L'attuale crisi risale al
2008, sono dunque già passati sei anni. I principali governi della zona euro
sembrano in una posizione d'attesa, come se la crisi dovesse risolversi da sé. Nel
1950 la “Borsalino” fabbricava ottimi cappelli. Dal momento che tutti gli
uomini avevano una testa e portavano un cappello, nessuna crisi era
prevedibile. E tuttavia l'inverosimile accadde: la moda cambiò radicalmente e
si passò da "tutti gli uomini col cappello" a "tutti senza
cappello". Nei cinquant'anni seguiti alla Seconda Guerra Mondiale, il
mondo economico europeo ha creduto a un’eterna stabilità. Forti erano le
convinzioni. La prima è stata quella di un’inarrestabile crescita: la ricchezza
non può che aumentare, compensando, con l'incremento del gettito fiscale, le
spese statali azzardate, il debito pubblico accumulato e gli errori di gestione.
La realtà ha dimostrato che non è così, ma la convinzione è tanto forte che,
mentre abbiamo sotto gli occhi un periodo in cui non si cresce e l'Italia va
addirittura indietro, si parla di "crescita zero". Sino a pochi anni fa si aveva la convinzione
che vivessimo in un mondo eternamente stabile e che l'Europa del 1995, ad
esempio, fosse la stessa di mezzo secolo prima. Invece in tutto questo tempo il
mondo è talmente cambiato che il modello produttivo europeo non è più adeguato.
Prima il predominio tecnologico europeo e nordamericano è stato indubbio e
incontestabile, poi la concorrenza degli stati asiatici è stata tale da
metterci in crisi. Prima la natalità europea era notevole, e c'erano più
bambini che pensionati, poi il peso dei vecchi (per le pensioni e per l'assistenza
medica) è divenuto schiacciante. Prima lo Stato ha largheggiato, in tutte le
direzioni, pensando che il futuro avrebbe pagato i debiti del passato, ora
siamo al momento in cui quel futuro è arrivato e ci si accorge di non avere di
che pagare. Certo, il cambiamento non è né chiaro né facile. Come risolvere il
problema dell'enorme debito pubblico, che potrebbe risolversi in una pioggia di
fuoco? Come convincere tanti milioni di cittadini che, per sopravvivere nel
mondo com'è, devono rassegnarsi a un tenore di vita modesto? Come spiegare a
chi fa parte delle varie “caste” che non è scritto da nessuna parte che debbano
lavorare meno degli altri e avere più vantaggi degli altri? Ecco perché questa
crisi non è congiunturale: è il metodo e il sistema che è totalmente cambiato.
Mentre noi fabbricavamo cappelli, il mondo cominciava ad andare a capo
scoperto. Il mondo è cambiato del tutto, ma noi continuiamo a sperare che tutto
si aggiusti e si rimetta l'orologio indietro. Così non si evita la catastrofe.
Il Foglio - Sono passati centosettanta giorni dal famoso incontro del Nazareno, da quello storico fermo immagine del capo di Forza Italia che svelto svelto sale i gradini della sede del Pd scortato da un sorridente e trionfante Gianni Letta, e Renzi e Berlusconi sono ancora lì. Ancora lì ad annusarsi, apprezzarsi, telefonarsi, parlarsi, incontrarsi e a ritrovarsi perfettamente in profonda e commovente sintonia quando in pubblico sussurrano insieme la parola “riforme”. Per Berlusconi si sa che cos’è Renzi: un giovane, brillante e ambizioso politico, per certi versi più berlusconiano dello stesso Berlusconi, che si è fatto largo con abilità tra i vecchi tromboni comunisti e che con una serie di giochi di prestigio è riuscito a far diventare di sinistra una serie di cose che per anni sono state scioccamente considerate di destra dalla vecchia sinistra. Ma se è noto che il Cav. stravede per Matteo, che vorrebbe un successore simile a Matteo, che non fa altro che ripetere che bravo Matteo, ciò che è meno noto è che cosa pensa il signor Renzi del dottor Berlusconi.
Il ragionamento è lineare. Quando Renzi pensa a Berlusconi non pensa solo a un politico con cui è necessario dialogare per via della sua consistente rappresentanza parlamentare (i renziani, vecchie canaglie, non fanno a meno di notare che alle ultime elezioni Pd e Forza Italia hanno preso insieme più del 50 per cento dei voti) ma pensa anche a tutto ciò che grazie a Berlusconi è riuscito a conquistare in questa sua esperienza al governo. Senza Berlusconi, senza cioè aver dimostrato a Napolitano che il governo Leopolda avrebbe goduto di una maggioranza parlamentare superiore rispetto a quella di cui godeva il governo Letta, difficilmente Renzi sarebbe arrivato a Palazzo Chigi e difficilmente avrebbe avuto la forza di far cambiare verso al governo (Letta la legge elettorale voleva farla senza il Cav., Renzi invece no). Senza Berlusconi, senza cioè aver accolto il Caimano nella sede del Pd, difficilmente Renzi avrebbe avuto la forza di legittimarsi tra gli elettori di centrodestra e di accogliere e di far convergere sul simbolo del Pd i voti di molti elettori di Berlusconi (tutti dicevano che per Renzi aprire le porte del Pd a Berlusconi avrebbe significato violentare il corpo del Pd, ma poi si è visto come è finita). Senza Berlusconi, senza cioè aver portato a forza il partito del Caimano all’interno del perimetro delle riforme, difficilmente Renzi sarebbe riuscito a disinnescare il dissenso maturato all’interno del Pd rispetto al percorso legato alla legge elettorale, alla modifica del Titolo V e alla revisione del Senato (e da questo punto di vista la falsa disponibilità mostrata da Renzi a fare una riforma elettorale con Grillo aveva soltanto lo scopo di mettere pressione a Forza Italia). Senza Berlusconi, infine, Renzi sarebbe stato ostaggio dei gruppi parlamentari, ostaggio delle vecchie correnti del Pd, delle nuove correnti di Ncd, delle solite cariatidi dell’Udc, e sarebbe stato insomma costretto a muoversi in Parlamento con la stessa agilità con cui si muoveva Prodi ai tempi di Mastella e Turigliatto. Renzi questo lo sa, così come sa che avere dalla propria parte la Lega (15 senatori) è un altro modo per far capire ai dissidenti del Pd (15 senatori) che il governo ha la forza di andare avanti anche senza fare i conti con i bronto-democratici del Senato (come era prevedibile, alla fine di una giornata movimentata, ieri Lega e Pd hanno trovato l’intesa sul meccanismo di designazione dei rappresentanti di Palazzo Madama).
Renzi e Berlusconi, dunque, Grillo o non Grillo, condanne o non condanne, dissidenti o non dissidenti, si trovano ancora in profonda sintonia non solo per questioni personali (e non solo per una profonda e comune sintonia nel non riuscire a prendere troppo sul serio il compagno Alfano) ma soprattutto per questioni tattiche: Renzi ha infatti bisogno di Berlusconi nella stessa misura in cui Berlusconi ha bisogno di Renzi, e se è vero che senza Renzi Berlusconi avrebbe difficoltà a non farsi risucchiare da Cesano Boscone è anche vero che senza Berlusconi Renzi avrebbe difficoltà a non farsi risucchiare dalla palude di Palazzo Madama. Le consonanze tra Renzi e Berlusconi (che spesso vivono sull’asse fiorentino Lotti-Verdini) sono destinate a trovare nuovi punti di contatto su alcuni capitoli legati alla riforma della giustizia e anche su una partita delicata sulla quale Forza Italia ha ricevuto garanzie dal Pd. E se lo schema del Nazareno regge e Berlusconi non intende scardinarlo è anche perché Renzi ha fatto capire che quando sarà il momento di ragionare sul dopo Napolitano il Pd non farà a meno di ricordarsi della fedeltà mostrata da Forza Italia sul percorso delle riforme. Questa è la promessa, e il nome “Pinotti”, per esempio, non dispiace al centrodestra. Berlusconi ci crede, ma sa che da buon post berlusconiano lo “stai sereno” non può che essere sussurrato sempre con il famoso tono da marinaio.