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mercoledì 11 settembre 2013

Muro contro muro il massimo della cecita'



 

 
Lorenzo Matteoli
Martedì, 10 Settembre 2013
Muro contro muro la manifestazione della assoluta imbecillità politica. L’atteggiamento simmetrico di PdL e di PD è praticamente identico: segno che la decadenza dell’intelligenza politica investe tutto il teatro sia sul palcoscenico che in sala. L’emblema sacrificale dalla parte del PD è Luciano Violante che viene massacrato dai compagni nonostante i suoi sessanta e passa anni di fedele militanza perché sostiene (osa sostenere) il diritto di Berlusconi di difendersi. Un diritto elementare e fondamentale di qualunque imputato, delinquente, pregiudicato. Per la base PD/PCI cieca e incazzata Berlusconi non deve avere nemmeno quel diritto.
Da parte del PdL il “muro” è la assoluta incapacità di vedere come la situazione di Berlusconi è la classica situazione dove la evidente attuale “debolezza” deve essere trasformata in “forza” con una sterzata radicale. Rischiosa, ma sicuramente meno rischiosa dello stallo. Se Berlusconi “saltasse fuori” dalla posizione di stallo scegliendo di difendersi lasciando la carica di senatore guadagnerebbe, subito, un credito politico e di immagine fortissima. Sulla base della quale le successive manovre sarebbero molto più facili. Ma non riesce, impedito dai suoi falchi, dalla debolezza o non credibilità delle sue colombe o dalla sua stanchezza e fragilità attuale. Il problema è restare “dentro” allo stallo, la soluzione sarebbe uscirne. Con una ferocia suicida le due parti, e i relativi alleati espliciti, impliciti, voluti o non voluti, hanno costruito con pervicace lungimiranza la situazione dell’attuale insolubilità. Da una parte una magistratura politicizzata ha distrutto la credibilità della Giustizia italiana: nessuno crede nella indipendenza del giudizio. Ci si limita a recitare il mantra che le sentenze si rispettano, che è per estrapolazione la implicita ammissione che si rispettano “comunque”. O così viene interpretata. Quindi anche le sentenze giuste non sono credibili, se poi si aggiungono comportamenti estemporanei di giudici le cose non migliorano e se nella celebrazione dei processi non si ammettono i testi a difesa, la trasparenza della liturgia non migliora.
A questo punto che il Berlusconi sia colpevole o innocente non ha più alcuna importanza: se è colpevole di condanne inflitte da magistrati rigorosi e giusti ma appartenenti a un “ordine” non credibile resta ampio margine di contestazione. Allo stesso modo se è innocente e ingiustamente condannato resta ampio margine di contestazione. Che fare? La soluzione va cercata nella mossa meno devastante per le parti in gioco e non è detto che sia una soluzione pubblicamente denunciata e pubblicamente operabile.
Napolitano non può fare atti di clemenza non richiesti e inaccettabili per la dignità dell’Istituto. Il PD non può cedere dopo avere per mesi e anni sostenuto la linea della legalità ad oltranza (con molti cedimenti peraltro in casi che implicavano compagni o istituti di area). Il PdL non può cedere dopo avere sostenuto per anni la tesi dell’innocenza e della strumentalità della Giustizia di parte. E che senso avrebbe la resistenza a oltranza attuale se fra due settimane arriva la pena accessoria della Corte d’Appello milanese? La sentenza di terzo grado della Cassazione, credibile o dubitabile che sia, non è modificabile pena un ulteriore massacro dell’Istituto.
L’unica via praticabile con relativa minore devastazione politica e istituzionale è una mossa di Berlusconi per uscire dallo stallo distinguendo la sua posizione da quella del Partito. Il vantaggio enorme di avere la titolarità della soluzione! Sarebbe anche la via potenzialmente più utile politicamente per il PdL e consentirebbe a Berlusconi di riorganizzarsi su una piattaforma più dignitosa di quella dello stallo e del muro contro muro. Una decisione difficile, ma i vantaggi scatterebbero un secondo dopo.
 

 

Il diritto e il caso Berlusconi


 

Gianni Pardo

Martedì, 10 Settembre 2013

 
Indro Montanelli diceva spesso al suo dentista (uno dei migliori professionisti di Milano, di cui mi onoro di essere amico): “Tutti noi, giornalisti inclusi, conosciamo solo il 10% di ciò che avviene”. Aveva ragione. Da parte sua Alistair Cooke (1908-2004), anche lui immenso opinionista, una volta osservò che la gente chiede ai giornalisti la spiegazione di ciò che accade negli incontri internazionali, mentre l’interrogato ne sa più o meno quanto loro. Può dire a che ora sono arrivati gli interessati, come erano vestiti, che faccia avevano durante il comunicato finale, ma non molto di più. A questo si può pensare nel momento in cui tutti si interrogano su ciò che faranno il Pd e Berlusconi e su come andranno le cose nella Giunta del Senato per le Elezioni. È semplice: non ne sappiamo niente. Può darsi perfino che non ne sappiano niente neppure i protagonisti: lo studio della storia ci ha insegnato quanta casualità, quanti errori, quanti calcoli sbagliati ci siano dietro i più grandi avvenimenti. Il caso presente si singolarizza tuttavia per un aspetto: si dà ad intendere che il problema sia giuridico. Addirittura, la discussione è cominciata prima della discussione, quando ci si è chiesto se la natura della Giunta sia giuridica o politica. Se uno avesse la dabbenaggine di credere all’ingenuità dei politici, tutto dovrebbe indurre ad un sorriso di compatimento. In realtà, tutto il parlare che si fa di leggi, di Costituzione e persino della Corte Europea di Strasburgo, serve soltanto per il grande pubblico. È un paravento dietro il quale si nasconde uno scontro politico inconfessabile, per la sua brutalità,  e tuttavia perfettamente normale. Il diritto è uno dei più grandi raggiungimenti della civiltà. Dal momento che la morale è opinabile e priva di sanzione, il diritto è forse l’unico strumento che l’umanità è riuscita ad inventare per mettere ordine e razionalità nella vita associata. Ma esso presuppone che esista un’entità (lo Stato) sopraordinata rispetto alle parti, estranea alla controversia e capace di applicare le proprie decisioni con la forza. Se questa autorità non esiste, il diritto non può esistere. Se poi essa non è estranea alla controversia, non è imparziale; e se infine non è capace di applicare le proprie decisioni con la forza, è inutile. Proprio per questi principi il diritto internazionale non è affatto ciò che crede la gente: è più o meno una serie di accordi liberamente consentiti cui si obbedisce finché si reputa opportuno obbedire. Insomma un obbligo di galateo. Dunque l’Onu non ha nessun valore. Quando gli Stati votano non lo fanno perseguendo la giustizia (concetto peraltro opinabile) ma i loro interessi. Se il Consiglio di Sicurezza decide di agire, in tanto può farlo in quanto una o più potenze siano disposte a sobbarcarsi i costi militari e umani dell’impresa. Diversamente il Consiglio con le sue famose “Risoluzioni” può farsi vento. E non dimentichiamo che chi invia un esercito lo fa soltanto se conta di ricavarne qualcosa. L’Onu non è – e non può essere – un’organizzazione giuridica. Per queste stesse ragioni la discussione in Giunta non è affatto tecnica. Manca il potere sopraordinato che possa applicare la legge, manca l’estraneità alla controversia e ognuno tira l’acqua al proprio mulino, come da sempre si fa in politica. Alla fine vincerà il più forte o il più abile ed è ridicolo sentir parlare di “interesse del Paese”, di “nullum crimen sine praevia lege”, di sentenze e di morale. Qualcuna di queste ragioni potrebbe anche entrare nelle motivazioni di qualcuno, ma in generale la politica riproduce fra i partiti ciò che avviene nell’ambito internazionale: una lotta senza quartiere di tutti contro tutti, in cui la morale e il diritto non contano nulla. Naturalmente, alla morale e al diritto ci si appella continuamente perché è quello che si aspettano gli incompetenti, i lettori di giornali, gli spettatori della televisione; quelli che si scandalizzano se qualcuno fa l’ipotesi di “ricatti”, “tranelli”, “violazione delle regole”. Come se la politica fosse fatta d’altro. Qui vige il principio per cui, come ha riassunto Tucidide, “Potendo ricorrere alla forza, nessuno ricorre alla giustizia”. Dunque non ci rimane che aspettare i fatti. Per il resto, il 90% della sostanza ci è nascosto e nessuno sa niente di ciò che sta avvenendo. Sappiamo soltanto che avviene in termini di pura forza, di calcolo di interessi, di lotta senza esclusione di colpi. Cioè di politica. Naturalmente questa visione apparirà orribile. E ci sono degli ingenui capaci di credere che, se una cosa appare orribile, non è vera. Non è difficile capire la politica, è difficile uscire dalle proprie ostinate illusioni.

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