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venerdì 25 ottobre 2013

I professori forse insegnano ma raramente imparano

 


 
 
Lorenzo Matteoli
Martedì, 22 Ottobre 2013

Come molti in Italia nel Novembre del 2011 avevo riposto speranze nel professore bocconiano che avrebbe dovuto salvare l’Italia e per qualche settimana avevo seguito la sua esperienza di governo con atteggiamento positivo. Mi sembrava che quello che era ovvio anche al frequentatore del Bar Sport per un professore della Bocconi avrebbe dovuto essere chiarissimo: c’era urgente bisogno di una radicale operazione di taglio degli sprechi di razionalizzazione della architettura della spesa pubblica e forse si sarebbe dovuta impostare la vendita dell’argenteria per abbattere almeno in parte il debito pubblico.
Mario Monti, grazie alla campagna mediatica non solo Italiana, godeva di un credito aureo sulla piazza della grande finanza internazionale e tutti aspettavamo con speranza viva. La mia attesa positiva cominciava ad incrinarsi fin dal 28 dicembre 2011 a un mese circa dalla nomina di Monti quando con un commento su Legno Storto (Saltare a piedi giunti nel piatto) esprimevo qualche dubbio sulla relativa immobilità del suo governo di tecnici. Nessuna strategia chiara, nessuna posizione ferma, galleggiamento, equidistanza, parole… linguaggio forbito, molte locuzioni in financenglish. Ma fatti pochi. La stampa soidisant e mainstream era ancora graniticamente con lui al limite del trionfalismo tanto che esprimere dubbi era azione di lesa maestà bocconiana.
Osservando i suoi comportamenti, gestualità, linguaggio, ironia si aveva l’impressione che la parte di Primo-Ministro-Salvatore-della-Patria-Tecnico-Super-Partes gli piacesse molto. A me sembrava che gli piacesse troppo e con il passare delle settimane e dei mesi le speranze iniziali si trasformavano in delusione e quindi in irritata delusione. I miei commenti su LS erano sempre più negativi (Scusi Professore, Habla con Hellos, Il coro muto segue sgomento). Ancora nella primavera del 2012 la stampa di servizio tesseva lodi estatiche del “professore” e della sua internazionale credibilità, ma chi capiva di cose aveva ben altro atteggiamento. Poi il crollo di credibilità è diventato rapido e catastrofico: solo la decente buona educazione e un ingiustificato rispetto per la categoria dei “professori” impedisce che si scateni il sarcasmo avvelenato.
Molta protezione viene garantita a Mario Monti dalla mutualità della “sinistra” accademica e giornalistica, la stessa che è sempre mancata al Kaimano (Berlusconi)  per motivi che richiederebbero articolata analisi socio-psicologica. Una certa Italia è ancora culturalmente classista. Solo oggi, senza rischiare troppo, si può affermare che il governo Monti è stato un disastro sotto tutti i punti di vista, politico, economico, culturale. Che lui e i suoi ministri tecnici hanno “toppato” alla grande per arroganza, presunzione e incompetenza, che si sono persi 12 preziosi mesi e che si è incredibilmente sprecata una maggioranza “bulgara” per approvare misure pasticciate, controverse, deboli e inefficaci. Il Grande Professore era vuoto di competenza politica e la sua visione strategica dell’economia e della macro-economia era scadente e poco aggiornata. Gli slogan e l’ironia una sottile garza sul vuoto sostanziale. I maligni scoprirono che era andato in cattedra con solo tredici pubblicazioni molte delle quali sulla rivista della Bocconi. Il resto l’aveva costruito una ingenua compiacenza di ben gestite pubbliche relazioni. La lacuna più grave: assoluta mancanza di coraggio politico.
Queste constatazioni sono oggi ovvie ed è banale persino elencarle, e sarebbe una maramalderia indugiare oltre. Ma l’intervista di ieri con Lucia Annunziata, elegantemente, perfidamente e femminilmente crudele nel condurre l’ingenuo professore nel pantano della sua convinta presunzione, ci fa capire che Mario Monti non ha ancora capito. Cosa non ha capito? Non ha capito che se anche tutte le cose che la dolce Lucia gli ha fatto dire fossero state verissime, e magari lo erano, lui era il meno qualificato per dirle e che dicendole ha piantato gli ultimi chiodi sul coperchio della sua bara politica. I professori forse insegnano, ma raramente imparano.

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