- Gianni Pardo
- Venerdì, 21 Marzo 2014
Il guaio dell’uomo è che vive per troppo poco tempo. I fenomeni importanti richiedono molti decenni, per concludersi, e alla fine o ci stanchiamo di aspettare la soluzione o più semplicemente non ci siamo più. L’esempio migliore è la decadenza dell’Impero Romano. I più avvertiti si rendevano conto che “così non poteva durare”, e infatti l’imperatore Giuliano fece un tentativo generoso di fermare il declino. Ma molti tiravano a campare. I decenni passavano e, pur andando di male in peggio, l’Impero Romano era sempre lì. Qualcuno poteva anche pensare che dopo tutto quegli scricchiolii in fondo non fossero importanti. Finché Odoacre tirò una riga sotto quel grande fenomeno storico e morì persino la lingua latina. “Così non poteva durare” e infatti “non durò”.
Alcuni uomini ragionevoli, negli Anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, si preoccupavano dell’immane debito pubblico che si stava accumulando, ne erano allarmati e ne parlavano con i pochi disposti ad ascoltarli. E invece gli ottimisti li guardavano scettici: parlavano di economia in espansione, di dilatazione demografica e dunque dell’allargamento della platea di contribuenti. I pessimisti passavano per dei menagramo e infatti sono morti “avendo torto”. Ma chi ha continuato a vivere fino all’epoca presente, ha potuto vedere che l’aritmetica non fa sconti a nessuno: quel debito astronomico ci ha portati al disastro ed oggi è difficile trovare osservatori ottimisti.
Nella vita bisogna innanzi tutto cercare di capire se i grandi problemi non dipendano dalla natura umana: perché in questo caso sarebbero ineliminabili e comunque non peggiorerebbero mai di molto, nel tempo. Sarebbero qualcosa con cui bisogna convivere. Se invece le difficoltà di un momento storico sono di natura speciale e vanno aggravandosi (come nel caso della Roma antica), c’è da concludere che, magari con un percorso a denti di sega, porteranno ad un crollo finale.
Della natura umana fanno indubbiamente parte l’egoismo, la follia e la stupidità. In ambito pubblico ci saranno sempre la demagogia, la tentazione di appropriarsi del denaro dello Stato (pessimo sorvegliante dei suoi beni) e la tendenza a rinviare le soluzioni dolorose. Nel caso del popolo italiano, bisogna aggiungere a queste caratteristiche una sorta di insensibilità all’economia, la mancanza di senso civico e la pulsione irresistibile a dividersi su qualunque argomento. In questi anni abbiamo avuto un’interminabile discussione sulla legge elettorale perché da un lato si vorrebbe la perfetta rappresentatività, dall’altro la perfetta governabilità. Cosa impossibile. Se il Parlamento italiano fosse veramente rappresentativo della volontà dei cittadini, dovrebbe avere una sessantina di partiti. Quanto alla governabilità, dal momento che essa si ottiene a scapito della rappresentatività, in tanto la si potrebbe ottenere, in quanto i perdenti si rassegnassero al gioco democratico. E da noi non c’è da contarci.
Nel caso attuale il problema è: la nostra situazione economica fa parte integrante dell’Italia eterna o ci stiamo avvicinando alla deflagrazione? Matteo Renzi, per come parla (e parla tantissimo), sembra credere che si tratti solo di amministrare il Paese con più coraggio di prima. E se avesse ragione, ci sarebbe da esserne felici: avremmo scoperto contemporaneamente di avere avuto il cancro e di essere riusciti a debellarlo con una risoluta chemioterapia.
Se viceversa Odoacre fosse a meno di cento chilometri da Roma, si potrebbe non badare a tutto ciò che raccontano giornali e televisioni. Sarebbe questione di tempo, ma ciò che è fatale avverrà. Per dirne una, ai sensi del fiscal compact, presto l’Italia dovrà cominciare a “rientrare” dal debito pubblico, fino ad arrivare in vent’anni al 60% del pil. Intanto, con i governi recenti, incluso quello del "virtuoso" Mario Monti, il nostro debito non è diminuito ed anzi ha continuato ad aumentare: ma parliamo dei doveri cui ci siamo impegnati per il futuro.
Attualmente il nostro debito pubblico viaggia verso i 2.100 miliardi. Ciò corrisponde all’ingrosso al 130% del pil. Se ne deduce che dovremmo rimborsare il 70% del nostro debito (130-70=60) e Il 70% di 2.100 è 1.470 miliardi. Somma che, diviso venti, fa 73 miliardi l’anno. Ma gli italiani non sono quelli che hanno perso la guerra dell’Imu, che pure corrispondeva a miseri quattro miliardi?
Anche ammettendo che la cifra di 70 miliardi sia sbagliata, e che quella giusta sia di cinquanta miliardi, come dicono, i governanti italiani dove andranno a prenderli, cinquanta miliardi oltre i 60-90 che si pagano per gli interessi? Nelle nostre tasche sicuramente no. Semplicemente perché non li abbiamo. E allora?
L’agiografia rende pessimisti. I santi hanno operato molti miracoli ma ne mancano certamente due: la ricrescita di un arto amputato e il risanamento dei conti pubblici.
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