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mercoledì 1 luglio 2015

La trappola greca

Il referendum greco è una trappola. Per i greci. La bancarotta greca sarebbe una tragedia per loro, ma anche una trappola per gli altri europei e per l’occidente. Non è la prima volta, nella storia, che problemi la cui soluzione conviene a tutti, e che non è neanche così difficile, si allontana a causa di condotte irrazionali e di interessi di gran lunga meno rilevanti del danno che provocano.
Nel 2011 la Grecia si approssimava alla bancarotta, dopo anni in cui il tenore di vita e la ricchezza disponibile erano colà cresciute. Lasciamo da parte i conti taroccati, notoriamente tali e come tali tollerati dalla Commissione Ue. Erano i bassi tassi e la convenienza a far debiti a spingere i disavanzi continui, dando l’impressione di un Bengodi infinito. La crisi dei debiti sovrani infranse il sogno, trasformandolo in incubo.

In quel momento sostenemmo che, se l’Unione aveva un senso, non si dovevano abbandonare i greci e non si doveva ipotecare il futuro dei più giovani. Il primo passo fu indecoroso, usando i soldi degli aiuti per salvare le banche, prevalentemente tedesche e francesi, che si erano esposte (a fini di lucro, mica di beneficenza) con la Grecia. Poi, però, i debiti furono due volte tagliati e gli aiuti sono affluiti più copiosi degli interessi (bassi) che i greci pagavano. Chi parla di “strozzinaggio” europeo ha dei seri problemi con l’aritmetica.
Oggi la situazione è ribaltata. Un nuovo governo è al potere, eletto grazie a promesse suggestive, irrealistiche. Pretende che i creditori continuino a prestare denaro, sapendo che non sarà restituito, senza porre condizioni. Che, del resto, non sono tali da impoverire i greci, visto che a tutti conviene che riprendano a crescere, ma servono a chiudere la mangiatoia della spesa pubblica. Veleno per la vita dei giovani ellenici. Per giunta il governo greco se la prende con la Banca centrale europea, che in questi mesi s’è spesa per alimentarli di liquidità, attirando su di sé critiche pesanti e non del tutto infondate. Vogliono non solo la liquidità d’emergenza (che la Bce ancora assicura), ma che sia aumentata. Non si sa dove finisca l’improvvisazione e dove cominci l’impudenza. Hanno chiuso le banche, togliendo ai cittadini il diritto di disporre del proprio denaro, perché sanno che la loro condotta incita alla fuga. Sperare di attribuirne la colpa alla Bce è infantile, oltre che irresponsabile.
Il referendum è truffaldino, perché su un documento tecnico e articolato, che, semmai, dovrebbe essere oggetto di negoziato, non di voto in blocco. Non è pro o contro l’euro, anche perché sanno che la grande maggioranza voterebbe a favore della permanenza (mica sono scemi). Lo hanno inventato perché sanno che la Grecia ha un posto rilevante, nello scacchiere militare europeo, con confini delicati, quindi oggetto di sollecitazioni statunitensi affinché non sia persa (il passato avrebbe dovuto vaccinarli, sui governi militari). Hanno pensato: mettiamo il negoziato davanti a quel bivio e il resto d’Europa sbraca. Il genio della teoria dei giochi, Yanis Varoufakis, lo ha anche detto: cambiate le condizioni e noi diremo di votare sì. Li ha presi per scimmie ammaestrate, i cittadini. Invece quel referendum diventa un alibi per i falchi, per i devoti della contabilità, per chi crede che i conti vengano sempre prima della storia e della politica: lasciateli votare, evviva la (falsa) democrazia: se voteranno a favore del piano, andrà a fondo il governo greco (il bello è che Varoufakis lo nega, candidandosi a sostenere l’opposto di quel che dice); se voteranno contro nessuno avrà buttato fuori i greci, ma saranno loro ad avere deciso. Come trovarsi nell’Oceano e sventrare la chiglia per far dispetto all’equipaggio.
Ci sono sempre le condizioni e le possibilità per sottrarre la Grecia al naufragio, come fin qui s’è fatto, ma per riuscirci è necessario che i greci siano consapevoli che il loro governo è il loro problema. Si sono messi nelle mani dell’ex gioventù comunista e affidati alla sapienza di chi li porta verso una svalutazione ciclopica avendo un lavoro pagato in dollari, negli Stati Uniti. Il popolo è sovrano, ma il 64% dei votanti non li votò. Ora sovranamente deve provvedere. Errori ne sono stati commessi molti, dagli altri europei, compreso l’avere instaurato tavoli non istituzionali, con i soli tedeschi e francesi. Ciò ha indebolito la capacità di risposta istituzionale, rafforzando l’impressione che l’esito del negoziato fosse la sottomissione ad alcuni. Ma Tsipras e Varoufakis non hanno sollevato questo problema, stanno solo provando a trattare in modo inaccettabile. Chiedendo di farlo ancora a lungo. Tocca agli elettori greci fare quello che il loro Parlamento si dimostra incapace di fare. Pagina pessima, foriera di mille complicazioni. Va girata in fretta.
Davide Giacalone
@DavideGiac

domenica 28 giugno 2015

I conti dell'asilo

Alcuni numeri aiutano a capire la dimensione della sconfitta italiana. E anche le sue ragioni. L’accordo europeo prevede la redistribuzione, in due anni, di 40mila rifugiati. Non immigrati in generale, ma persone cui è riconosciuto lo status di profugo, cui si offre asilo. Posto che l’accordo non prevede obbligatorietà, quindi è solo un rinvio, per quantificarne l’irrilevanza basterà sapere che l’Unione europea ha accolto (dati Eurostat) 185mila rifugiati nel solo 2014, il 50% in più rispetto al 2013. 750mila dal 2008. L’anno scorso la Germania ha offerto asilo a 47.600 profughi (82% in più rispetto al 2013), la Svezia a 33mila (+25%), la Francia e l’Italia a 20.600.
Ma la Francia con un +27%, noi con un +42. Significa che nel 2013 la Francia ha deciso di ospitò più profughi dell’Italia. Questi numeri dicono che siamo andati allo scontro, in seno all’Ue, sul tema sbagliato: anziché sollevare il dramma degli immigrati tutti, quelli economici compresi, che ci vede più esposti non perché la nostra frontiera sia la più violata, ma perché è di mare, quindi siamo costretti ad aiutarli, anziché porre questo problema ci siamo irrigiditi sui richiedenti asilo, dove siamo quelli che ne ospitano meno. Un capolavoro.
Di questo sono ben consapevoli gli asilanti stessi, che fuggono dalla guerra ma non per questo vogliono buttarsi nel caos ed essere mischiati agli emigranti per ragioni economiche e ai criminali che li gestiscono. Difatti le richieste di asilo, calcolate su mille abitanti, sono prima di tutto verso la Svezia (8.4), poi Ungheria (4.3), che oggi viene descritta come razzista visto che vuole alzare un muro, dimenticando che è stata la più aperta, via via giù verso la Germania (2.5) e sotto l’Italia (1.1). Neanche ci vogliono venire, da noi. Per tacere, poi, del modo in cui si amministrano i fondi e i centri di accoglienza, tema sul quale abbiamo avviato una pratica di autosputtanamento globale, e tralasciando il funzionamento della macchina amministrativa e giudiziaria.
C’è di più. In Italia tutti hanno imparato a lamentarsi contro il regolamento di Dublino, che stabilisce i profughi debbanno essere trattenuti e identificati, prima della destinazione finale, nel Paese ove mettono piede. Non vedo come si possa fare diversamente, se non si procede a creare zone extraterritoriali di smistamento. Ma mentre ci si lamenta per quel vincolo verso l’esterno, noi facciamo esattamente la stessa cosa all’interno. E’ il solo modo per spiegare come mai 14mila persone provenienti da fuori si trovano in Sicilia, 8.500 nel Lazio, 5.800 in Lombardia e via scendendo, con la rossa Emilia a 3.400 e la Toscana dei compagni a 2.600. I più generosi a chiacchiere sono i meno affollati, mentre quelli che urlano di più i meno assediati. Come si spiega? Perché tratteniamo le persone dove arrivano, in una specie di Dublino interna, e se proviamo a spostarle scoppiano polemiche roventi. Il che dovrebbe aiutarci a capire le reazioni altrui, visto che sono come le nostre.
Ho visto che dopo tante sciocchezze buoniste, dal governo hanno cominciato ad inanellarne di cattiviste. Elettoralismo senza buon senso. Ha detto Matteo Renzi: prendiamo solo i profughi e respingiamo gli emigranti economici. Guardi che ne abbiamo tanti, regolari e senza problemi. Vanno respinti i clandestini, ma siccome non siamo capaci è quello il terreno su cui coinvolgere l’Ue. Il problema non è usare gli aerei per rimpatriarli, ma che l’attesa di giustizia li ferma all’imbarco e la nostra polizia li perde di vista. Dice Graziano Delrio: “vi do una notizia: gli immigranti arrivano di più via terra”. Gliene diamo una noi: sono anni che lo scriviamo. Aggiunge: ci vogliono campi nei paesi da cui partono. Bravo, sembra Matteo Salvini alla fettuccina emiliana, ma lì ci sono guerre e bande, fare i campi significa mandare gente armata (lo dice pure il pontefice!). Hanno voluto Federica Mogherini? Provino a dirle di porre la questione, che ha a che vedere con la politica estera e con le armi.
Strappare la redistribuzione di 40mila persone in due anni, ammesso che sia vero, è una doppia sconfitta: perché è troppo poco, rispetto alla realtà, e perché non possiamo più neanche porre il tema della difesa comune delle frontiere, avendo supplicato e minacciato per infinitamente meno. Una sconfitta figlia della confusione mentale e della retorica senza conoscenza dei problemi.
Davide Giacalone