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venerdì 15 aprile 2016

La morte di Casaleggio. Ipocrisia e politica.

De mortuis nihil nisi bonum è antica, saggia e pietosa norma. Non s’ha da dire se non il bene.
Direi, però, che è altra cosa che la morte imponga di cambiare opinione, di dire il falso e di far diventare “buoni” i giudizi più duri espressi in passato.
Casaleggio con Grillo, fondatori del Movimento Cinque Stelle potranno essere assolti in vita ed in morte dall’accusa di aver fatto diventare cretini tanti italiani, dovendosi la loro responsabilità limitarsi all’aver fatto emergere, affiorare e assumere peso e, ahimè, potere, all’antipolitica ottusa e a scempiaggini antiche e nuove. Cosa che si può anche sostenere esser meglio si manifesti e, magari si organizzi, piuttosto che rimanere nascosta “sotto il tappeto” per essere poi comunque utilizzata da chi in politica meglio utilizza la retorica e vellica i peggiori sentimenti.
Di Casaleggio e di Grillo, uomini investiti di alte responsabilità istituzionali hanno detto di tutto e di più seppure, magari, senza esagerare.
Morto Casaleggio è stato compianto ipocritamente come un grande pensatore, un innovatore della vita politica del paese etc etc.
Bell’esempio di pietà e di perdono, si dirà.
Nessuno mi convincerà che ci sono e ci debbono essere dei momenti in cui la verità debba andarsi a nascondere per lasciare libero campo ai sentimenti.
Qui poi non si tratta di sentimenti ma di ipocrisia. Molta gente altolocata ha pensato che, morto Casaleggio fosse giunto il momento di spartirsene l’eredità, anticipando, virtualmente, il trapasso di Grillo. Eredità del movimento, eredità di voti.
E’ l’accorrere ipocrita di parenti, divenuti improvvisamente affettuosi ed indulgenti, al capezzale dell’auspicato morituro.
Ancora una volta possiamo riderci sopra, leggendo un bel sonetto di G.G. Belli:
ER TESTAMENTO DER PASQUALINO
Torzetto l’ortolano a li Serpenti
Prometteva oggni sempre ar zu’ curato
C’a la sua morte j’averia lassato
Cinquanta scudi e certi antri ingredienti
Quanto, un ber giorno, lui casc’ammalato;
E curreveno già quinici o venti
Tra pparenti e pparenti de parenti
A mostraje un amore indemoniato
Ecchete che sse venne all’ojo-santo;
E ‘r curato je disse in ne l’ontallo:
«Ricordateve fijo, de quer tanto…»
Torzetto allora uprì du lanternoni,
E j’arispose vispo com’un gallo:
«Oggne oggne, e nu me rompe li cojoni»
6 aprile 1834
Con tutto il rispetto dovuto, naturalmente, al Presidente della Repubblica, ai Segretari dei partiti etc etc.

A Roma ci manca solo i gatti contro le "pantecane"

Credo che nessuno che vive a Roma avrà mai il coraggio di negare che quello dei topi è uno dei problemi di fronte ai quali si trova la Capitale. Il ratto, in effetti, spunta ovunque, è lì quasi incurante degli altri "animali bipedi" che lo osservano e, nel contempo, lo schifano, se ne allontanano e spesso gridano ai quattro venti il ribrezzo nei confronti dell'incauto roditore che si diletta a girovagare per le vie romane.
All'improvviso, però, arriva il "salvatore" con la sua proposta (elettorale) per annientare lo squittente esercito invasore. Lui si chiama Antonio Razzi che ha deciso di candidarsi a sindaco della Capitale (come se non bastassero i guai già esistenti nella città dei sette colli) e di lanciare la sua idea per sconfiggere i topi capitolini. Il senatore di Forza Italia (e non Maurizio Crozza) ha proposto di 'importare' a Roma 500mila gatti asiatici (chissà se provenienti dalla Corea del Nord, paese del quale Razzi si sente oramai ambasciatore in terra italica) i quali, razionalmente distribuiti sul territorio comunale, sono destinati a combattere le loro campagne di guerra contro i fastidiosi roditori.
Al di lá del rischio (poco piacevole) di trovare cadaveri di topi sparsi per la città, e al di là del fatto che attualmente sono stati censiti 120mila gatti di strada (oltre ai circa 180mila domestici) che sommati a quelli dell'idea-Razzi raggiungerebbero le circa 620mila unità, al di là di questo, dicevamo, c'è da augurarsi che quelli importati dall'Asia siano quanto meno sterilizzati. Altrimenti, dopo un paio d'anni, ci sarà qualche amministratore (o potenziale tale) al quale verrà in mente di 'assumere' qualche migliaio di alligatori in grado di sterminare i gatti che, nel frattempo, hanno preso il sopravvento nell’urbe.
Sempre che non avvenga prima che le "simpatiche gattare romane" (definizione dello stesso Razzi, ndr) si stufino di accudire aggratisse le centinaia di migliaia di quadrupedi invasori asiatici.

giovedì 14 aprile 2016

La piu' bella cambio'

 
La Costituzione è stata cambiata. La riforma è stata approvata in via definitiva, dopo che le opposizioni avevano abbandonato l’Aula e il presidente del Consiglio ne aveva confermato il genitore: Giorgio Napolitano. A votarla si sono trovati non pochi parlamentari che la detestano e la considerano nociva. Ad avversarla ve ne sono che, al contrario, non ne vedono i rischi. Così vanno le cose, quando gli schieramento sono più importanti (specie per le sorti personali) dei contenuti. La riforma non entra in vigore subito, la Costituzione (articolo 138) prevede tre mesi di moratoria, entro i quali un quinto dei parlamentari, 500mila elettori o 5 consigli regionali possono far richiesta del referendum. E’ escluso il referendum ove la maggioranza approvante raggiunga almeno i due terzi. Nell’attuale caso non rileva, perché la chiamata popolare era nelle premesse e promesse iniziali. Un appuntamento considerato tappa trionfale nel cammino verso le elezioni politiche.

In autunno, quindi, gli italiani voteranno, dovendo, con un “sì” o con un “no”, accettare o respingere l’insieme della riforma. Tale procedura è stata fissata immaginando che la Carta sarebbe stata cambiata in maniera puntuale, senza mischiare materie diverse. Ma i costituenti non previdero quel che ora accade: un frullato di materie, offerto per un’unica bevuta. Prendere o lasciare. Si va dal tema più citato, ovvero la fine del bicameralismo perfetto, senza, però, la soppressione del Senato, bensì la sua elezione non popolare, con i membri nominati dalle regioni e dai comuni; al fatto che la Camera sarà da sola, nel votare la fiducia al governo; dal fatto che i giudici costituzionali non saranno più eletti dal Parlamento, ma 3 dalla Camera e 2 dal Senato (figli dei consiglieri regionali?!); al fatto che i consiglieri regionali nominati senatori avranno l’immunità parlamentare, mentre i loro colleghi, eletti nel medesimo modo, no (e non oso immaginare il criterio di selezione); cambia l’elezione del presidente della Repubblica, che passa alla sola Camera, integrata da rappresentanti delle regioni; così come cambia il Titolo quinto, con la sinistra che cancella quello che la sinistra volle nel 2001; e non è finita, perché ci sono diverse altre materie, dalla soppressione del Cnel alle modalità di convocazione dei referendum abrogativi, da come si presentano le proposte di legge di iniziativa popolare alla possibilità di ricorrere preventivamente, alla Corte costituzionale, avverso le eleggi elettorali. E altro ancora.
Se dovessi dire, anche in modo sintetico, cosa ne penso, dovrei per forza dividere la materia e ragionare punto per punto. Ma non potremo farlo, dovremo rispondere a una sola domanda, per quanto irragionevole sia. Voterei favorevolmente, e con entusiasmo, alla ririforma del Titolo quinto, mentre considero pericoloso il combinarsi del premio di maggioranza innestato sull’unica Camera che esprimerà i governi ed eleggerà il capo dello Stato. Occorre essere ciechi per non vedere il veleno contenuto in una roba simile. Ed occorre essere smodatamente cinici per accettare che una simile forzatura passi sull’onda della retorica del cambiamento, adottata spocchiosamente da chi alza il mento e sentenzia, evitando il confronto delle idee e prediligendo quello delle truppe. Dell’attuale stagione questo è il passaggio che promette peggio. E veramente spero di sbagliarmi.
Ad aumentare il paradosso contribuisce il fatto che non solo si dovrà rispondere una sola volta a quelle che sono una ventina di domande, ma una di quelle decisive, ovvero l’interazione fra la riforma e il sistema elettorale, non è manco compresa. Perché l’Italicum non è materia costituzionale. Eppure il risultato sarebbe non solo diverso, ma per certi aspetti opposto se quella legge fosse un uninominale a turno unico, cambiando anche se lo fosse a doppio turno. Invece è un proporzionale con ballottaggio unico nazionale e premio di maggioranza, senza che gli elettori possano scegliere gli eletti. La volle così Matteo Renzi, sicuro non solo che gli avrebbe portato la vittoria, ma che lui fosse il solo cui gli elettori potessero ragionevolmente rivolgersi. Ma la storia si fa beffe di tante sicurezze. E, fin qui, chi ha fatto leggi elettorali per vincere ha poi perso. Non preoccupa il fatto che possa capitare anche a Renzi (che si sarebbe fregato con le sue stesse mani), ma che il meccanismo scelto potrebbe aprire la via a dolorose avventure. I sistemi stabili non sono rigidi. Inseguendo la “democrazia decidente” ci vuol niente a finire in quella deragliante.
Sia la riforma costituzionale che quella del sistema elettorale sono state inizialmente condivise dal centro destra, ma nonostante questo, e anche a causa di un’inversione di marcia senza adeguata ammissione dell’errore, questa sarà l’ennesima pagina di storia non condivisa, ma divisiva. Ieri se ne è avuta conferma. Dirà la storia se con danno alla credibilità delle persone o delle istituzioni.

mercoledì 13 aprile 2016

Se il centrodestra si fa del male

Che cosa è successo al centrodestra? Che cosa se ne può fare il Paese di un centrodestra ridotto così? Sembra che coloro che guidano (?) quello schieramento non abbiano ancora capito che il loro vero nemico non è Matteo Renzi ma il movimento Cinque Stelle: l’unico che – domani a Roma e dopodomani sul piano nazionale – potrebbe mettere il centrodestra alla porta, escluderlo definitivamente dalla festa. Viviamo al momento in un assetto tripolare (Partito democratico, Cinque Stelle, centrodestra) che ha sostituito il precedente bipolarismo Berlusconi-sinistra. Ma gli assetti tripolari sono per definizione instabili e transitori. Presto si tornerà, plausibilmente, al bipolarismo. Ma di quale bipolarismo si tratterà?
Democratici/Cinque Stelle o democratici/centrodestra? Al momento, il primo scenario sembra più probabile del secondo. E il centrodestra, con le sue scelte, dà l’impressione di volere solo farsi del male e favorire così i Cinque Stelle. Consideriamo alcuni dei suoi comportamenti autolesionistici. Si prenda il caso del referendum sulle trivelle. Voci contrarie ce ne sono, naturalmente, ma la parte di quello schieramento che si è unita all’esercito anti industriale e pseudo-ecologista sostenitore del referendum, è consistente, sembra preponderante.
Quando è avvenuta questa conversione alle ragioni dell’ideologia anti industriale?
C’è poi il caso Guidi. L’uso delle intercettazioni è sempre stato contestato dal centrodestra. Ma le reazioni sono di altro tenore nel momento in cui vengono colpiti gli avversari politici. Più in generale, sono pochi, nel centrodestra, ad avanzare dubbi sull’inchiesta di Potenza. A cominciare da quello strano reato denominato «traffico di influenze illecite». Dopo tutte le battaglie condotte nel corso degli anni dal centrodestra sulla giustizia sembra che esso sia oggi vittima di un’impressionante metamorfosi.
Prendiamo poi il caso delle riforme costituzionali. Dopo avere dedicato decenni a contestare la Costituzione in vigore, il centrodestra si schiera contro le riforme Renzi. Con gli stessi argomenti (sull’autoritarismo incombente) usati da sempre dai nemici di Berlusconi contro di lui. È come se gli esponenti di quello schieramento fossero andati a lezione di giustizialismo da Marco Travaglio, di costituzionalismo dai fan della «Costituzione più bella del mondo», e di «decrescita felice» dai teorici dell’anti industrialismo. Insomma, c’è un centrodestra in stato confusionale: non ha capito che fare un’opposizione così non gli conferisce alcuna credibilità. Inseguire i Cinque Stelle, opporsi a Renzi «a prescindere», non gli porterà neanche un voto. La controprova è Milano. Lì il candidato del centrodestra ha chance contro la sinistra, proprio perché nulla ha a che spartire con la destra confusamente estremista che prevale sul piano nazionale. Berlusconi (che resta il più intelligente di quella compagnia) queste cose le ha ovviamente capite e, infatti, di tanto in tanto le sue dichiarazioni sembrano smarcarsi dagli orientamenti prevalenti.

Ma è evidente che il vecchio capo non ha più un vero controllo, neppure sul suo stesso partito.
Come tutti sanno, la condizione agonizzante in cui versa da anni il centrodestra è figlia della incapacità/impossibilità di risolvere la crisi di successione, di trovare un leader che sostituisca Berlusconi. L’inventore di quello schieramento non ha al momento eredi politici. Per questo il centrodestra è in dissoluzione. Nessuno sa oggi se e come quella crisi di successione potrà essere risolta, se e come un nuovo leader capace di federare il centrodestra infine emergerà. Non è colpa degli esponenti del centrodestra che quella leadership non sia ancora emersa: i capi non si creano a tavolino, ottengono i gradi sul campo, nel corso delle battaglie politiche. È invece proprio colpa loro, degli attuali dirigenti, se, in nome di un’opposizione purchessia a Renzi, si sbarazzano persino degli aspetti positivi della loro tradizione (la scelta decisa a favore della modernizzazione socio-economica, il revisionismo costituzionale, l’opposizione agli aspetti illiberali del nostro sistema di giustizia). Corriamo un bel rischio, quello di un bipolarismo Renzi/Cinque Stelle. Come ai tempi della Dc e del Pci. Senza alternanza e senza alternative

martedì 12 aprile 2016

Intervista a Ghedini avvocato di Berlusconi: "Come finira' tra Renzi e i pm".


 


Parla il super avvocato di Silvio:









Niccolò Ghedini è da oltre un ventennio accanto al Cavaliere. Nei momenti più difficili, quando l' ex premier era in Tribunale, sputtanato sui giornali, condannato, lui era lì. «Gli sono grato, è una persona straordinaria, piacevolissimo, connotato da grande umanità e da una fortissima simpatia». Oggi lavora - tanto, a giudicare dalla dichiarazione dei redditi - come avvocato, è un senatore di Forza Italia ed osserva «sgomento» che la «giustizia politica» non è finita con la decadenza di Silvio Berlusconi. «Matteo Renzi però non sarà trattato così, con le persecuzioni giudiziarie e tutto il resto, perchè non ce ne sarà bisogno: a cacciarlo ci penseranno gli elettori», dice, mettendo da parte per un secondo il linguaggio - marchio di fabbrica - da avvocato.
I pm sono entrati a Palazzo Chigi per interrogare Maria Elena Boschi: che effetto le ha fatto questa notizia?

«La magistratura a Palazzo Chigi non è mai un bello spettacolo per le istituzioni. Non conoscendo gli atti, non è possibile avere una opinione seria. Certo sarebbe gravissimo se oggetto dell' interrogatorio del ministro fossero state le sue scelte e valutazioni di natura politica su un emendamento. Spero non sia così».

Renzi, premier e segretario Pd, attacca i magistrati, rivendica il dovere della politica di prendere decisioni. È un folle o ha ragione lui?

«Del presidente Renzi non condivido certo la linea politica, ma in questa occasione ha usato toni e modi consoni alla situazione e al suo ruolo».
Bella forza: lei attacca i magistrati da quel dì...
«Non attacco la magistratura nel suo complesso: sottolineo sempre solo casi specifici.
Certa parte della magistratura che viviseziona quotidianamente i comportamenti anche leciti della politica non sopporta il benché minimo accenno critico. Purtroppo la politica da oltre 20 anni non ha avuto la forza di portare a termine una vera riforma della giustizia che tuteli sia l' indipendenza della magistratura sia quella della politica, evitando reciproche e nefaste interferenze».

Renzi può riuscire dove voi avete fallito e scrivere quella riforma?

«Il presidente Renzi non ha le capacità per farlo e lo ha dimostrato con plurimi provvedimenti che hanno reso ancor più farraginoso il sistema processuale e ridotto drasticamente le garanzie dei cittadini».

Banca Etruria e Tempa Rossa possono modificare l' atteggiamento della sinistra rispetto al dogma dell' infallibilità dei pm?

«Non credo. In realtà la sinistra non ritiene affatto che la magistratura sia infallibile, è sufficiente sentire cosa dicono i parlamentari nei colloqui privati. La sinistra ha spesso usato la magistratura per la lotta politica».

Ogni riferimento al Cavaliere e alla sua decadenza non è casuale, no?

«Le vicende di Berlusconi sono emblematiche. Degli oltre 60 processi che ha subito e per i quali, tranne uno, che spero presto troverà giustizia in sede europea, è stato sempre prosciolto o assolto, tutti sono stati utilizzati per aggredirlo, distruggerlo e condizionarlo».
E infatti oggi appare un po' ammaccato.
«Solo una persona straordinaria come Berlusconi, forte della sua innocenza, poteva resistere. Basti ricordare fra i molti il caso Ruby da cui è stato ampiamente assolto, ma che ha causato un disastro mediatico anche a livello internazionale, facendo passare cene fra amici come eventi antigiuridici, con una gravissima intromissione nella vita privata...».
Sta per cominciare il "Ruby 3". Sembra la saga di "Rocky".
«Dopo un calvario di anni si dovrà affrontare l' ennesimo processo basato sul nulla perché il presidente, con la consueta generosità, ha continuato ad aiutare alcuni fra i partecipanti, che, proprio a causa delle indagini, non riescono più ad avere lavoro e vita normale».

Esiste ancora oggi quell' "uso politico" della giustizia di cui parlava Berlusconi?

«L' avviso di garanzia a Napoli nel '94 fece cadere il governo e solo nel 2001 arrivò l' assoluzione. Il processo Sme-Ariosto che ci ha tormentato per 10 anni, causando la sconfitta del '96, finì in assoluzione. Quale definizione dovremmo dare?».
Processi.
«Vi è la politica che utilizza i processi per distruggere l' avversario e qualche magistrato che non riesce a scindere le sue idee politiche dall' applicazione della norma: questo è gravissimo, perché loro hanno il potere di rovinare l' immagine e la vita di chiunque. Infine ci sono pm che hanno utilizzato la notorietà per costruirsi una carriera politica.
Sono casi sporadici, va detto: abbiamo in genere una ottima magistratura, competente ed equilibrata».

Il centrodestra poteva approvare la riforma della giustizia a suo tempo. Giura che se la fa oggi il Pd, lei, da senatore, gliela vota?

«Il centrodestra nonostante gli sforzi di molti, me compreso, non ha mai trovato quell' unità necessaria per una riforma complessiva. Non credo che il governo Renzi abbia né le capacità né la volontà. Sono più preoccupati dei titoli dei giornali che dei diritti delle vittime e degli indagati. Se dovessero presentare una riforma come quella da noi auspicata la voterei. Ma non accadrà».

Il governo starebbe lavorando ad una norma per regolamentare le intercettazioni ed evitare eccessi e violazioni. Le ricorda qualcosa?

«Le intercettazioni sono un indispensabile strumento di indagine ma se ne è fatto un uso eccessivo. Il problema non è tanto l' intercettazione in sé, bensì la propalazione di tutte quelle che sono processualmente inutili sui giornali».

Se un giornalista trova notizie, ha il dovere di pubblicarle, non crede?

«È comprensibile che i giornalisti facciano il loro lavoro una volta che ne sono entrati in possesso. Si dovrebbe evitare che finiscano sui giornali cose irrilevanti rispetto al reato, ma dannosissime per le persone. Quelle lette in questi giorni sono intercettazioni penalmente irrilevanti e quelle riguardanti Federica Guidi forse pure inutilizzabili, eppure...».

Quando arriverà il pronunciamento della Corte dei diritti dell' Uomo sul ricorso del Cavaliere? Se sarà favorevole, lei pensa che Berlusconi si candiderà?

«Spero quanto prima. Abbiamo presentato l' istanza a settembre 2013 e sarebbe auspicabile che la procedura iniziasse.
Mi rendo conto che la Corte è oberata, ma spero si comprenda che la questione non riguarda solo il singolo cittadino, ma ha consenguenze sul presidente di un grande movimento politico a cui è inibito candidarsi.
È una questione che può incidere sul destino politico di un Paese. Poi sarà Berlusconi a decidere: come amico vorrei lavorasse meno e avesse più cura per sè, ma da cittadino non posso che augurarmi un rinnovato impegno».

Non teme che Renzi possa fare la stessa "fine" del suo predecessore, plurindagato e, dopo anni e forzature, condannato?

«Come dicevo, Berlusconi è stato martirizzato da una infinità di processi tanto assurdi quanto inconsistenti. Mi sembra che, fortunatamente, la magistratura non si stia interessando di Renzi in egual maniera».

Ah. Niente "occhio per occhio", allora?

«Tra il presidente Berlusconi e il presidente Renzi vi è una differenza sostanziale. Per tentare di eliminare il primo dalla vita politica si è utilizzata la via giudiziaria, mentre per il secondo non ce ne sarà bisogno: sarà l' elettorato a non riconfermarlo in un ruolo che ha ottenuto grazie a situazioni eccezionali e senza voto popolare».

Ci hanno imbastito un processo sul complotto internazionale e l' imbroglio dello spread. Si riferisce a quello?

«Se non fosse per comportamenti politicamente indecenti che hanno tolto valenza al legittimo voto popolare, come emerge da moltissime risultanze inequivoche, oggi Berlusconi ricoprirebbe ancora ruoli istituzionali e l' Italia sarebbe meglio. Nel 2011, quando lui era a Palazzo Chigi, il Paese non era ridotto come oggi».

Lei é uno dei più silenziosi e fidati collaboratori dell' ex premier; come sta lui ora?

«Sono grato al presidente di avermi consentito di collaborare con lui così a lungo. È persona dotata di straordinarie capacità politiche e imprenditoriali, piacevolissimo, connotato da grande umanità e da una fortissima carica di simpatia. Non riesco a capacitarmi degli atteggiamenti di alcuni che con lui hanno collaborato e ottenuto privilegi, che nel momento più difficile della sua vita politica lo hanno abbandonato».
L' elenco degli addii è lungo: Denis Verdini, Raffaele Fitto, Angelino Alfano...
«Al di là delle comprensibili amarezze, il presidente sta comunque benissimo perché ha la consapevolezza di aver sempre tenuto comportamenti impeccabili e coerenti. Si ricordi che Berlusconi, a differenza di tanti che hanno lucrato sulla cosa pubblica, ha sempre pagato tutto personalmente e senza mai mettere le mani nelle tasche degli italiani».

E' vero che la stagione politica del Cavaliere si avvia alla conclusione?

«Già nel 1994 c' era chi sosteneva fosse finito politicamente.
Ha dimostrato il contrario. Anche stavolta saranno tutti sorpresi dalle capacità di rinnovamento che metterà in campo».

I Cinquestelle, giustizialisti per eccellenza, rischiano di vincere Amministrative e Politiche. Le fanno paura?

«Il Movimento 5 Stelle vive sulla protesta, ma per governare non basta criticare. In tutte le città governate da loro hanno dimostrato una totale incapacità gestionale».


Antonio Di Pietro oggi alterna all' attività di contadino quella di avvocato. Come lo giudica da collega?

«Io non mi permetto di dare giudizi sui colleghi. Nel rapporto personale è piacevole, ma non ho mai condiviso come ha interpretato il suo ruolo di magistrato nè il suo passaggio alla politica. Più che il mio giudizio, conta quello dell' elettorato che ne ha decretato la fine così come è accaduto per moltissimi avversari di Berlusconi. Sia quelli di sinistra sia quelli che nel centrodestra pensavano di sostituirlo sono stati prepensionati. Accadrà ancora in un futuro prossimo, un futuro quindi migliore per l' Italia».

Paolo Emilio Russo

lunedì 11 aprile 2016

Magari fossimo a Panama

Ma ditemi la verità: voi preferireste vivere in Paradiso o all’Inferno? No, perché a leggere i commenti degli indignati di professione oggi sui giornali, sembrano tutti scandalizzati per la storia dei Panama Papers, cioè per quei ricconi, big del mondo, vip, campioni, attori e capi di Stato, che avrebbero occultato i loro soldi, destinandoli a società offshore panamensi ed eludendo così il fisco per decine o centinaia di milioni. “Ladri”, “evasori”, “ricchi” (ché la ricchezza, per alcuni, è già di per sé motivo di insulto), è il grido unanime, rivolto a tutti i grandi che figurerebbero nella lista nera, dal calciatore Messi a Luca Cordero di Montezemolo, dal presidente ucraino Poroshenko al presidente russo Putin (sì, anche il fiero avversario dell’Occidente capitalista, quando può, coglie tutte le opportunità del liberismo. Ma questo è un altro discorso…).
Ebbene poi capita che lo stesso giorno vengano fuori gli ultimi dati Istat sulla pressione fiscale media in Italia e si scopra che nel 2015 ha toccato la quota quasi record del 43,5%, superando i livelli del 2014 e del 2013 (quando si era attestata rispettivamente al 43,1 e al 43,4), oltre le più rosee stime del governo, che come sempre non ci ha azzeccato. E questo senza considerare il carico fiscale sulle sole imprese,  il cosiddetto total tax rate che nel nostro Paese raggiunge la cifra folle del 64,8%, numeri enormi se paragonati a quelli di altri Stati europei, dalla Spagna dove tocca il 58, alla Germania dove sfiora il 50 allaGran Bretagna, in cui è appena del 34%. In sostanza, nel nostro Paese, due terzi dei guadagni le imprese devono versarli allo Stato. E le aziende, fino ad agosto, lavorano solo per foraggiare la Bestia dell’apparato pubblico, riservandosi di poter pensare al proprio utile (quando e se ci riescono) solo gli ultimi quattro mesi. Be’, in un Paese così, è impossibile non solo vivere ma anche lavorare e pagare le tasse. E da un Paese così viene tanta voglia di fuggire, non solo per cercare lavoro ma soprattutto per cercare un po’ di ossigeno rispetto all’oppressione fiscale. Altro che rientro dei cervelli (e dei portafogli) in fuga…
E così ti imbatti nel caso-Panama. Che è uno Stato molto ambito per i depositi finanziari di oligarchi, campioni e capi di Stato non solo per le spiagge e il clima, e non solo perché, in un lembo di terra, unisce due sub-continenti e mette in collegamento due oceani. Ma soprattutto perché al suo interno quel mostro chiamato Fisco non ha pressoché alcun peso, perché nel caso peggiore – di grandissimi guadagni – le tasse sul reddito raggiungono il 26%, quelle sulle rendite sono nulle, si può detrarre tutto, dalle tasse universitarie alle spese auto fino alle spese mediche e di farmacia, l’Iva è ferma al 7%, c’è un’esenzione fiscale totale sugli immobili per 20 anni nel caso di nuovo acquisto (altro che abolizione della Tasi sulla prima casa) e non ci sono mai prelievi forzosi sui conti in banca né tanto meno controlli occhiuti da Grande Fratello fiscale…
Be’, in un posto del genere, viene forte la tentazione di viverci, trasferendo oltre che se stessi anche i propri soldi. Ed è una tentazione che viene a tutti, mica solo ai grandi del mondo; viene anche ai comuni mortali i quali, costretti a vivere tra i dannati tartassati, sperano di godere un giorno della luce dei beati senza fisco.
E già, se l’Inferno sono le tasse, il girone degli evasori si trova in Paradiso.