Powered By Blogger

sabato 7 dicembre 2013

La credibilita' perduta

  
 
Fabio Raja
Venerdì, 06 Dicembre 2013
 
In un  editoriale di qualche giorno fa del Corriere della Sera, ripreso anche da questo Blog, il Prof. Angelo Panebianco ha, tra le altre cose, criticato il voto con cui il Senato ha deliberato la decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di Parlamentare ricordando che analogo pensiero era stato espresso il giorno precedente da Sergio Romano in risposta ad una lettera di una Parlamentare Australiana di origine italiana che si complimentava per coraggio mostrato dai nostri Senatori nell’espellere un personaggio “tanto potente”.
Nella sua risposta l’Ambasciatore Romano, dissentendo dalla sua interlocutrice, ha definito quel voto un violazione del “galateo politico”. Ci rallegriamo, naturalmente, che due osservatori tanto autorevoli ed equilibrati esprimano oggi le loro perplessità su quanto accaduto, anche se sarebbe stato più utile e coraggioso sollevare la questione prima e non dopo che il patatrac si consumasse. Ma forse lo hanno fatto e mi è sfuggito.
Utile perché così importanti pareri se pronunciati per tempo avrebbero forse potuto indurre nel PD un ripensamento e a stimolare una discussione che invece non c’è stata a parte qualche isolata voce dissenziente subito rabbiosamente zittita.
Il centrosinistra è stato così lasciato solo nella convinzione che votare per la decadenza fosse giusto oltre che inevitabile. Peggio che solo, era in compagnia dei Grillini che di galateo, e non solo di quello politico, sono tragicamente digiuni.
Potrebbe, a questo punto, apparire ozioso tornare sulla caso e tuttavia lo facciamo convinti che, come ha previsto Panebianco, quel voto avrà pesanti conseguenze sul futuro dell’Italia.
In questi mesi si è sentito ripetere di continuo che la legge è uguale per tutti perciò non si poteva riservare un trattamento diverso al Cavaliere.
Dal punto di vista giuridico non c’è dubbio che i Tribunali debbano trattare allo stesso modo il potente e il poveraccio. Ma quello che si chiedeva al Senato non era una valutazione giuridica, che non è nelle sue competenze ma “politica” essendo il Senato della Repubblica un organo politico.
Sotto questo punto di vista il concetto “siamo tutti uguali” non vale, o almeno in misura minore, essendo incommensurabilmente diverso il peso di un politico qualsiasi da quello del Cavaliere, leader indiscusso di una forza politica da vent’anni è punto di riferimento di milioni di elettori.
La decapitazione del capo di una parte politica attraverso il voto di Senatori che fanno parte di partiti avversari non suona affatto bene ed evoca scenari più simili a paesi sud Americani che non ad una democrazia matura.
La democrazia che, come ha detto argutamente Panebianco, è un oggetto molto delicato, deve essere maneggiato con riguardo e delicatezza. Una cura che avrebbe dovuto suggerire ai Senatori del PD una prudenza straordinaria ed una scrupolosa applicazione di tutte le garanzie perché non vi fosse nemmeno la più piccola ombra, il più remoto dubbio che quel voto fosse “inquinato” dal risentimento e dall’animosità verso l’antico avversario.
Sul quel voto, purtroppo, non incombe solo un’ombra ma una vera e propria tenebra dal momento che, ignorando i richiami di Violante e di illustri Costituzionalisti, non si è voluto sentire il parere della Corte Costituzionale e poi, contravvenendo ad una prassi lungamente consolidata del Parlamento Repubblicano, si è imposto il voto palese.
Il PD ha voluto declassare quel voto a “mero automatismo” quasi che la Legge Severino imponesse la decadenza in modo meccanico. Se così fosse  non avrebbe richiesto il voto della Giunta e quello dell’Aula, ma al più una semplice presa d’atto, come avviene per l’interdizione a seguito di una condanna penale che espelle il Parlamentare senza che vi sia alcun pronunciamento nè in Aula nè in Giunta.
Sul partito che caccia dal Parlamento l’avversario politico storico senza assicurargli almeno il doppio delle garanzie che avrebbe usato nei confronti di un proprio iscritto grava e graverà per molto tempo una macchia che, come ha detto Violante, si chiama credibilità.