohl. Il 21 giugno scorso ha rilasciato un’intervista a T-Online. Questo è un frammento delle sue dichiarazioni.

Intervistatore: “I sondaggi sull’uscita dalla UE mostrano che se si chiedesse ai francesi e ad altri, vincerebbe chi vuole uscire, con uno scarto minimo. Secondo lei da dove viene questa disaffezione per l’UE?”

Theo Waigel: “Al grado di sviluppo della globalizzazione e dei mercati aperti cui siamo arrivati – che non è più reversibile -, ci sono forze che si oppongono, sostenendo la necessità di ritornare ai confini e alle regolamentazioni nazionali, che prima funzionavano bene, per tornare ad appropriarsi delle proprie capacità decisionali“.

Intervistatore: “E cosa gli si può rispondere?”
 
Theo Waigel: Gli si può rispondere in modo del tutto chiaro quali svantaggi ne scaturirebbero. Se la Germania oggi uscisse dall’unione monetaria, allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20% e il 30% del marco tedesco – che tornerebbe nuovamente in circolazione -. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per il nostro export, per il nostro mercato del lavoro, o per il nostro bilancio federale“.

L’euro conviene alla Germania, ecco perché ci restiamo dentro. Va da sè che se il marco diventasse sconveniente, la lira diventerebbe conveniente per i mercati, per gli investitori e per i consumatori. Queste cose i commentatori nazionali non ve lo dicono. Queste notizie ai telegiornali non passano. Per chi lavora la stampa italiana? Per chi lavora la politica italiana? Per l’Italia o per Berlino? Se lavorasse per gli italiani, interviste come queste sarebbero in prima pagina su tutti i quotidiani, in luogo dello spettro dell’inflazione, e la gente inizierebbe a trarne le conclusioni.

In Germania, invece, non si fanno problemi a dirlo con chiarezza. Anche perché hanno interessi opposti. Ci fu anche un pezzo dello Spiegel Online che lo disse con altrettanta chiarezza:

« Con un’uscita dall’Euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo. La nostra invece inizierebbe proprio allora. Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente. Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei. E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda. Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative. Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un Interesse a un crollo dell’euro. »

domenica 27 maggio 2018

Di Maio – Salvini, per adesso solo (costosissima) propaganda




Focus
I nazionalpopulisti non vogliono ancora transitare dalla dimensione propagandistico-comunicativa a quella della prassi
Il “populismo di lotta” fatica a trasformarsi in “populismo di governo” – che sembrerebbe un ossimoro, ma era legittimo aspettarsi che le prassi post-elettorali facessero archiviare gli eccessi movimentisti. Non solo i due dioscuri della cosa giallo-verde non si sono istituzionalizzati, ma sembrano perfino essersi ulteriormente radicalizzati.
Hanno confezionato un programma di governo perlopiù anticostituzionale, che andrebbe stracciato seduta stante per l’involuzione totalitaria dello Stato di diritto cui le parti hanno certificato di ambire, e lo hanno battezzato “contratto”, termine mutuato dal gergo privatistico per esibire estraneità e dunque disprezzo per la dimensione costituzionalistico-pubblicistica (disprezzo “sostanziale”, oltreché verbale, nel caso del M5s, che ha per l’appunto privatizzato un terzo del Parlamento introducendo per via statutaria il mandato imperativo – anticostituzionale anch’esso, va de sé); hanno cooptato di fatto a Palazzo Chigi un premier-prestanome degradato a mero esecutore di un programma preconfezionato, stravolgendo la Costituzione materiale e maltrattando quella formale con un’arroganza partitocratica senza precedenti; hanno imposto a suddetto premier di autoqualificarsi come «avvocato del popolo», una formula dagli echi robespierriano-rousseauiani che fa un po’ venire i brividi, in opposizione agli ex premier tutti «avvocati delle banche» (Virginia Raggi dixit) e in linea con la favola della dicotomia tra popolo ed élite – pietra angolare dello storytelling populista – di cui ha parlato l’altro ieri Salvini. Lo stesso Conte, per dare una qualche concretezza a questa semplificazione truffaldina, ha incontrato gli azionisti traditi dalle banche in qualità di premier in pectore.
Insomma, i nazionalpopulisti non vogliono ancora transitare dalla dimensione propagandistico-comunicativa a quella della prassi, avventurandosi perfino in bracci di ferro col Quirinale per nomine-slogan che hanno fatto spazientire pure un Capo dello Stato non interventista e dalla “pazienza zen” come Sergio Mattarella. A quest’ultimo, per di più, Di Battista padre e figlio hanno rivolto parole da fascismo-movimento (impregnate dunque di fascino rivoluzionario, giacobino) dalle quali nessuno, incluso il simbolo del grillismo in doppiopetto Di Maio, ha sentito l’esigenza di prendere le distanze.
Per adesso solo propaganda – propaganda costosissima, per di più, viste le reazioni dei mercati –, non ci resta che sperare che i gemelli diversi del populismo giallo-verde scoprano quanto prima una qualche etica delle responsabilità.