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lunedì 19 agosto 2013

L'antiberlusconismo come paranoia

 


Venerdì, 16 Agosto 2013
 
Nel 1994 uno sconosciuto, Silvio Berlusconi, ebbe uno straordinario e imprevisto successo elettorale. Gli bastò per questo l’aver capito che, morta la Democrazia Cristiana, non era morto il suo elettorato anticomunista. Lo sciocco fu l’ultimo segretario della Dc, Mino Martinazzoli, che non lo capì.
Da quel momento lo schema della politica italiana non è cambiato: Berlusconi rappresenta l’argine contro la sinistra e tutta la politica di quest’ultima è consistita e consiste nell’andare contro questo singolo uomo, oggetto di un odio feroce e implacabile. È dunque corretto parlare di antiberlusconismo, lo è meno parlare di berlusconismo. Quelli che votano per il centrodestra sono lungi dallo stimare Berlusconi incondizionatamente, mentre molti di quelli che votano contro di lui lo demonizzano come il Male Assoluto. Dal 1994 la destra è contro un partito, la sinistra contro un uomo.
Da allora è stata applicata una vecchia tecnica dei partiti comunisti. Quando si tratta di lottare contro un nemico, da Trotsky in giù, non ci si limita a contestarne le idee e i programmi, si procede ad una metodica “character assassination”, cioè alla totale demolizione della sua immagine, abbassandosi perfino ai nomignoli ingiuriosi, al sarcasmo sui difetti fisici, e interpretando in maniera malevola e tendenziosa qualunque cosa. Ha una casa di lusso? Chiaramente ha rubato. È miserella? È uno sfigato o uno spilorcio. Se fa sfoggio di cultura è un presuntuoso, se si esprime come tutti è volgare. Lo si fa oggetto di tanti insulti e di tante calunnie che alla fine parlarne con costante disprezzo diviene un luogo comune. Quando il Pci decise di fare la guerra a Craxi, cominciò ad insolentirlo e ad accusarlo fino a spingere il popolo a considerarlo il più grande ladro d’Italia. Lui si difese, anche in Parlamento, dicendo che ciò che gli veniva imputato l’avevano fatto tutti, accusatori inclusi: ma non gli servì a nulla. L’ordine era di vedere la pagliuzza nell’occhio socialista e non la trave dei finanziamenti di Mosca in quella del Pci.
Nel caso di Berlusconi la programmatica “demolizione del personaggio” - favorita dal carattere esuberante, giocoso e incontrollato dell’uomo - ha fatto valanga. È infine sfuggita di mano ai suoi autori, toccando vette inusitate. Scioccamente incapace di concepire l’odio, il bersaglio ha continuato a offrire pretesti. Per lui una buona barzelletta non poteva che far ridere tutti, e invece perfino le storielle insulse sono state costantemente rivoltate contro di lui. “Fermi tutti, è una rapina!” E il commerciante: “Oh, meno male, temevo fosse la Finanza”. E tutti a dire che Berlusconi era un evasore amico degli evasori. L’incauto andò anche più lontano: “Pare che ai malati di cancro siano consigliate le sabbiature”. “Li guariscono?” “No, ma li abituano a stare sottoterra”. Apriti cielo. Scherzare su una simile tragedia. Che insensibilità. E non parliamo di quella del “Bunga Bunga”. Soltanto un pervertito può riderne.
Con gli anni, lo sport di attribuirgli assiomaticamente tutte le malefatte possibili è divenuto nazionale e gli esempi sono infiniti. Alcune accuse sono addirittura divenute dogmatiche. La denuncia del conflitto d’interessi, per esempio. Se da Presidente del Consiglio il Cavaliere avesse favorito un’impresa di cui era azionista, sarebbe stato giusto denunciarlo: ma di qualcosa del genere non si è mai parlato. Non c’è mai stato un caso concreto. O forse si è verificato e la sinistral si è privata di gridarlo ai quattro venti? E tuttavia, basta citarlo e tutti annuiscono.
Berlusconi è il padrone di tutte le televisioni. Ma la Rai gli è stata contraria da sempre. Rai3 scandalosamente, fino ad indurlo a protestare, con l’ovvia reazione: “Vuole imporre la censura!”, “L’editto bulgaro!”.  Le televisioni private (per esempio La 7) sono prevalentemente antiberlusconiane. Le reti Mediaset si sono mantenute equilibrate (salvo la Retequattro di Emilio Fede) per non perdere clienti. Ma i fatti non servono a nulla. Berlusconi, semplicemente azionista di quelle reti, è stato condannato dalla Cassazione a quattro anni di reclusione perché, a sentire il giudice Esposito, «è stato informato di una frode fiscale». Senza dimostrare che l’ha voluta e senza dire chi l’avrebbe informato, cosa che l’avv.Coppi ha pubblicamente chiesto di sapere.
La sostanza è che, quando si cerca di interpretare una serie di fenomeni sulla base di una credenza di fondo, tutti i fatti vengono forzatamente allineati per sostenerla. Si chiama paranoia. Per gli antisemiti, ad esempio,  il dogma di partenza è che gli ebrei sono malvagi e nocivi. Da questo momento in poi tutto ciò che li riguarda deve confermare questo assunto. Ogni loro successo è frutto dell’inganno, della corruzione, del complotto, della mancanza di scrupoli e al limite (se c’entra Israele) della violenza; ogni loro insuccesso è il meritato frutto di un’innegabile ed anzi insufficiente giustizia. I nazisti  disprezzavano gli ebrei perché si lasciavano ammazzare come pecore, gli arabi li dichiarano violenti e anche nazisti. Se i palestinesi bombardano i civili sono dei patrioti, se gli israeliani cercano di uccidere i terroristi sono dei massacratori. Uno avrebbe voglia di dire: «Hanno una sola qualità, la bomba atomica per difendersi da gente come te».
Se Berlusconi riesce a realizzare una riforma (come quella, eccellente, della Costituzione, o quella dello scalone Maroni) è una riforma da eliminare; se non ci riesce, è perché è un bugiardo e un incapace. Lo si accusa costantemente di governare per il proprio interesse e poi tutte queste leggi ad personam non l’hanno salvato da niente. Ma s’è già detto: è un imbecille.
Non sono i fatti che inducono la paranoia, è la paranoia che dà un senso prefissato ai fatti. Se la persecuzione di Berlusconi si estende a chiunque abbia da fare con lui – familiare, alleato politico, avvocato, collaboratore, stalliere – la conclusione è che Berlusconi si circonda di delinquenti e l’indefessa,  pluridecennale attività investigativa dei magistrati nasce dal cattivo comportamento di questa cricca. Mentre se servisse pensare l’inverso, si direbbe che la magistratura è asservita a una parte politica. Che è poi quello che pensano i berlusconiani. Infatti un effetto imprevisto della paranoia, quando si impossessa di più o meno metà della nazione, è che una paranoia speculare viene attribuita a chi non l’ha. Se non sei antiberlusconiano sei paranoico.
Viene voglia di emigrare in un Paese qualunque, dove il sole sorge e tramonta senza che sia necessario sparlare sempre e comunque di Silvio Berlusconi.
pardonuovo.myblog.it

Occasioni sinistre

 

 

Domenica, 18 Agosto 2013
 
La destra ha un vantaggio: sa che il proprio futuro non può essere uguale al proprio presente. Magari non gradisce, ma prima o dopo lo digerisce. La sinistra, invece, è popolata da funzionari di partito, gente che non ha mai assaggiato il gusto del lavoro, tutti talmente convinti d’avere avuto sempre ragione da non avvedersi non solo degli immensi torti che la storia ha certificato, ma neanche del vuoto pneumatico nel quale coltivano l’illusione d’esser pregni d’idee e moralità. Per dare contezza delle occasioni che la destra perde ho usato il rapporto fra diritti civili e libertà individuali. Per capire l’abisso conservatore in cui è piombata la sinistra usiamo il rapporto fra diritti di cittadinanza e libertà dal bisogno.
Prima, però, da tosco-siculo, consiglio a Matteo Renzi di leggere le poesie in lingua di Renzino Barbera. In una si racconta delle piccole gioie, compresa quella di indossare l’abito della festa, abito “ca di vint’anni è novu”. La modestia di un tempo portava a considerarlo sempre “nuovo” perché aveva due caratteristiche: era stato confezionato per un evento festoso e non veniva mai usato. Ecco, si faccia due conti e chiarisca a noi tutti per quanto tempo pensa di restare il promettente nuovo di una sinistra che non c’è. E non ci sarà, senza affrontare quel che segue.
La contraddizione della sinistra italiana è genetica: dal punto di vista teorico crede nello Stato forte, capace di svolgere ogni funzione, in modo da compensare ogni ingiustizia, ma dal punto di vista storicamente realizzatosi, essendo consapevole d’essere una minoranza (con la spocchia di rappresentare la totalità), ha puntato sulla debolezza del governo, quindi dello Stato, quindi sulla sua incapacità di rimediare ai guasti del mercato. Non è un caso che a sinistra trovate i più inebetiti innamorati della finanza e delle scalate, perché diffidano del mercato, aborrono il lavoro, ma si sdilinquiscono innanzi al dio che già ispirò il fondatore che non lessero: il capitale. Li sordi, i piccioli, la pecunia. Che frequentano con indole subordinata e anima soggiogata. Nessuno adora nobili e ricchi con più bastarda generosità della sinistral.
Al punto in cui siamo giunti, nel mentre favoleggiamo di riprese e procediamo nell’imbuto che ci porta o a uscire dall’euro o a imporre manovre ulteriormente recessive, la sinistra ha una grande occasione: sappiamo tutti che l’Italia ha bisogno di poteri funzionanti, in grado di decidere e governare, altrimenti l’andazzo rinviante e conservante asfissia anche quella parte del Paese che è rimasta forte e dinamica, inducendola a chiudere o fuggire. Sappiamo che la debolezza istituzionale è consustanziale alla Costituzione del 1948. Ecco l’occasione: sia la sinistra a far quel che alla destra non riesce, ovvero seppellire il mito mendace della Costituzione nata dalla Resistenza. Cacci dal tempio i mercanti di perline tarocche, i biascicanti della “migliore Costituzione del mondo” e apra il cantiere della sua riscrittura. Non si tratta di un tradimento repubblicano, ma dell’unica fedeltà ragionevolmente possibile: cambiare e crescere per non fossilizzarsi e morire.
E nel porre la questione come irrinunciabile e immediata, non come opzionale e futura, metta in chiaro che i cardini sono due: la forma governo e la giustizia. La prima serve a restituire potere al popolo, il cui voto oggi vale troppo poco. Dal 1948 in poi l’obiettivo della sinistra ideologica fu quello di evitare che il vincitore governasse. C’erano motivi seri, legati al quadro internazionale. Quel mondo è finito. Nessuno, che non soffra il vuoto, può avere paura di Alfano o di Letta. Mentre il vuoto di potere governativo spalanca le porte del disfacimento e impedisce la fuga dal bisogno.
La seconda, la giustizia, serve a ricordare che nulla è più dalla parte dei diritti collettivi e della difesa dei deboli se non una giustizia funzionante. La nostra, pessima e sfregiata dalla faziosità, non è più neanche connivente con il potere o agente per censo, è distruttiva del diritto e sterminatrice di ogni debolezza e innocenza. La sinistra rompa con il partito reazionario delle toghe, inverta la retriva connivenza con i pochi forti contro i tanti deboli, e comincerà a parlare il linguaggio del futuro.
Una destra attenta all’individuo e al merito, una sinistra attenta al colletivo e al diritto. Sarebbe il segno che l’Italia cambia e si rimette a correre. Come in passato ha saputo fare. Resterà un sogno, però, finché dall’una e dall’altra parte ci saranno a far da capi i peggiori nostalgici rintronati che si possa immaginare: quelli che hanno nostalgia di ciò che mai fu e di quel che mai furono.