Powered By Blogger

sabato 30 novembre 2013

Tutti quelli che si vantano: Berlusconi l'ho ucciso io

Dai politici alle toghe ai giornalisti: adesso c'è persino la gara tra chi vuole attribuirsi la decadenza di Berlusconi

 
 
La sconfitta, diceva John Keats, è orfana; mentre la vittoria ha moltissimi padri. Il meno che ci si potesse aspettare, quindi, era la fila allo sportello dell'anagrafe dei presunti papà ansiosi di registrare a proprio nome quella discutibilissima vittoria che per una parte dell'Italia rappresenta l'espulsione di Silvio Berlusconi dal Senato della Repubblica.
 
Poi magari una pernacchia seppellirà questa sfilza di tristi sciacallini, e la vittoria diventerà soltanto di Pirro.  Ma intanto va così.
Eccoli, i papà della «grande cacciata». L'elenco è lungo, mettetevi comodi. Si potrebbe partire da Marco Travaglio, che è là che alza la manina, non sta nella pelle. «Se ieri per la prima volta nella storia il Parlamento ha espulso un pregiudicato - scriveva ieri sul Fatto Quotidiano - il merito (...) è anzitutto (di) un pugno di giornalisti, alcuni dei quali scrivono su questo giornale». E a proposito di quotidiani, it's party time sulle pagine di Repubblica, il giornale con più lunga militanza antiberlusconiana. Che celebra un po' prematuramente la chiusura di un ventennio con un lungo coccodrillo in vita firmato Filippo Ceccarelli.
Ecco venire avanti una schiera di magistrati, in testa Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Corte di Cassazione che ha messo il turbo al processo Mediaset confermando la condanna per frode fiscale a carico del Cav. Ieri Dagospia avvistava Esposito col collega Piercamillo Davigo allo Splendor Parthenopes, locale partenopeo a pochi metri dal Palazzaccio, sede della Cassazione. Il clima pare fosse ilare. E chissà che non sia stata stappata una bottiglia per un brindisi aumm' aumm'. Ma altre toghe possono disporre sul caminetto la testa del Cav come trofeo di caccia. Elenca Travaglio: «Il tanto bistrattato pm Fabio De Pasquale, i collegi di tribunale e d'appello presieduti da Edoardo d'Avossa e Alessandra Galli, che hanno condotto indagini e dibattimenti sul caso Mediaset con fermezza e correttezza».
Ecco che s'avanza Beppe Grillo a rivendicare la sua fetta di merito: il voto palese «sulla decadenza del senatore Silvio Berlusconi» è stato strappato «grazie al M5S», si legge sul blog del comico. Poi in aula è stata Paola Taverna a vantarsi fiera: "Ci siamo ripresi un potere che era stato strappato ai cittadini e ha Berlusconi lo sputo." E Pietro Grasso, presidente del Senato? Ha pronunciato la decadenza di Berlusconi, ma soprattutto fino all'ultimo ha obliterato lo stravolgimento delle regole stabilito dalla giunta per le elezioni con la scelta del voto palese che ha costretto i senatori al rispetto della disciplina di partito. «Io sono un arbitro», ha ripetuto più volte Grasso. Saremo buoni e gli risparmieremo la moviola. E a proposito di figure formalmente terze, se non padre almeno nonno della decadenza del Cav è pure il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il custode delle larghe intese che però sembra intenzionato a sopravvivere allo svuotamento delle stesse. È lui che molti indicano come il mandante dell'esecuzione di Berlusconi: obiettivo raggiunto e fedina penale pulita. Tra i tanti mezzucci impiegati, quello di nominare un pugno di senatori a vita antiberlusconiani, alcuni dei quali hanno scoperto solo mercoledì l'indirizzo di Palazzo Madama, servendo il loro voto.
E poi c'è Enrico Letta, il premier che nel giorno dello sbianchettamento del Cav ha pensato bene di celebrare i risultati del suo governo e dire ai quattro venti: «Ora siamo più forti». C'è il segretario pro tempore del Pd Guglielmo Epifani che si bulla di aver affermato «lo stato di diritto e il suo principio base, ovvero che la legge è uguale per tutti». C'è perfino Mario Monti a gonfiare il petto: «Non è stata la sinistra, non è stato il M5S a portare a questo fatto riguardante il senatore Berlusconi - dice l'ex premier con sintassi rivedibile - a è stato un governo di grande coalizione, che io presiedevo, sul finire del 2011». E anche Paola Severino, ministro della Giustizia di quel governo, può gloriarsi di aver battezzato la legge che è costata a Berlusconi lo scranno di Palazzo Madama. «Una legge giusta», ripete come un mantra. Lo dirà la Corte Costituzionale.

venerdì 29 novembre 2013

Il sangue del vinto ma non arreso

   


Mercoledì, 27 Novembre 2013 

I dirigenti del Partito Democratico, renziani o cuperliani che siano, non si pongono neppure il problema delle conseguenze della decadenza di Silvio Berlusconi. Sono troppo inebriati dalla possibilità di salutare l’8 dicembre agitando la testa dell’odiato avversario storico sulla picca della loro intransigenza.
E non si rendono minimamente conto che non aver lasciato alla magistratura ordinaria il compito di cacciare il Cavaliere dal Parlamento e di aver compiuto ogni sforzo per assumerne la titolarità strappandola addirittura al Movimento Cinque Stelle, costituisce un atto che si ritorcerà gravemente sul loro partito e sull’intero Paese. In passato, l’aver sparso il sangue dei vinti rivendicandolo come atto di suprema giustizia rivoluzionaria ha alimentato per generazioni nella stragrande maggioranza dell’opinione pubblica nazionale un fortissimo pregiudizio nei confronti dell’affidabilità di governo della sinistra italiana.
Non è senza significato se il primo ed unico esponente della sinistra di discendenza comunista (Massimo D’Alema) è entrato a Palazzo Chigi non in seguito al risultato elettorale ma grazie ad un complotto di Palazzo ordito da un democristiano (Francesco Cossiga) in nome e per conto della Nato. E non dipende dal destino cinico e baro se a Palazzo Chigi oggi sieda un post-democristiano come Enrico Letta e non un post-comunista come Pierluigi Bersani e che il quasi sicuro segretario del Pd sia un altro post-democristiano come Matteo Renzi e non un post-comunista come Gianni Cuperlo.
La maledizione del sangue dei vinti non si è ancora estinta. Ed è facile prevedere che invece di venire dimenticata dal passare degli anni possa essere alimentata dal sangue metaforico di un vinto che però non si arrende e farà di tutto per rivendicare la sua innocenza e prendersi la sua rivincita. Può essere che i dirigenti del Pd se ne infischino di una conseguenza del genere e che siano soddisfatti, come già in passato, del consenso euforico del nocciolo duro dei propri militanti. Ma un partito che, come ha ricordato D’Alema, esprime il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Presidente del Senato ed a mezzadria con Sinistra Ecologia Libertà anche quello della Camera, non può ignorare le conseguenze internazionali dell’espulsione dal Parlamento dell’unico leader di opposizione presente nelle assemblee rappresentative.
Forse la Merkel ne sarà rassicurata, come ha cercato di sostenere Enrico Letta e forse i banchieri inglesi e tedeschi brinderanno all’eliminazione del pericoloso nemico. Ma sotto i festeggiamenti di chi ha interessi e pregiudizi antitaliani incomincerà fatalmente a circolare il sospetto che il nostro Paese si sia incamminato sulla scia di quelle repubbliche post-sovietiche dove i leader dei partiti all’opposizione si sbattono in galera accusati di reati comuni. Non si tratta di un sospetto da poco.
Perché non è da poco caricare un Paese, che già viene visto con gli occhiali degli antichi pregiudizi, del peso dell’etichetta di una democrazia debole dove chi sta al potere cerca di eliminare il principale avversario sbattendolo ai servi sociali grazie ad una magistratura politicizzata. Giorgio Napolitano, che tanto si preoccupa della credibilità internazionale dell’Italia, farebbe bene a porsi il problema. Dalla prossima settimana il nostro Paese sarà più simile all’Ucraina che alle democrazie europee!

Perseguitato da vent'anni

Il saluto di Berlusconi ai suoi elettori


27 novembre 2013

(da “Dagospia”, 27 novembre 2013)

berlusconi-saluta- da Dagospia



Perseguitato da vent’anni

di Simone Di Meo – Luca Rocca
da “Il Tempo”, 27 novembre 2013

Ecco i numeri incredibili (mai calcolati prima, giorno dopo giorno) della più grande persecuzione giudiziaria di tutti i tempi che, almeno politicamente, si conclude oggi con il voto sulla decadenza: in vent’anni, Silvio Berlusconi ha affrontato 34 processi rispondendo di 40 diversi capi di imputazione. Il dato non tiene conto delle decine di inchieste (anche per diffamazione) aperte in ogni angolo del Paese, e anche all’estero, cavalcate mediaticamente e politicamente contro di lui, su ipotesi di reato poi crollate nel nulla. Di tutto questo accanimento dimenticato trovate la prova in queste pagine. Le procure di mezz’Italia non gli hanno risparmiato nulla: corruzione, falso in bilancio, concorso esterno mafioso, riciclaggio, concorso in stragi, frode fiscale, corruzione giudiziaria, finanziamento illecito ai partiti, appropriazione indebita, aggiotaggio, insider trading, rivelazione di segreto d’ufficio, concussione, favoreggiamento della prostituzione minorile, abuso d’ufficio, vilipendio all’ordine giudiziario e induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Sei procedimenti sono ancora in corso a fronte di 14 archiviazioni, 8 assoluzioni, 1 proscioglimento, 5 prescrizioni, 1 amnistia e 2 fascicoli depenalizzati. Pure la magistratura spagnola l’ha messo sott’inchiesta (archiviata) per la vicenda TeleCinco. Dal 1995 ad oggi, il Cav è stato condannato tre volte, e solo recentemente, a fronte di processi discussi e discutibili, e con una rapidità senza precedenti: in primo grado a 7 anni di reclusione per prostituzione minorile e concussione (Ruby), sempre in primo grado a 1 anno per l’affaire Unipol, e in Cassazione a 4 anni per frode fiscale (Mediaset). È il premier che col suo governo ha raggiunto i maggiori risultati nella lotta al crimine organizzato (incluso l’inasprimento del carcere duro) ed è stato il bersaglio dei pentiti di mafia che lo hanno citato in centinaia di verbali accusandolo di ogni nefandezza, dall’aver trafficato e usato droga per assunzioni personali oltre ad aver comprato partite di calcio Champions, dalle stragi di mafia alla nascita del suo impero dovuto ai suoi contatti con le vecchia e nuova mafia. È stato intercettato in violazione delle prerogative parlamentari anche quand’era premier. Hanno ficcato il naso nella vita privata sua e dei suoi figli. Una gigantesca caccia all’uomo come non se ne sono mai viste al mondo.
L’elenco di 20 anni di accuse -1

L’elenco di 20 anni di accuse – 2

L’elenco di 20 anni di accuse – 3

L’elenco di 20 anni di accuse – 4

L’elenco di 20 anni di accuse – 5

L’elenco di 20 anni di accuse – 6

Non e' democrazia, bellezza!

 


Giovedì, 28 Novembre 2013
Scienziati ed artisti di chiari meriti nei rispettivi campi professionali ma che siedono sugli scranni del Senato, e vi siederanno per molti anni ancora sinché avranno vita, senza aver mai ricevuto un solo voto dagli elettori hanno scelto di cacciare dalle Istituzioni l’uomo designato dagli elettori per due decenni alla guida dell’Esecutivo o dell’opposizione Parlamentare.
Ora che il Cavaliere è fuori dalle istituzioni coloro che lo hanno ferocemente avversato per quattro lustri potrebbero avere tutte le ragioni per rallegrarsene e festeggiare l’evento. Invece, tranne qualche sparuto gruppo di minus habens, si constata un certo imbarazzato silenzio dale parti della sinistral.
Escluso che sia per pudore, sospetto che ne siano geneticamente sprovvisti, non resta che supporre che, seppur senza averne ancora piena consapevolezza, comincino a comprendere che quel voto non è stato per niente un successo, ma al contrario ha messo il definitivo sigillo sull’incapacità della sinistra a guadagnarsi per via democratica il governo del paese.
Ormai è documentato, e l’attestato lo ha rilasciato il Senato con il voto di ieri, la sinistra per piegare Berlusconi è dovuta ricorrere a mezzi che con la conquista del consenso popolare niente hanno a che vedere.
Certo, potrebbe apparire strano che io faccia questa affermazione nel momento in cui la sinistra ha praticamente tutte le cariche più importanti delle istituzioni, dalla Presidenza della Repubblica a quella delle due Camere e del Consiglio dei Ministri.
Ma proprio questa occupazione, “manu militari”, dimostra inequivocabilmente la mia tesi giacché nelle elezioni politiche svolte negli ultimi cinque anni, in quelle del 2008 il centrodestra ottenne una schiacciante vittoria e nelle più recenti la coalizione PD-SEL ha prevalso per soli 14.000 voti.
Da ieri nessuno potrà più battere politicamente Berlusconi perché già sconfitto, ma con armi aliene alla politica e alla regolare competizione democratica.
Non escludo che qualcuno tra i più intelligenti esponenti del PD avesse capito il disastro verso cui il partito si stava avviando. E aveva provato anche a lanciare qualche timido avvertimento subito zittito e perfino aggredito fisicamente.
Così il Partito di Epifani, cioè di nessuno, invece di attendere signorilmente l’interdizione che ineluttabilmente scatterà tra pochi giorni producendo più o meno gli stessi effetti della decadenza, ma lasciando la sinistra con le mani pulite, ha preferito diversamente.
E se lo ha fatto è per due motivi: il primo per non lasciarsi superare quanto a giustizialismo dal M5S, il secondo perché qualcuno dei tre contendenti alla segreteria del PD avrebbe potuto usare l’argomento dell’applicazione della legge Severino per lucrare qualche vantaggio sugli altri.
Un partito culturalmente succube al Grillismo e ormai prossimo alla spaccatura. Peggio di così...

martedì 26 novembre 2013

L'irresponsabilita' vendicativa

 

 
Gianni Pardo
Lunedì, 25 Novembre 2013
Purtroppo, il massimo di protezioni deresponsabilizza. Chi ha visitato l’ovest della Bretagna conosce le maestose falesie delle sue coste, alte, a picco sul mare e senza alcuna protezione. I visitatori sanno che devono stare attenti. Se ci fossero delle ringhiere per centinaia di chilometri, se esse fossero interrotte in un punto e qualcuno cadesse, si direbbe subito che la colpa è di chi ha permesso che ci fosse quell’interruzione, mentre la situazione differirebbe da quella attuale soltanto perché la ringhiera mancherebbe solo in un punto, invece di essere totalmente assente. E questo creerebbe la condanna, mentre il fatto che oggi manchi dovunque manda assolti tutti. E poi, se anche la ringhiera non avesse interruzioni, qualcuno potrebbe ancora scavalcarla: e le autorità sarebbero accusate di non averla fatta abbastanza alta. Oppure un vandalo potrebbe staccare una sbarra, un bambino passare attraverso l’apertura, ed ecco la condanna per omicidio colposo di qualcuno.
Gli esempi sono infiniti. Se muore una persona importante per droga si cerca il pusher, come se fosse colpa sua. È il drogato che fa esistere il pusher, non il pusher che fa esistere il drogato. Ma qualcuno bisogna punire. È avvenuto quando è morto Marco Pantani. Per le class actions americane il principio è stato che il singolo può essere stupido, demente e imprudente, ma se subisce un danno la colpa è di chi gli ha permesso di essere stupido, demente e imprudente. Né noi italiani siamo esenti da questa mentalità. Deprechiamo il consumismo (deprecavamo, per la verità, ora siamo troppo poveri, per farlo) pur continuando a consumare, con la scusa che “il consumismo ci condiziona a consumare”. Noi siamo innocenti. La pompa di benzina di minaccia con la sua pistola: “O il pieno o la morte!”
Esemplare anche il caso della Protezione Civile. Prima, quando pioveva, si esclamava “Governo ladro!”. Ora la Protezione Civile, se non è colpevole di avere permesso che piovesse, è responsabile dei danni per non avere allertato in tempo. Cosa che avrebbe sbalordito i nostri nonni. E allora l’Ente ha imparato, alla prima previsione di acquazzone, a inviare messaggi ai comuni. Questi alla fine, ricevendone troppi, non se sono più curati ed ora sono accusati di non aver tenuto conto dell’allarme riguardante la Sardegna. Ma si sono difesi: gli avvisi arrivano via fax e gli uffici all’ora d’arrivo erano chiusi. Bisognerebbe lasciare qualcuno in Municipio ventiquattr’ore al giorno? Ed ecco si parla di inviare un avviso a tutti gli abitanti mediante sms sui cellulari. Ottimo. E chi ha le pile scariche? E chi ha spento il cellulare? Istituiremo il reato di telefonino spento? La verità è che il rimedio a un problema crea spesso altri problemi (e costi) a cascata. Forse non migliorando neppure la situazione complessiva. È anche notevole il fatto che in occasione dell’alluvione in Sardegna si sia parlato di “risarcire” i danneggiati. La terminologia è significativa: lo Stato è responsabile di tutto, e i responsabili sono chiamati a “risarcire”.
Il colmo in questo campo lo si è raggiunto all’Aquila: dei geologi sono stati condannati per avere affermato che di solito la scossa più forte è la prima. Hanno affermato un luogo comune statistico della sismologia, ma siccome all’Aquila è andata diversamente, sono stati condannati ad anni di carcere. Facendo ridere il mondo scientifico, costringendo in futuro tutti i sismologi a dichiarare indefinitamente pericolosissimo qualunque sisma e la gente a non tener conto dei loro allarmi. Ma all’Aquila c’erano stati dei morti, si poteva non condannare qualcuno?
Un’altra infinita solfa è quella per la quale “bisognerebbe mettere in sicurezza tutti i comuni a rischio terremoto, alluvioni o dissesto geologico”. Bellissimo programma. Ma l’Italia è fatta come è fatta e si tratta di migliaia di casi. Ce lo possiamo permettere? Per non parlare di casi emblematici. Cefalù sta sotto una falesia: che si fa, si sposta la falesia o la città?
In Italia si è arrivati a processare le agenzie di rating americane perché hanno osato dire la verità, che l’economia italiana va male: infatti ciò avrebbe potuto allarmare le Borse. Se un ragazzo si suicida per un brutto voto a scuola si parte subito alla ricerca del colpevole. La scuola è troppo stressante, non si è tenuto conto della fragilità di quel minore. E se quel professore aveva fama di severità, non ne parliamo. Forse si dovrebbero abolire i brutti voti. Del resto tanto assurda la proposta non è, se dopo il ’68 gli studenti di sinistra chiedevano il “sei politico” e all’università gli esami di gruppo, dove uno solo aveva studiato. Poi ci stupiamo se le nostre università sono assenti nelle classifiche di eccellenza.
La ricerca della perfezione è dannosa in tutti i campi, persino quello della compassione. È naturale che si abbia pietà di un poveretto affamato, malato e sprovvisto di mezzi e che si voglia soccorrerlo. Ma lo Stato non può farlo per un singolo: lo fa per tutti i poveri. Ma chi sono? Qui, stabilito il limite, la pietà si sposta sul primo escluso. Se il limite è a mille, che facciamo con chi è a milleuno? E come controlliamo il reale livello? Creiamo sorveglianti, e uffici dei sorveglianti, e sorveglianti dei sorveglianti, e uffici dei sorveglianti dei sorveglianti. Alla fine si crea un elefante che vive a carico dei contribuenti e finisce con lo spendere buona parte delle sue disponibilità per tenersi in piedi, concedendo sussidi a chi non li merita (le pensioni di invalidità in Italia sono uno scandalo nazionale) e a volte negandoli a chi li merita. La soluzione non è non soccorrere nessuno: ma bisognerebbe limitarsi ai casi estremi. La complessità è sempre in agguato, sempre costosa ed occasione di abusi.
Si potrebbe continuare all’infinito. Il serpente si morde la coda. Più deleghiamo allo Stato la nostra sicurezza, più ci costa lo Stato, senza per questo giungere alla sicurezza. Dunque sì alla pietà, alla prevenzione degli incidenti e al welfare, ma senza esagerare. Le controindicazioni potrebbero farci pentire della cura.
pardonuovo.myblog.it

lunedì 25 novembre 2013

La caduta dell'impero europeo

 


Venerdì, 22 Novembre 2013
Quando si parla di “molto, molto tempo”, bisogna intendersi. Per la persona colta si sta parlando di secoli e millenni, per la persona normale soltanto dell’arco della sua vita, sia pure aggiungendoci qualche decennio di quella dei genitori. Per fare un esempio, una guerra fra due nazioni dell’area euro sembra inconcepibile soltanto perché al momento dell’ultima guerra quegli stessi che hanno più di settant’anni erano bambini piccoli.
Questo fenomeno si verifica anche in campo economico. I nostri contemporanei dell’area euro considerano la prosperità e il “welfare” naturali perché non conoscono altro. E inoltre che, se proprio dovesse scoppiare una crisi tremenda – l’equivalente economico della Seconda Guerra Mondiale – pensano che  dopo ci risolleveremmo come si è risollevata la Germania dopo il 1945.
E invece no, non è detto. Un modello di società può essere gravemente sbagliato, come la società sovietica, ed in questo caso è già molto se dura settant’anni. Viceversa, se è lievemente sbagliato, può darsi che duri molto di più, accumulando le conseguenze dell’errore, fino ad un crollo senza ritorno.
Per millenni la Pubblica Amministrazione non è stata molto presente, nella vita quotidiana. Il singolo non si aspettava praticamente niente dalla collettività. Non esisteva la sanità pubblica, e, nel caso, tutto ciò che si poteva sperare era di essere “curati” per pietà in lazzaretti organizzati dalla Chiesa. La società non era soccorrevole. Non solo non assicurava di non essere aggrediti, se si usciva di sera nelle strade buie, ma se c’era uno strapiombo non si preoccupava di metterci una ringhiera: chi non voleva cadere nel burrone faceva bene a stare attento. L’individuo era abbandonato a sé stesso e da ciò derivava una mentalità individualista ed estremamente responsabile: era una questione di sopravvivenza.
Economicamente il popolo trovava gravose tasse e imposte perché era molto povero, ma in totale lo Stato riceveva poco e non assicurava quasi nessun servizio. Il singolo doveva procurarsi di che vivere senza contratti collettivi, senza cassa integrazione, senza alcuna forma di protezione. L’ambiente era simile, per farsene un’idea, a ciò che tutti abbiamo visto cento volte nei film Western. Tolto lo sceriffo efficiente ed eroe.
Nel mondo moderno le provvidenze sociali ci fanno sentire sempre più al sicuro, tanto da sganciare la sopravvivenza dallo sforzo per sopravvivere: essa è sentita come un diritto per il semplice fatto di essere dei cittadini.  La mentalità è cambiata. Lo Stato - anche se a volte odiato perché invasivo - è sentito responsabile di tutto. Recentemente perfino dei guasti delle alluvioni. Oggi l’individuo si considera un creditore dei politici: questi sono incaricati di occuparsi del suo reddito – eventualmente ottenuto perfino lavorando – della sua salute, della sua casa, della sua istruzione, della sua sicurezza, di tutto. E con ciò si torna al quesito iniziale: questo modello è “naturale”?
In realtà, attualmente sembra che esso stia mostrando la corda. E se così fosse, la crisi non si risolverebbe come quella del ’29, con una semplice pausa di qualche anno nel progresso economico. Il piccolo errore che si ipotizzava, nel nostro modello, è così riassumibile: nella sua azione, lo Stato è meno efficiente del privato e se fa molto costa moltissimo. Ciò comporta un enorme peso fiscale con scarsi risultati complessivi. Ciò malgrado si ha un’irresistibile tendenza al deficit che in Italia – caso esemplare – porta a un debito pubblico astronomico. Col rischio che la bolla scoppi, azzerando la storia economica.
Da questo modello di società potremmo insomma uscire con le pive nel sacco, ritrovando virtù dimenticate. Ci accorgeremo che la vita ci è data senza la garanzia “soddisfatti o rimborsati”; che ognuno deve essere responsabile di sé stesso; che nessun pasto è gratis; che prima di parlare di diritti bisogna parlare di doveri; che è bene che lo Stato torni a farsi i pochi affari suoi.
Nessuno ci ha dato il diritto “naturale” di vivere tanto meglio che nel Medio Evo. Se vogliamo vivere meglio di allora, la società deve tornare ad essere adulta. La vita è forse un regalo, il seguito no.
pardonuovo.myblog.it

E questa e' giustizia...

 

Giuliano Ferrara
Domenica, 24 Novembre 2013
Berlusconi ha dato delle feste in casa sua, ha invitato delle ragazze e degli amici, gli amici lo hanno aiutato a comporre il suo harem burlesque, il suo privato divertimento, condividendolo. Berlusconi è notoriamente ricco e generoso, fa regali da sempre a destra e a manca, senza distinzione di rango, e con il circuito delle sue feste è stato come spesso gli succede regale e sciupone senza remore o rimorsi. Ha fatto una telefonata in questura, inopportuna sotto il profilo protocollare ma non concussiva, gentile e in prima persona, allo scopo di evitare a una delle sue ospiti la consegna a una comunità. Anche per disinnescare lo scandalo dovuto alla esibizione forzata del suo privato, ha inventato balle giocose, come quella della nipote di Mubarak. Bene. Queste sono tutte cose che rientrano nella dimensione privata, criticabile quanto a comportamento politico e civile di un uomo di governo e di Stato, ma non criminalizzabile.
Invece quel che ne è seguito, con mezzi d'indagine e una vocazione guardona e origliatrice da Stato di polizia, è precisamente la trasformazione di peccadillos da scapolo abbiente e da re di Arcore in reati infamanti che comportano anni e anni di galera. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. A dimostrare che al di là di ogni ragionevole dubbio siamo invece in presenza di reati penali da punire con la massima severità: regali alle ragazze e agli amici e una raccomandazione a un gentile funzionario di Questura da scambiare con anni di galera. A dimostrare che abbia un qualche senso una condanna per atti sessuali prostitutivi quando di questi atti non esiste prova alcuna, mentre nelle stesse motivazioni della condanna si dice bellamente che non è quello il problema, palpeggiamento in più o in meno. Sfido chiunque a dimostrare che sia parte di uno Stato di diritto e delle sue garanzie un tribunale che condanna su queste basi effimere e ambigue e poi trasforma gli atti difensivi, rinviandoli ai pm perché istruiscano nuovi processi, in un nuovo capo d'accusa a raggiera, una retata potenziale di testimoni che si trovano così in una pesante situazione di condizionamento e di pressione: o ammetti di essere stato un falso testimone e di aver collaborato con un'azione di inquinamento del processo oppure ti becchi la galera anche tu.
Una gigantesca gogna ha devastato l'immagine pubblica di un capo democratico, di un uomo della democrazia rappresentativa, un leader che ha vinto tre volte le elezioni e ha governato il Paese secondo le regole, altro che storie, ritirandosi in buon ordine anche quando avrebbe avuto diritto al suo appello al popolo che lo aveva stravotato nelle urne del 2008 (novembre 2011). Questo non è un caso personale, da tenere distinto dal resto, cioè dalla stabilità di governo (che palle che ci raccontano sul semestre europeo) o da qualunque altra circostanza. Se la democrazia sanguina, se si insinua un dubbio di fondo sul suo funzionamento imparziale, perché gli atti di giustizia si trasformano in una persecuzione personale, qualunque sia il giudizio sul perseguitato, sui suoi errori, e anche sulle sue colpe o sui suoi peccati, non si può dormire tranquilli.
Non tutti in questo Paese hanno bevuto la leggenda nera di Andreotti mafioso, di Craxi spolpatore delle finanze pubbliche per avidità, del doppio Stato reo di stragi infinite e di trattative collusive con i poteri criminali. Molti tra coloro che pure hanno combattuto per le loro idee e contro le classi dirigenti della vecchia Repubblica, e hanno mantenuto la loro autonomia di giudizio nella situazione che seguì alla sua caduta, hanno cercato di esercitare il giudizio critico sull'unico potere che da almeno vent'anni si considera al di sopra delle parti mentre agisce come parte in causa in una lunga guerra ideologica, quello dell'accusa penale. Questi italiani che non hanno portato il cervello all'ammasso dello spirito forcaiolo si facciano sentire. E anche i capi delle istituzioni, prima di tutti il garante della Costituzione e capo della magistratura, il presidente della Repubblica, non possono tirarsi fuori dal dovere di intervento e di correzione della grave stortura che si è prodotta.
Esprime il peggio della cosiddetta ideologia italiana, viltà maramaldesca, chi oggi si volta dall'altra parte, chi mette la propria antipatia e inimicizia politica verso Berlusconi, o anche soltanto la voglia di quieto vivere, davanti al dovere di giudicare una ignobile messinscena chiamata giustizia.